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I sondaggi per ora non permettono facili previsioni: la sfida delle elezioni politiche del 17 marzo in Israele è ancora apertissima. L’incertezza è massima e non sembra destinata a calare nelle prossime settimane: tornerà al governo il primo ministro uscente liberal-conservatore Benjamin Netanyahu, con il suo Likud e l’appoggio della destra religiosa, o i partiti di centro-sinistra conquisteranno abbastanza seggi per costruire una maggioranza parlamentare? In una campagna elettorale molto accesa, i temi sui quali finora si è concentrato lo scontro sono stati tutti legati alla sicurezza e all’economia (da tempo aumenta il malcontento per l’eccessivo costo della vita, per il fallimento delle politiche abitative, per le crescenti iniquità sociali), ma negli ultimi giorni al centro della scena si è affacciata una nuova questione: il diritto delle coppie dello stesso sesso a sposarsi.

Negli ultimi anni Israele ha registrato costanti progressi nel riconoscimento dei diritti delle persone LGBT, dal divieto di discriminazione sui luoghi di lavoro al riconoscimento degli sgravi fiscali familiari anche per i genitori omosessuali, ma la questione del matrimonio egualitario rimane ancora aperta e alimenta aspre polemiche. Nello stato mediorientale, infatti, non possono essere celebrate nozze tra persone dello stesso sesso (esattamente come i matrimoni civili eterosessuali e gran parte dei matrimoni interconfessionali), anche se lo stato riconosce le nozze omosessuali celebrate all’estero. A rinfocolare lo scontro è stato un video in cui diciassette candidati alle primarie del partito religioso di destra radicale Bayit Yehudi (Casa ebraica) si sono espressi sulla questione.

Non capisco perché dovremmo avere bisogno dei matrimoni tra persone dello stesso sesso” ha detto, ad esempio, Moshe Solomon. Più categorici sono stati Yehudit Shilat e Nehemiah Rappel (“No a cose del genere“) e Nissan Slomiansky (“C’è bisogno di un marito e di una moglie per procreare“). “Non giudico delle persone che sono afflitte da simili tormenti” ha detto Avraham Azoulay, mentre Chagit Moshe ha aggiunto: “Dobbiamo aiutare le persone che soffrono, vivono una situazione difficile“. Solo due candidati (Batya Kahana-Dror e Ronen Shoval), pur confermando la loro convinzione che il matrimonio dovrebbe essere riservato solamente alle coppie eterosessuali, si sono detti favorevoli a unioni civili per gli omosessuali che concedano diritti simili a quelli riconosciuti alle coppie sposate (jpost.com).

Il video ha suscitato lo sdegno dei politici laici e di centro-sinistra, a partire da Tzipi Livni, leader di Hatnuah (Movimento) e da sempre fervida paladina dei diritti delle persone LGBT (ilgrandecolibri.com), che ha affermato: “Bayit Yehudi ha fatto coming out: è un partito reazionario, omofobico e razzista“. Se tornerà al potere Netanyahu, i partiti religiosi suoi alleati riproporranno il loro veto sui matrimoni laici e omosessuali, ha ricordato Livni. Parole dure sono arrivate anche da Isaac Herzog, segretario del Partito Laburista, e da Zehava Gal-On, leader dei social-democratici di Meretz (Vigore), secondo la quale Bayit Yehudi starebbe “demolendo le fondamenta della dignità di centinaia di migliaia di israeliani senza battere ciglio“.

Le proteste, però, non sono arrivate solo dalla sinistra. Il segretario del partito centrista Yesh Atid (C’è un futuro), Yair Lapid, ha scritto: “Noi lo diciamo chiaramente: ogni coppia ha diritto ad amarsi e a sposarsi. Noi combattiamo per questo diritto e continueremo a combattere per questo diritto nella prossima legislatura“.

Tutti ipocriti, secondo Naftali Bennett, leader di Bayit Yehudi e attuale ministro delle finanze: “Non è un segreto che indosso la kippah – ha detto – Il giudaismo non riconosce i matrimoni gay, allo stesso modo in cui non riconosce come kosher il latte mischiato alla carne, e nulla cambierà questo“. Bennett ha accusato la sinistra di “manipolare” i cittadini LGBT offrendo maggiori diritti e ha rivendicato per il suo partito una posizione pragmatica: “La nostra regola è semplice: no al riconoscimento formale, sì ai diritti” (jpost.com).

Intanto, a complicare ulteriormente le cose, ci pensano i politici omosessuali, con impegni e disimpegni che rompono gli schemi. Se da una parte Nitzan Horowitz, esponente di Meretz e unico deputato gay del parlamento uscente, ha annunciato su facebook.com che abbandonerà la politica (il suo partito non gli garantiva la rielezione), dall’altra il Likud candiderà l’attivista omosessuale Amir Ohana, anche se in una posizione in lista che renderà la sua elezione quasi impossibile (voiceofisrael.com).

Il dibattito è scatenato anche su un altro argomento: una pubblicità apparsa sul New York Times, in cui un uomo invitava ad “amare l’unica democrazia del Medio Oriente” perché “Hamas, l’ISIL e l’Iran uccidono i gay come me“. Subito sono partite le accuse di pinkwashing (haaretz.com): i diritti delle persone LGBT sarebbero strumentalizzati solamente per migliorare l’immagine del governo israeliano, fortemente danneggiata dopo l’operazione Schermo protettivo della scorsa estate che ha provocato la morte di 2.200 palestinesi, di cui almeno 1.500 civili (ilgrandecolibri.com).

