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“Volete che la costituzione definisca il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna?”: sarà questa, più o meno, la domanda a cui dovranno rispondere la prossima primavera gli estoni in un referendum non vincolante, a cui i sondaggi danno buone possibilità di essere approvato. Il referendum è stato fortemente voluto dai conservatori euroscettici dell’Eesti Konservatiivne Rahvaerakond (Partito popolare conservatore estone; EKRE) e accordato dai suoi alleati al governo, l’Eesti Keskerakond (Partito di centro estone; EK) e i democristiani di Isamaa (Patria). Lo scopo è impedire che una futura maggioranza di sinistra possa riconoscere il diritto al matrimonio per le coppie dello stesso sesso.

Raimond Kaljulaid, parlamentare del Sotsiaaldemokraatlik Erakond (Partito socialdemocratico; SDE), è molto preoccupato: “Bisogna inquadrare il referendum nel desiderio dell’estrema destra di annullare le politiche liberali che hanno portato nelle nostre società più uguaglianza e più tolleranza. È un modo cinico per dividere le persone“. D’altra parte l’EKRE non ha mai accettato il fatto che l’Estonia sia stato il primo paese ex sovietico ad approvare una legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, nel 2014. “Questo è solo l’iniziodice ancora Kaljulaid – L’obiettivo è imitare paesi come la Polonia e l’Ungheria. È anche un tentativo di sovvertire la democrazia e sostituirla con un governo autoritario“.

Moderato silenzio

Il referendum sul matrimonio, infatti, potrebbe essere solo il primo cedimento sui diritti che il centro e il centrodestra potrebbero accordare all’estrema destra: l’EKRE ha come bersagli dichiarati non solo i diritti delle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali), ma anche quelli delle donne, a partire dall’aborto e dall’inseminazione artificiale. Per non parlare delle persone migranti. La retorica dei sovranisti estoni è quella che in Italia propone la Lega, non a caso affiliata come l’EKRE nel Partito Identità e Democrazia, con un uso ancora più esplicito di slogan e simboli neonazisti e suprematisti bianchi.

L’inquietudine non è certo eccessiva, se si considera l’atteggiamento omertoso degli alleati cosiddetti “moderati”. Andrei Korobeinik, parlamentare centrista dell’EK, voterà no al referendum, eppure difende l’idea che i diritti umani siano sottoposti al voto popolare: “Bisogna accettare la scelta del popolo, anche se non ci piace“. Da parte dell’EK e di Isamaa, su questa e altre questioni, non c’è nessuna reticenza a deformare l’idea stessa della democrazia per accontentare l’estrema destra e, soprattutto, per non dover ammettere di essersi alleati con una forza politica profondamente ostile ai valori democratici: pur di non riconoscere il pericoloso estremismo dell’EKRE, ogni sua proposta viene normalizzata e presentata come un’opzione accettabile.

neonazisti skinhead estrema destraOmofobia e razzismo

Un esempio molto chiaro di questa deriva ci viene da alcune recenti dichiarazioni di Mart Helme. Costui è il fondatore dell’EKRE e oggi è ministro dell’interno dell’Estonia (ma è anche il padre di Martin Helme, attuale presidente del partito e ministro delle finanze: la famiglia è un grande valore per la destra, soprattutto quando si tratta di colonizzare le istituzioni…). Ad ottobre Mart Helme ha rivendicato esplicitamente in un’intervista il suo essere “ostile” agli omosessuali: “Lasciamoli scappare in Svezia. Là, tutti li guarderanno più gentilmente“. Il primo ministro centrista Jüri Ratas ha definito queste parole come “inequivocabilmente riprovevoli“, ma non ci sono state altre conseguenze.

Come non ci sono state conseguenze quando Mart Helme ha spiegato che il referendum sul matrimonio servirà a “ripulire l’aria. D’altra parte i partiti “moderati” lo hanno nominato ministro dell’interno nonostante nel 2017 avesse sostenuto che le forze dell’ordine dovrebbero permettere ai neonazisti di aggredire chi manifesta nei Pride: “La protezione di una parata di pervertiti non è compito della polizia“. E hanno fatto entrare nel governo anche suo figlio Martin, quello che aveva dichiarato che l’Estonia deve rimanere un “paese bianco” e che “la nostra politica sull’immigrazione dovrebbe avere solo una semplice regola: se sei nero, tornatene da dove sei venuto“.

Spostare la rabbia

L’intero conflitto è molto più profondo – spiega Tonis Saarts, professore associato di politica comparata all’Università di Tallinn – e divide vincitori e vinti della globalizzazione: da una parte c’è la classe media progressista, istruita e urbanizzata, dall’altra c’è il resto della società che invece sperimenta gli effetti collaterali negativi dell’apertura e della globalizzazione“. La capitale Tallinn è ricca e ha standard di vita più alti della media europea, ma è circondata da un territorio molto più povero.

Come in molti altri paesi, la destra sfrutta la rabbia generata dalla disuguaglianza socio-economica per accaparrarsi voti e potere.  Poi non propone soluzioni per migliorare le condizioni di vita di chi è emarginato e povero. Semplicemente sposta la rabbia su una dimensione valoriale (la difesa della tradizione contro la “propaganda gay” e il “multiculturalismo“) che non solo non c’entra nulla con il problema socio-economico, ma che anzi lo sostituisce nel dibattito pubblico e paradossalmente ne garantisce la perpetuazione, perché l’attenzione viene spostata su altro. La sinistra troppo spesso si lamenta senza avere il coraggio di rompere questo gioco perverso andando alla radice del problema e affrontando con forza il problema della distribuzione delle ricchezze.

Pier Cesare Notaro
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: Il Grande Colibrì / elaborazione da Chidoscool2  (CC BY-SA 3.0)

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