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La situazione per le persone e per la comunità LGBTQIA (lesbica, gay, bisessuale, trans, queer, intersex e asessuale) del Bangladesh è in rapido peggioramento: sembrano passati anni luce da quando la nascita di “Boys of Bangladesh” e il lancio della rivista Roopbaan promettevano una maggiore accettazione per le persone omosessuali e transessuali nel paese.

Che la situazione fosse estremamente critica è noto. Da due anni si susseguono delitti e attentati contro i difensori dei diritti umani e i militanti LGBTQIA (tra le vittime ci sono state anche Xulhaz Mannan, il fondatore dell’unica rivista gay della nazione, e il suo compagno Mahbub Rabbi Tonoy), mentre le minoranze sessuali della capitale Dhaka e del resto del paese hanno cominciato a nascondersi sempre più.

Fondamentalisti in aumento

Ora lo scienziato politico Inge Amundsen sta focalizzando sul Bangladesh l’attenzione del Chr. Michelsen Institute di Bergen, un istituto di ricerca norvegese in scienze sociali che affronta questioni che modellano gli sviluppi globali. Amundsen racconta, attraverso un reportage in varie puntate, la spirale autoritaria che sta interessando lo stato e, soprattutto, l’islamizzazione radicale in corso, che è sfruttata dalle autorità e che sembra promettere un destino ancora più amaro per le persone LGBTQIA nel paese asiatico.

In Bangladesh, nazione che ha già una tradizione di difficile convivenza con le persone con identità di genere o orientamento sessuale non maggioritari, l’islam oggi può vantare una percentuale di fedeli intorno al 90%, in grande crescita negli ultimi due decenni. Ma quello che preoccupa di più è che, all’interno di questa crescita, sono gli estremisti e gli intolleranti ad aumentare maggiormente: il paese ospita infatti vari gruppi fatti in casa di radicali, oltre a numerosi affiliati alle organizzazioni terroriste Daesh (nota anche come Stato Islamico) e Al-Qaeda.

La politica promuove l’odio

In più, sia i partiti di governo che alcuni di quelli all’opposizione soffiano sul fuoco dell’odio nel tentativo di ingraziarsi i favori della popolazione. Questo spiega le reiterate richieste di introdurre il reato di blasfemia e di applicare costantemente la sezione 377 del codice penale bangladese (ereditata dal codice coloniale inglese), che punisce i rapporti sessuali “contro natura” con una condanna che arriva a dieci anni di carcere.

Al momento, a fronte delle rare denunce, si tende a non dare applicazione a quell’articolo di legge, ma un’eventuale intervento del governo o del parlamento per raccomandare un cambio di rotta, insieme a una legge contro la blasfemia (con cui si riuscirebbe a colpire praticamente chiunque si batta per i diritti umani), potrebbe peggiorare ulteriormente le cose.

Una comunità LGBTQIA nascosta

Per ora le organizzazioni non governative e gli attivisti per i diritti LGBTQIA cercano di tenere un basso profilo, sia per non rischiare personalmente la vita, sia per evitare la messa al bando delle loro attività. Da quando ogni bar o ristorante gay-friendly ha chiuso o ha cambiato politica e i punti d’incontro tradizionali rischiano di finire ricattati da qualche poliziotto, Internet è diventato l’unico strumento di collegamento tra le persone omosessuali, bisessuali e transgender.

Secondo il ricercatore e attivista norvegese la situazione non ha nessuna possibilità di migliorare nel prossimo futuro. Ma forse, proprio per questo, il mondo LGBTQIA farebbe bene a tenere gli occhi puntati anche su questa crisi, che pure ci sembra così lontana.

Michele Benini
©2018 Il Grande Colibrì

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