Ian Buruma, professore al Bard College, ha mosso invece una serie di altre critiche: “La cosa più inquietante – ha scritto su project-syndicate.org – è l’insinuazione che chi critica il governo israeliano sia colpevole di legittimazione della violenza contro gli omosessuali nelle altre aree del Medio Oriente“. Buruma rileva non solo la sempre più forte strumentalizzazione politica dei diritti umani, che finisce per danneggiare questi stessi diritti, ma anche la clamorosa ipocrisia che sta dietro alla pubblicità apparsa sul New York Times: a sponsorizzarla è stata un’associazione ebraica ortodossa che giudica l’omosessualità un peccato e che appoggia politici ferocemente omofobi negli Stati Uniti.

Se il finanziamento di quella pubblicità può essere motivo di imbarazzo, cosa dire invece delle conclusioni del comitato interministeriale che si è occupato dei richiedenti asilo LGBT palestinesi in Israele? Secondo gli esperti, che rappresentavano l’ufficio del primo ministro e i ministeri di giustizia, esteri e interno, “nei territori amministrati dall’Autorità palestinese non c’è nessuna persecuzione sistematica in base all’orientamento sessuale“, non c’è nessuna oppressione poliziesca e giudiziaria e anche le vessazioni da parte della società e della famiglie sono “poche e rare“, rappresentando casi del tutto eccezionali. Quindi niente diritto all’asilo politico per le persone LGBT palestinesi.

Il governo israeliano, insomma, offre della Palestina un ritratto doppio e doppiamente caricaturale: il peggiore inferno possibile per gli omosessuali quando si tratta di giustificare le politiche repressive, un posto tutto sommato tranquillo quando si tratta di negare un aiuto agli omosessuali perseguitati.

 

Pier
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One Comment

  • eitanyao ha detto:

    Al di là delle differenze di posizione apprezzo il post che come sempre é ben scritto.

    Direi che in Israele i diritti LGBT sono in larga misura garantiti, il governo non discrimina la popolazione LGBT e progressivamente estende i diritti, c'é una comunità LGBT e un movimento LGBT plurale che lotta davvero per i diritti, l'opinione pubblica é in larga misura favorevole e l'omofobia non é socialmente accettata. Purtroppo in vaticalia é il contrario.

    Sulle elezioni:

    Sono elezioni di passaggio. Non vedo cambiamenti profondi, shift in atto. Non gli darei neppure troppa importanza. L'altra volta mi piaceva Yesh Atid. Stavolta ancora non so.

    La sinistra non dà garanzie sufficenti sul fronte sicurezza, é la ragione per la quale perdono e penso, anche se alcuni sondaggi li danno per vincenti, che perderanno anche stavolta. Apprezzo molto Bibi e gli riconosco molti meriti ma ho sempre pensato che é ottimo per la sicurezza, pessimo per le relazioni internazionali e la cosiddetta "pace"… non propone molto e non lo farà mai e questo ha esasperato persino Liberman (ed é tutto dire 😛

    Di Bennett apprezzo il fatto che ha detto quello che mi pare ovvio: la situazione dei due stati é finita. Israele non può, non deve, riconoscere nessuno stato. Ma il suo piano di "pace" non é serio.

    La sinistra punta tutto sull'economia. bene. ma finché non rassicurano sulla sicurezza dello stato non sono votabili. L'europa sta precipitando in un incubo. Gli ebrei d'europa fuggono. Il paese é circondato, al qaeda, is sono dietro l'angolo o alla frontiera, hamas é sempre lì…le priorità sono altre.

    Bennett poi dice il vero quando dice che la sinistra non proporrà né voterà il matrimonio civile aperto alle coppie dello stesso sesso. Non penso che i diritti civili giocheranno un ruolo in queste elezioni.

    Per il resto: Lo slogan del billboard per me é giusto. é la verità. poi si può discutere su chi lo ha fatto e perché ma é vero. come é vero che quella giornalista italiana che é andata dal mio amatissimo Bill Maher a gridargli islamofobo 80 volte quando ha proclamato che a Gaza si può essere tranquillamente gay diceva il falso.

    I sinistri pacifinti urlano "pinkwashing" dalla mattina alla sera. Buruma ha detto un'assoluta fesseria. Non é una novità. Spero che abbia anche aggiunto qualcuna delle sue solite illuminate riflessioni sull'omosessuale e il fascismo, meglio, il fascismo omosessuale, "the murderous gay thug" etc…roba di grande livello.

    tutto questo ci riporta al voto. Penso che alla fine molti voteranno Likud di cui tutti del resto si attendono la vittoria. Senza entusiasmo e per mancanza di alternative. La coalizione Labor Hatnuah Centro Sionista avrà un buon risultato, Bennett prenderà molti voti. Liberman idem, Kuluanu idem. Lapid perderà 10 o più seggi. Se si vuole ancora usare la divisione destra-sinistra (che ormai non vuol dire più nulla) direi che poco cambierà nella composizione della Knesset. Vedremo.

    Ogni bene

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