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Storia di un detenuto:
I parte: Il giorno del mio arresto
IV parte: Dieci minuti

Mi ricordo bene l’ultima cena con la mia famiglia. C’eravamo tutti (i miei genitori, le mie tre sorelle, mio fratello ed in miei due nipoti), tutti intorno al tavolo, loro a godersi i piatti ed io a godermi le loro facce. Quella cena è rimasta impressa nella mia mente non so perché… Forse perché lì ho sentito il vero calore e amore intenso della mia famiglia per me, o forse per quello che mi ha detto mia sorella (“Sento che non ti vedrò per anni… per tanti anni!”), o forse perché ho visto finalmente mio padre gioire per me, per una cosa che ho scelto di fare, o magari per ciò che non è stato detto…

Da noi, come in tutti paesi dove l’emigrazione verso un mondo migliore è un sogno difficile da raggiungere, si parla dell’Europa, non per la sua storia, la sua gloria, il suo sviluppo o la sua economia o i suoi mari, ma per la sua “giustizia”. Si dice che “mentre i paesi arabi sono noti per la misericordia, l’Europa è il paese dei diritti“. Mi disse mio padre durante la cena che gli europei sono giusti e danno quel che è di Cesare a Cesare e che, anche se sono famosi per la loro freddezza nei rapporti umani, in Italia invece la gente è molto più accogliente, affettuosa, e ci tiene alla famiglia e il vicino aiuta il suo vicino perché anche da loro, come da noi, il vicino è un parente che a volte è addirittura più vicino al cuore di un vero parente. E mi raccontò anche, per la millesima volta, di quel suo viaggio a Napoli, fine anni ’80, quando si pagava “centinaia di migliaia di lire” per un libro, e io immaginavo le valigie di denaro trasportate con fatica fino al mercato per fare la spesa della settimana.

Rammento che mi spiegò perché l’Europa avesse tutto quel che aveva, perché sembrava un paradiso e perché gli arabi non potrebbero mai sognare di raggiungere quella loro civiltà e serenità nel vivere: “Sappi che Dio dà a chi merita, a prescindere da chi chiede. Loro, anche se non credono in tutte le religioni, soprattutto nella nostra [l’Islam], applicano alla lettera quello che Dio vuole venga fatto sulla terra, loro non mentono mai e sono sinceri tra loro, non rubano perché a loro non serve, non sono come noi, pieni di invidia e avidità, perché sudano per meritarsi ciò che guadagnano, loro sono giusti nel loro semplice essere, loro non ti farebbero mai del male gratuitamente, anzi, ti puniscono severamente quando sbagli, ma sanno anche perdonare perché il perdono è la base della loro religione, proprio come noi, eppure ci superano nel saperlo mettere in atto… Sai perché gli europei vivono due paradisi, uno terrestre e l’altro celeste? Perché custodiscono i cuori puri, crescono combattendo l’ingiustizia in tutte le sue forme!“.

Mi ricordo che mio padre continuava a descrivere quella sua passione per il vecchio continente, mentre io pensavo solamente a Selim, il mio primo ragazzo in assoluto. L’avevo conosciuto tramite un amico in comune con cui avevo avuto una discussione sull’omosessualità in modo aperto, per la primissima volta senza pregiudizi. Non mi aveva ancora dichiarato di essere gay perché probabilmente non sapeva se poteva fidarsi di me, ma quando si è capito che la pensavo come lui, mi ha subito chiesto se mi fossi mai messo con un ragazzo! Da quel giorno passai più tempo insieme a lui fino al giorno in cui mi ha portato ad accompagnare un suo amico dal lavoro: quel suo amico, dopo averlo frequentato per qualche volta, sarebbe diventato il mio primo fidanzato maschio.

