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La scoperta del proprio corpo, il desiderio di esplorarlo, per conoscere i segreti del piacere, le esplosioni di gioia nel condividerlo con un’altra persona in un abbraccio d’amore, la sessualità insomma da molte religioni è regolata da divieti ed è oggetto di tabù di vario genere. Le regole concernenti la sessualità vengono viste come repressive e castranti, il modo migliore per controllare l’individuo e il gruppo: il sesso come peccato, il peccato che genera vergogna e pericolosi sensi di colpa. Ma sappiamo davvero cosa si intende per “peccato”, spesso tradotto con la parola haram, nell’Islam? Ci risponde Serena Tolino, Juniorprofessor di studi islamici all’Università di Amburgo.

Il concetto più simile a quello di peccato non è quello di حرام (haram), ma quello di ذنب (dhanb, che significa propriamente “peccato”). Inoltre, mentre nel cristianesimo esiste uno stato di peccato insito nell’essere umano (il peccato originale), l’islam non conosce tale concetto. Il peccato è nell’islam un atto specifico che viene compiuto dall’essere umano e riguarda soltanto la persona che l’ha compiuto. Il campo semantico di haram è molto più ampio di quello di “peccato” e comprende tutto ciò che è proibito, ma che non necessariamente è un peccato.

La radice si riferisce anche a ciò che è sacro o privato, o a ciò a cui è proibito l’accesso a persone che non siano autorizzate o non si trovino in uno stato di purità. Non a caso, dalla stessa radice hrm (ح رم) viene la parola حريم (harim; harem), che si riferiva come è noto a quella parte della casa “privata”, inaccessibile agli uomini, ma anche alle persone che la popolavano. Inoltre, la grande moschea a La Mecca si chiama Al-Masjid Al-Haram.

Significati diversi

In modo colloquiale oggigiorno haram viene utilizzato come esclamazione per qualcosa che è proibito, o per dire “che peccato!”, ma non ha necessariamente un significato religioso. Ad esempio, se vedo qualcuno che spreca il cibo, posso dire “haram!”, per mostrare il mio dispiacere per lo spreco. Se vedo un bambino che piange, posso esclamare “ya haram!”, nel senso di “che peccato!”. C’è stato quindi un cambiamento semantico, da un significato prettamente religioso a uno molto più ampio.

Se si guarda invece al significato tecnico, haram rappresenta una delle cinque categorie in cui il diritto islamico divide le azioni che un essere umano compie, ossia:

  1. واجب (wajib), l’atto “obbligatorio”, come ad esempio il digiuno nel mese di ramadan;
  2. مستحب (mustahabb), l’atto “meritorio”, che non è richiesto, ma la cui esecuzione viene premiata nell’aldilà, come ad esempio digiunare al di fuori del mese di ramadan;
  3. مباح (mubah) o حلال (halal), l’atto che è “permesso”, “lecito”, senza che abbia conseguenze né positive né negative);
  4. مكروه (makruh), l’atto “reprensibile”, “disapprovato”, “scoraggiato” (per quanto compiere tale atto non porti automaticamente a una punizione, è preferibile evitarlo; ad esempio il divorzio rientra per la maggior parte dei giuristi in questa categoria);
  5. e infine حرام (haram), l’atto “proibito”: compierlo è soggetto a punizione nell’aldiquà e/o nell’aldilà.

introduzione di Rosanna Maryam Sirignano
testo di Serena Tolino
©2018 Il Grande Colibrì

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