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Il termine “matrimonio” deriva dalle due parole latine “mater” (madre) e “monus” (dovere, compito). È dunque strettamente collegato al dovere della donna di diventare madre, contenendo implicitamente il concetto per cui la massima realizzazione dell’unione fra uomo e donna sia appunto la procreazione. È interessante notare come probabilmente la parola si sia formata successivamente a “patrimonio” che, come è noto, indica l’insieme dei beni che una persona possiede, la cui tutela e gestione spetterebbe, come la parola suggerisce, al “padre”.

In arabo la parola matrimonio, quella che indica il contratto stipulato tra un uomo e una donna, si chiama نكاح (nikah), ossia “rapporti sessuali”. La massima realizzazione della relazione di coppia è dunque la sessualità e il nikah è la condizione necessaria per vivere tale dono con gioia, consapevolezza e responsabilità verso se stessi, verso Dio e verso la comunità musulmana. Attraverso il nikah la coppia comincia a vivere la propria relazione in una dimensione sociale e familiare. I giuristi musulmani hanno dedicato molto spazio alla regolamentazione del matrimonio. Chiediamo alla professoressa Serena Tolino di parlarcene brevemente, spiegando quali siano le differenze, ad esempio, con il concetto di matrimonio cattolico, più conosciuto in Italia.

Una differenza importante è la natura stessa del matrimonio. Per la Chiesa Cattolica e quella ortodossa il matrimonio è considerato un sacramento, ossia un segno visibile e tangibile della grazia di Dio. Nel diritto islamico, invece, il matrimonio è semplicemente una tipologia di contratto, per quanto si tratti comunque di un atto meritevole. Va detto che i giuristi raccomandano il matrimonio a tutti i musulmani, e ritengono che esso sia obbligatorio se qualcuno teme di non riuscire a controllare altrimenti i propri istinti sessuali.

Come notava Rosanna Maryam, in arabo si utilizza la parola nikah, che indica il rapporto sessuale. Questo perché per il diritto islamico classico il matrimonio ha come scopo principale quello di rendere leciti i rapporti sessuali tra un uomo e una donna. A questo proposito è interessante notare che l’impossibilità di avere un rapporto sessuale, se uno dei partner ha ingannato l’altro (ad esempio, se la donna non era stata informata che l’uomo soffriva di impotenza), ne causa l’annullamento. Ovviamente il matrimonio ha anche altre funzioni altrettanto importanti, come quella di legittimare la prole e quella di regolare la sessualità.

Il contratto di matrimonio è nel diritto islamico a “tempo indeterminato”, con l’eccezione degli sciiti duodecimani che ammettono anche una forma di matrimonio a “tempo determinato”, il cosiddetto “matrimonio di godimento” (ﻣﺘﻌـة; mut’a).

Per la maggior parte dei giuristi il contratto di matrimonio non viene stipulato dall’uomo e dalla donna, ma dall’uomo e dal tutore della donna (ولي‎; wali), che è un suo parente (solitamente il padre). Il wali rappresenta la donna (e nella prassi sociale tutta la sua famiglia) e stipula il contratto in sua vece. Soltanto i giuristi hanafiti e parte dei giuristi sciiti duodecimani ritengono che una donna adulta e libera possa concludere il proprio matrimonio senza la presenza del wali. Va però detto che per la maggior parte dei giuristi il wali non può agire unilateralmente, ma ha bisogno necessariamente dell’approvazione esplicita della donna, che non deve subire alcuna costrizione nell’accettare un uomo come marito.

Inoltre, il wali é tenuto a proporre un marito che sia “compatibile” (dal punto di vista socio-economico, ma anche personale) con la sposa, che sia in grado di mantenerla e di pagare il مهر (mahr), altro elemento indispensabile per la validità del matrimonio. Il mahr consiste in un donativo nuziale che il marito paga alla moglie, che ne dispone liberamente (ad esempio, non è tenuta ad utilizzarlo per mantenere la famiglia, cosa che ricade invece soltanto sul marito), e che resta sua esclusiva proprietà per tutta la vita. Esso viene pagato a volte immediatamente all’atto del matrimonio, altre volte a rate, in altri casi ancora esso viene posticipato al momento di un eventuale divorzio, come meccanismo quasi “dissuasivo” per il marito.

introduzione di Rosanna Maryam Sirignano
testo di Serena Tolino
©2018 Il Grande Colibrì

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