Avevo 20 anni e lui mi superava di dieci, nei miei occhi era affascinante, elegante ed il massimo della tenerezza e il tutto in un corpo perfetto. Aveva già avuto numerose storie con altri ragazzi, ma per la prima volta egli si trovò davanti a uno senza un briciolo di esperienza e mi confessò il suo desiderio di volermi conoscere meglio. Gli confidai che mi ero innamorato di lui già dalle prime volte che ci eravamo visti insieme al nostro amico…

Selim era un uomo maturo, con parecchia esperienza alle spalle che gli permetteva di capirmi e di accettare il fatto che non ero pronto ad affrontare e assumere una relazione di tale peso, una seria, un rapporto affettivo con un uomo che non avevo mai sognato di poter avere un giorno. Perciò mi lasciò la scelta di allontanarmi da lui accettando una borsa di studio in Italia, sapendo che l’enorme bisogno di sperimentare, crescere, conoscere ed accettare me stesso ci avrebbe allontanato forse per sempre, scelse di rischiare con me e mi appoggiò nella decisione di lasciare il paese alla ricerca della mia strada. La nostra storia finì dopo poco più di due mesi, ma credo sia stata fondamentale per il percorso che ho dovuto fare stando distante dal mio paese natale, dove non avevo nessuno che mi potesse guidare.

Mi ricordo del nostro primo bacio, dopo aver trascorso una delle più belle serate che avessi mai avuto prima di “innamorarmi” di lui, in un nightclub gay friendly, uno dei pochi ad Algeri. Dopo aver salutato il nostro amico e il suo fidanzato, Selim decise di accompagnarmi a casa, forse programmando il bacio tanto aspettato da entrambi e che non avevamo mai avuto il coraggio di chiedere. Parcheggiando la macchina lungo una strada buia, si tolse la cintura di sicurezza e s’inclinò verso di me. Mentre la musica malinconica faceva scorrere il sangue più velocemente nelle mie vene, lui mi teneva la mano stretta e mi abbracciò come se volesse proteggermi dall’aria che si riscaldava con gli infiniti baci appassionati che ci davamo. Dopo qualche minuto si ritirò indietro sorridendomi, gli chiesi, preoccupandomi della risposta che m’avrebbe dato, se l’avevo baciato come si aspettava, ma lui rispose che il sapore delle mie labbra era più delizioso di quel che immaginava…

Durante i due mesi passati con lui, sentivo il cuore che batteva solo a pensarlo. Ma non andammo mai oltre ai baci, assecondando la mia richiesta, egli comprese i miei sentimenti e accettò di lasciare a me scegliere quando, dove e come farlo se lo avessi voluto. Ma il mio rifiuto del far sesso non era legato alla mia scarsa esperienza e la paura che si ha generalmente durante la prima volta. L’ansia che provavo era dovuta al fatto che, quando cominciammo a frequentarci, eravamo nel mese di Ramadan. Ramadan, il mese più sacro dell’anno, il mese del digiuno spirituale. Mi pesava il fatto che nonostante lui e il nostro rapporto mi facessero sentire al settimo cielo dalla felicità e serenità, sentivo di tradire i principi della mia religione, con i quali sono stato cresciuto, sentivo che tradivo Allah.

Mi chiedevo costantemente se Allah mi stesse mettendo alla prova gettandomi in un’esperienza simile. Mi sentivo in colpa per non poter smettere di pensare a quell’essere umano invece di concentrarmi solo e unicamente sul mio creatore. Pensavo di aver commesso il peccato più grave che possa mai essere commesso da un musulmano, “al-shirk”, cioè mettere alla pari l’amore provato per Allah e un altro provato per una creatura del Dio. Perciò, a causa del senso di colpa che mi si era creato dentro e che si rappresentava in quell’umano che credevo di amare così tanto, e temendo le conseguenze dei miei atti sbagliati, decisi di evitare di stare con Selim da solo per non cadere in un peccato più grande, il peccato per cui un’intera città venne rasa al suolo in una notte.

Il giorno della mia partenza gli chiesi di non venirmi a salutare in aeroporto perché ci sarebbero stati i miei familiari e ci demmo l’addio a casa del nostro amico, da colui che ci aveva fatto incontrare.

Era tutto quasi perfetto, avevo un ragazzo d’oro, avevo una famiglia e tanti amici con cui condividevo le mie semplici giornate ed ero stato scelto tra i cinque studenti per la borsa di studio offerta dal governo italiano, che era di 700 euro mensili per nove mesi, biglietti andata e ritorno inclusi ogni anno. Ero entusiasta perché, anche se sapevo di essere stato, per quattro anni di fila, il primo della mia classe all’Istituto nazionale superiore della musica, non pensavo che un giorno sarei stato pescato tra molti per continuare i miei studi fuori dal mio paese… Immaginavo da sveglio e sognavo nelle notti profonde come avrei vissuto i primi nove mesi in Italia, il paese della musica, dell’amore e del benessere.

