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Confermando le previsioni, è ormai sicuro che al ballottaggio del 6 maggio i francesi dovranno scegliere il proprio presidente tra l’uscente Nicolas Sarkozy (27%) ed il candidato socialista, François Hollande (29%). Quest’ultimo ha conquistato al primo turno un vantaggio notevole e probabilmente decisivo per il secondo turno, anche se desta qualche preoccupazione il risultato non esaltante di Jean-Luc Mélenchon (11%), del Fronte di Sinistra, finito al quarto posto con molti meno voti di quelli che i sondaggi avevano prospettato. Al terzo posto giganteggia Marine Le Pen (18%), che dimostra come il neo-fascismo, se ridotto ad un omogeneizzato senza troppi retrogusti ma con la solita ferocia, possa essere venduto facilmente.

Quali conseguenze avranno queste elezioni sui diritti delle persone LGBTQ* d’Oltralpe? Hollande, il candidato che sembra favorito al ballottaggio, ha fatto moltissime promesse: le coppie dello stesso sesso potranno sposarsi ed adottare bambini, i gay potranno fare donazioni di sangue, i transessuali saranno protetti contro la discriminazione da nuove leggi, la lotta all’omofobia entrerà nei programmi scolastici e nella formazione dei dipendenti pubblici, la Francia sarà un paese plurale, rispettoso di tutte le minoranze, capace di garantire la pacifica e solidale convivenza tra diverse comunità – e non è un caso se il leader socialista, oltre ad essere un candidato orgogliosamente gay-friendly, è anche il preferito dalla comunità musulmana francese, come testimonia il forte attivismo a suo favore delle moschee (Marianne 2).

Sarkozy, invece, ha proposto l’immagine di una “Francia forte“, capace di sconfiggere la crisi economica (come se finora a Parigi avesse governato qualcun altro…), ma soprattutto in cui l’orgoglio nazionale diventerebbe ostilità nei confronti dello “straniero”, la laicità verrebbe sminuita a sterile sinonimo di islamofobia e l’amore per le proprie radici si tradurrebbe nella difesa della famiglia cosiddetta “tradizionale” e nel rifiuto di riconoscere il diritto al matrimonio per lesbiche e gay (Il grande colibrì). Insomma, in termini di razzismo e di omofobia, il programma elettorale del presidente uscente aveva poco da invidiare a quello del Fronte Nazionale di Le Pen (e infatti era largamente scopiazzato da quest’ultimo, nel tentativo, rivelatosi vano, di evitare una fuga di voti a destra).

Tra le questioni dibattute durante la campagna elettorale, ci si è interrogati sull’esistenza o meno di un “voto gay“, argomento sul quale gli esperti si sono divisi. A gennaio una ricerca CEVIPOF annunciava che quasi la metà delle persone LGBTQ* avrebbe votato per un candidato di sinistra, mentre Marine Le Pen avrebbe raccolto, con il 19%, quasi tanti voti quanti quelli di tutti i candidati di destra. Il dato era eclatante, ma niente affatto sorprendente per gli osservatori più attenti: in quei giorni, infatti, usciva il pamphlet di Didier Lestrade “Perché i gay sono passati a destra”, presentato in Italia sulle pagine de Il grande colibrì. E non si poteva comunque dimenticare che alle presidenziali del 2007 il Fronte Nazionale era stato votato, in proporzione, più da bisessuali ed omosessuali che da eterosessuali.

A gennaio e febbraio i sondaggi della rivista LGBTQ* francese Têtu offrivano risultati del tutto in linea: nel voto di gay e lesbiche Hollande risultava primo, Le Pen seconda e Sarkozy non riusciva neppure ad ottenere il terzo posto. Negli ultimi due mesi la situazione sarebbe drasticamente cambiata: se il candidato socialista rimaneva serenamente in testa, Le Pen vedeva dimezzate le proprie intenzioni di voto e invece Jean-Luc Mélenchon scalava la classifica dal sesto al secondo posto. Tuttavia i sondaggi di Têtu purtroppo non soddisfano basilari criteri di scientificità e quindi è difficile capire quanto rappresentino davvero le reali dinamiche del “voto gay”: verranno fatti studi più rigorosi nei prossimi mesi?

Risulta comunque interessare notare come un altro sondaggio di Têtu indichi come le priorità degli elettori LGBTQ* nella scelta del candidato da votare siano molto simili a quelle di tutti gli altri cittadini: la disoccupazione crescente, il potere d’acquisto calante, le ineguaglianze sociali, il debito pubblico… Il 57% comunque avrebbe compiuto la propria scelta elettorale valutando le promesse di maggiori diritti per omosessuali, bisessuali e transessuali (dato del tutto ovvio visto che a rispondere era il pubblico di una rivista gay, quindi persone molto sensibili a questo tema). All’interno della popolazione generale probabilmente il tema è molto meno sentito: secondo una ricerca del Pew Reserch Center, negli Stati Uniti la questione del matrimonio gay sarebbe quella percepita come meno importante dagli elettori. E’ un bene o un male?

 

Pier
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