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Per quest’ultimo articolo della serie “Sessualità e diritto islamico” abbiamo chiesto alla professoressa Serena Tolino di chiarire alcune questioni circa uno dei temi più dibattuti e controversi soprattutto tra ragazze e donne musulmane. Soprattutto quando ci si trova a vivere in un paese dove i musulmani sono la minoranza, è piuttosto difficile scegliere come partner una persona che condivida la stessa fede. Per entrambi i sessi esistono delle limitazioni: agli uomini sarebbe concesso sposare solo donne monoteiste, mentre alle donne è interdetto il matrimonio con tutti gli uomini non-musulmani.

Come spiega Tolino, “la questione dei matrimoni interreligiosi nell’Islam é piuttosto complessa ed è tornata alla ribalta in particolare in seguito alla decisione presa dalla Tunisia a settembre 2017 di abolire il divieto di matrimoni interreligiosi per le donne musulmane, consentendo loro di sposare anche non musulmani. Tale decisione è certamente rivoluzionaria, dal momento che i giuristi musulmani hanno sempre considerato illecito questo tipo di matrimoni“.

Su quali versetti coranici si basano tali norme?

La disciplina islamica sui matrimoni interreligiosi si basa in particolare su due versetti coranici. Il primo è il versetto 221 della Sura 2 (La giovenca), che recita: “Non sposate donne idolatre finché non abbiano creduto, è meglio una schiava credente di una sposa idolatra, anche se vi piace. Non date donne credenti in spose a degli idolatri finché essi non abbiano creduto, è meglio lo schiavo credente di uno sposo idolatra, anche se vi piace. Gli idolatri vi chiamano al fuoco mentre Dio vi chiama al giardino e al perdono se Egli vuole, e spiega i Suoi segni agli uomini affinché ricordino” (1).

I giuristi e gli esegeti musulmani hanno ritenuto che questo versetto andasse inteso come una proibizione di sposare idolatri, diretta ai musulmani di qualsiasi genere. Il termine utilizzato in arabo è مشركين (mushrikin), ossia politeisti.

Il secondo versetto rilevante per la nostra discussione è il versetto 5 della Sura 5 (La tavola imbandita), che recita: “In questo giorno vi sono dichiarate lecite le cose buone, e ugualmente vi è lecito il cibo di coloro cui fu dato il libro, così come il vostro cibo è lecito a loro. Vi sono permesse come mogli le donne oneste tra le credenti e anche le donne oneste di quelli cui fu dato il libro prima di voi, purché diate loro le loro doti e viviate castamente senza fornicare e prendervi delle amanti. Chi rinnega la fede sappia che ogni sua azione andrà in rovina, nell’aldilà costui sarà un perdente” (1).

Ci potrebbe spiegare meglio chi sarebbero “le donne di quelli a cui fu dato il libro prima di voi”?

Con “le donne di quelli cui fu dato il libro prima di voi” il riferimento è all’أهل الكتاب (ahl al-kitab), ossia a quelle religioni che sono basate su Sacre Scritture, in particolare gli ebrei, i cristiani, i sabei, gli zoroastriani e, secondo opinioni minoritarie, gli induisti. Di conseguenza, la maggior parte dei giuristi ritiene che i matrimoni tra un uomo musulmano e una donna appartenente a una di queste religioni sono leciti.

Alcuni giuristi, in particolare alcuni sciiti imamiti, ritengono invece che neppure questo tipo di matrimoni sia lecito, e ritengono che non credere nell’Islam vada considerato di per sé una forma di idolatria, che rientrerebbe quindi in quanto vietato dalla sura 2 al versetto 221.

Come si è giunti dunque a codificare la regola secondo cui gli uomini possono sposare donne monoteiste?

Il riferimento preciso allo sposare “le donne di quelli cui fu dato il libro prima di voi” ha condotto i giuristi a limitare l’applicazione di questo versetto soltanto agli uomini che comunque sono gli unici, nel diritto islamico, a poter lecitamente sposare delle donne. Di conseguenza, i giuristi ritengono pressoché unanimamente che una donna non abbia questa possibilità.

Come si spiega questa disuguaglianza?

Questa disparità di trattamento, che appare oggi inspiegabile, in realtà è, ancora una volta, legata al contesto storico in cui il Corano è stato rivelato: come detto anche nelle precedenti puntate, si tratta di un contesto assolutamente patriarcale, in cui la donna veniva vista in una posizione subalterna, e come un elemento debole da proteggere. L’uomo, al contrario, veniva visto come la figura dominante che doveva occuparsi della sua protezione e del suo mantenimento.

Di conseguenza, affidare una musulmana a un non musulmano tramite il matrimonio avrebbe significato esporla ad un contesto in cui si riteneva che il marito non le avrebbe dato la possibilità di vivere la sua religione e lei, poiché in posizione subordinata, non sarebbe riuscita a imporsi.

Ci potrebbe spiegare meglio, alla luce dei suoi studi, il senso di questa regola nel particolare contesto storico in cui è stata elaborata?

Nel momento storico in cui il Corano è stato rivelato, ma anche nei secoli successivi, quando il diritto islamico è stato canonizzato, l’espansione dell’Islam era una priorità: “cedere” una donna (e i suoi figli) al “nemico” veniva considerata una perdita per l’Islam.

Al contrario, che un uomo sposasse una non musulmana poteva significare che lei stessa, trovandosi a vivere in un contesto islamico, avrebbe finito per convertirsi, fosse anche soltanto per questioni pratiche e finanziarie (è sufficiente menzionare che per il diritto islamico i non musulmani non ereditano dai musulmani e, di conseguenza, una vedova non musulmana non avrebbe avuto la possibilità di ereditare dal marito musulmano).

In conclusione, è evidente ancora una volta come sia necessario considerare non solo il diritto islamico, ma anche il Corano come un testo che è frutto del contesto storico in cui è stato rivelato. Ovviamente queste norme appaiono oggi antiquate: i rapporti di genere all’interno del matrimonio sono cambiati, e il passo intrapreso dalla Tunisia va certamente nella direzione di una maggiore uguaglianza di genere.

introduzione di Rosanna Maryam Sirignano
testo di Serena Tolino
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Sadat Shami (CC BY 2.0)

Note:

(1) Traduzione italiana di Ida Zilio-Grandi, a cura di Alberto Ventura.

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