Arrivando in Italia scoprii che il trasferimento all’estero non era come andare all’università, dove tutti parlano la stessa lingua che parliamo dalla nascita, dove farsi nuovi amici è più facile che stare in solitudine. L’integrazione in un paese diverso da quello natale richiederebbe prima di tutto la lingua, che a me mancava completamente, per poter comunicare con i membri della nuova società, per imparare il loro modo di vivere e di approcciarsi, di interagire e iniziare a farne parte. Tutto era diverso da quello a cui ero abituato, perfino il semplice scherzare e fare battute fu così complicato che ebbi molta difficoltà nel trovare me stesso nei primi sei mesi trascorsi tra lezioni frequentate e mai capite, nottate a guardare le trasmissioni italiane e ore passate sugli autobus per imparare rapidamente la lingua dai passeggeri che parlano tra loro ai cellulari…

Trascorsi circa dieci mesi, con qualche amico con cui uscire nei week-end a bere e divertirmi. Durante quei mesi, avevo anche avuto delle esperienze sessuali con ragazzi diversi ed addirittura con una coppia gay, ma nessuno di loro riusciva a sostituire Selim, fino a quella notte del 29 agosto, alle 4 del mattino, in cui un bel ragazzo di nome Nicola aveva risposto ad un mio messaggio su un sito d’incontri gay: Bearwww.com.

Undici mesi dal mio arrivo a Bologna e per la prima volta sentii quella forte emozione di voler conoscere uno che fece vibrare il mio corpo dal primo sguardo, uno che rese la famosa frase “colpo di fulmine” reale, concreta. Ed eccolo qui che m’invita ad incontrarci accanto all’edicola del quartiere dove casualmente abitavamo entrambi. Ed eccoci che ci presentiamo, poi sulla panchina sotto casa sua ci sediamo. Non mi ricordo chi ha parlato per primo e non ricordo nemmeno quello che ci dicevamo… Ero come drogato, stracarico di adrenalina, perso nei movimenti delle sue labbra, a godere quando sorrideva e a riempirmi di gioia osservandolo quando si girava a controllare il lato scoperto della strada. Non riuscivo a concentrarmi sulle sue parole perché era talmente bello che tutto sembrava un sogno, i suoi occhi socchiusi dietro gli occhiali mi rilassavano, il tono della sua voce quasi monotona mi rassicurava perché capii che non ero solo io a sentirmi in imbarazzo.

Neanche un’ora dopo, non resistemmo e prima di andarmene mi diede il bacio più romantico e più coinvolgente di tutta la mia esistenza. Il tocco delle sue mani, il tatto tra i nostri corpi…: ancora oggi continuo a pensare che quel bacio è stato quello che ha fatto sparire Selim dalla mia mente.

E quel bacio si ripeté anche durante il mese di Ramadan dell’anno successivo e questa volta mi azzardai a fare quello che non avevo avuto il coraggio di fare con Selim: il sesso. Anche se il terrore del peccato mi tormentava ogni volta che baciavo un maschio o lo abbracciavo, tentai comunque di avere un rapporto sessuale completo con Nico, ma, come ogni volta, non riuscivo mai a raggiungere l’orgasmo, neanche con lui, perché credevo che Allah non mi avrebbe più amato se lo avessi fatto.

Sono stato con Nico per otto mesi prima che venissi arrestato, otto mesi durante i quali avemmo la possibilità di crescere insieme e aprirci a due mondi assai diversi. Con due mondi intendo quelli che ognuno di noi si portava dietro, i luoghi comuni che avevamo imparato nel corso degli anni e le esperienze personali. Io che non osavo farmi avvistare con lui fuori dalla sua abitazione e sceglievo di vederlo solamente di notte per non far scoprire il mio segreto. Lui che non riusciva a fidarsi di me perché da sempre sui media si sente parlare di magrebini truffatori, clochard, ladri e clandestini. Io che non riuscivo a rapportarmi con i suoi amici per il mio complesso di inferiorità nato dall’auto-classificazione sotto etichette imposte dall’ignoranza, come l’essere immigrato, nordafricano, arabo e musulmano e che pensavo mi sottovalutassero per il mio essere non italiano. Lui che credeva facessi il carino per derubarlo e approfittare di lui…

Quando i nostri due mondi di pregiudizi e aspettative si scontrarono, l’impatto ci fece maturare, cambiare e crescere, ma stavamo sempre attenti a quello che facevamo o dicevamo l’uno all’altro. Perciò quando persi la borsa di studio non potei affrontare il discorso dicendo che i soldi della borsa non arrivavano, avendo la paura di essere abbandonato perché non potevo nemmeno offrirgli una bevanda al pub dove andavamo con i suoi amici. E quando persi la casa e venni buttato fuori sulla strada perché non pagavo l’affitto, preferii dormire sotto i tavoli dei bar che esser visto come clochard, quello che non ha nemmeno l’euro per un caffè al bar.

E quando cominciai a spacciare perché avevo un migliaio di euro di debiti e dovevo pagare le tasse universitarie e per pagare l’affitto della casa che mi aveva accolto per un mese senza chiedermi niente in cambio tranne qualche consegna di stupefacenti al mese, non potei parlarne con Nico per orgoglio, perché non ero abituato a chiedere niente a nessuno, perché pensavo che sarebbe tornato tutto alla normalità se avessi trovato un lavoro. Ma di lavoro non ce n’era. Era l’anno dell’inizio della crisi economica e nessuno mi faceva lavorare, non potendo firmare un contratto full-time, secondo la legge italiana, perché avevo un permesso di soggiorno per motivo di studio, il che mi dava diritto a lavorare solo a part-time.

Accadde tutto in fretta e mi trovai in carcere al decimo giorno senza notizie di Nico, e nemmeno lui di me. Vedevo che i giorni passavano e io li stavo ancora contando. Chiesi una busta da lettera, un francobollo e una penna all’albanese per tranquillizzare Nico e rassicurarlo che sarei uscito dopo una settimana. Tre giorni dopo mi arrivò la sua prima lettera in cui mi chiedeva di nominare un avvocato di fiducia, uno con cui aveva già parlato del mio caso e a cui aveva anticipato i soldi. Mi disse che aveva saputo tutto dalla fidanzata di Pino, che l’aveva lasciato dopo l’accaduto, e mi disse che Pino era a casa sua, agli arresti domiciliari, e che non è mai entrato in carcere perché ci aveva denunciati in caserma dicendo che Sù e io lo sfruttavamo!

Azhar
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VI parte: Un diario per Nico

One Comment

  • Lorenzo Younes ha detto:

    grazie Lyas per i tuoi racconti, mi permetti di capire cosa vive il mio ragazzo tunisino… una storia molto sofferta per via della lontananza… ma stranamente molto più vera di tante storie "italiane"… leggendo i tuoi racconti mi sono emozionato e ho pianto… (naturalmente leggevo te e pensavo a lui, senza offesa…) ma tante cose che tu descrivi le ritrovo in lui e nella nostra storia vedo molte analogie con la tua e le cose che descrivi del tuo fidanzato le ritrovo in me. Quante discussioni – a volte anche accese – per i miei dubbi che lui fosse un "profiteur" e un ladro ecc. (avevo i miei motivi) e lui che si arrabbiava e mi diceva che pensavo solo ai soldi. Leggendo le tue parole ho intuito perché mi ha detto che tante volte ha dormito per strada, anche quando poteva andare da qualche amico (io mi mi incazzavo, naturalmente lo sapevo sempre dopo). Non so cosa avete voi magrebini di così attraente caratterialmente (parlo per me, ovvio…), ma siete irresistibili. Per la vostra dignita, per la fierezza, ma anche per una certa purezza e rispetto che noi occidentali forse abbiamo perduto. Comunque scrivi molto bene, non so, forse perché mi immedesimo e mi ricordano un mondo di cui ho una certa esperienza, ma sono molto coinvolgenti! Avrei un po' di cose da chiederti, peccato che non possa dialogare con te direttamente ! Ciao e ancora grazie per le emozioni che mi hai regalato!

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