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No checche”, “MxM”, “Solo maschili, “No donne mancate”: sono frasi che chi ha un profilo sulle varie app di incontro per MSM (men who have sex with men, uomini che fanno sesso con uomini) di qualsiasi paese, conosce benissimo. Frasi dall’apparenza innocua perché – dicono – sono solo espressione di preferenze personali. Frasi che in realtà sono sintomi di quell’omolesbobitransfobia e quella misoginia interiorizzate che dividono gli uomini queer (cis e trans) tra, da una parte, corpi degni di essere inclusi e rappresentati come esempi di successo, in quanto virili e tonici, e dall’altra corpi da escludere e nascondere perché effeminati, magri o grassi.

Un problema che all’estero viene sempre più denunciato tanto dalle associazioni LGBTQIA+ (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) quanto dalle singole persone queer, fino al punto da avere persino un nome. Nei paesi anglosassoni, infatti, si parla di “femmephobia”, mentre in Spagna viene indicato con il termine “plumofóbia”.

In Francia invece, è stato coniato il termine “follophobie” da “folle” (pazza, checca), un termine dispregiativo rivolto a un uomo omosessuale effeminato, e “phobie” (fobia). Le recenti affermazioni del noto personaggio televisivo Matthieu Delormeau sono state l’occasione per misurare la vitalità di questo termine e il radicamento di questo problema dentro e fuori la comunità queer francese, anche negli ambienti solitamente considerati “gay-friendly”.

Omosessuali in TV

Alto, fisico statuario, biondo e dagli occhi azzurri, Matthieu Delormeau ha fatto l’analista finanziario fino al 2003, quando decise di far carriera nel mondo del piccolo schermo, come opinionista e conduttore di rubriche televisive e di vere e proprie trasmissioni, principalmente per i canali NRJ12 e Canal+.

Dal 2015, Delormeau è unə dellə opinionistə della trasmissione serale Touche Pas à Mon Poste ! – TPMP (Non toccare il mio schermo!), condotta dal celebre quanto controverso Cyril Hanouna. TPMP è stata spesso criticata per il suo umorismo che rasenta il bullismo, come dimostra tutta una serie di scherzi pesanti nei confronti dello stesso Delormeau, incluso il suo outing in diretta. Dopo l’ennesimo scherzo omofobo di Hanouna, Delormeau nel 2017 si ritirò dalla trasmissione per quattro mesi, prima di farvi ritorno da bravo figliol prodigo.

matthieu delormeauLo scorso 6 settembre, Delormeau, Hanouna e lə altrə opinionistə della trasmissione hanno commentato insieme le rivelazioni fatte dall’umorista Jarry in merito all’aspetto “gay-friendly” della televisione francese. Jarry, in un’intervista andata in onda durante la trasmissione “On refait la télé” (Rifacciamo la TV), ha rivelato che in passato varie produzioni televisive gli chiesero di “stare attento, perché sei molto effeminato e non bisogna spaventare la casalinga” e di “essere un fr*cio ragionevole [sic!], che non sia rumoroso e che non gridi”.

“Quel tipo di gay”

In reazione a queste rivelazioni, Matthieu Delormeau ha invece deplorato la situazione opposta. Secondo lui, quando si tratta di mostrare uomini gay, la televisione sceglie di mettere sistematicamente in avanti uomini omosessuali che rappresentano lo stereotipo della “follasse” (checca isterica). Per motivare la sua affermazione, ha preso come esempio la prima coppia dello stesso sesso della trasmissione “Danse avec les stars”, la versione francese di “Ballando con le stelle”. Come nell’edizione italiana, le coppie vengono formate da unə ballerinə professionista e da una celebrità. Nel caso della coppia uomo-uomo, la celebrità in questione sarà Bilal Hassani, il cantante e compositore parigino che rappresentò la Francia nel 2019 all’Eurovision Song Contest.

Sono sconvolto che, a ‘Danse avec les stars’, colui che ballerà con un maschio questo anno sia un gay estremamente caricaturale – ha dichiarato l’opinionista – Sono dodici anni che chiediamo a ‘Danse avec les stars’ di far gareggiare due maschi. E ora, quando ci sono due maschi che ballano in coppia, chi c’è? Bilal Hassani”. “Non ho nulla contro Bilal Hassani – prosegue – ma lui è un uomo con una parrucca e le ciglia finte, non mi riconosco in quel tipo di gay”.

Le reazioni dellə altrə opinionistə in studio, soprattutto in merito alle affermazioni del collega sulla partecipazione di Bilal Hassani a “Danse avec les stars”, sono state aspre, tra chi ha fatto notare a Delormeau la sua mancaza di solidarietà e di empatia nei confronti dell’artista in quanto gay e chi ha affermato che ci sono diversi modi di essere omosessuale, incluso quello scelto da Bilal Hassani.

Sulla scia della polemica, sono state evocati i possibili motivi che hanno spinto TF1, il canale che trasmette il programma, a scegliere Bilal Hassani e non altri “tipi di omosessuali”, tra cui il fatto che vedere due uomini dall’aspetto “virile” ballare in coppia mette ancora oggi un’ampia fetta del pubblico televisivo a disagio. Alla domanda “Secondo te, quale sarebbe una buona rappresentazione di un uomo gay?”, Delormeau ha risposto che la scelta di personaggi caricaturali, come Hassani, da parte delle produzioni TV non fa altro che alimentare l’omofobia (sic!).

Accuse di “follophobie”

Bisogna però uscire dallo studio di TPMP per trovare la parola “follophobie” associata a questa vicenda quantomeno offensiva verso chi è gay ed esprime il suo genere in modo diverso rispetto alla norma patriarcale. Su Twitter, per esempio, diversə utenti hanno etichettato come “follophobe” il personaggio televisivo, mandando in trending topic gli hashtag #TPMP e #Delormeau, e ricordando che sono statə i gay effeminati, le persone trans, le lesbiche a portar avanti le lotte della comunità LGBTQIA+, e non i cosiddetti gay “masc4masc”.

Infine, la rivista queer Têtu ha dedicato un editoriale alla vicenda in cui la parola viene utilizzata per indicare un’evoluzione dell’omolesbobitransfobia, in particolare quella interiorizzata, e avviare una riflessione sugli effetti che questo odio interiorizzato ha sugli uomini queer.

In Francia la riflessione proposta dall’editoriale di Têtu deve ancora radicarsi nella cultura LGBTQIA+ mainstream, ma è già emersa al livello delle singole associazioni da qualche anno a questa parte, come dimostrano le affermazioni del presidente di SOS Homophobie, Joël Deumier. Intervistato nel 2019 per commentare l’uscita omofoba dell’attore Pierre Palmade in una trasmissione televisiva, Deumier definì la follophobie come “un discorso che mira a mantenere una norma patriarcale ed eteronormata secondo cui un uomo deve incarnare un certo tipo di mascolinità”.

Altro esempio dell’esistenza di un dibattito attorno alla follophobie all’interno delle associazioni queer francesi, è il comunicato rilasciato nel 2017 dalla Fédération LGBTI+, in occasione della Giornata internazionale della donna. In quel comunicato, l’associazione, che riunisce varie realtà LGBTQIA+ francesi, evoca la follophobie tra le discriminazioni che minano l’uguaglianza tra “tutti i sessi e tutti i generi”.

drag queen effeminato cuoriE in Italia?

Nonostante il problema dell’omolesbobitransfobia interiorizzata e delle sue varie forme siano ormai un tema affrontato all’interno della comunità queer italiana (e non solo, come testimoniano vari studi di istituti e centri di psicoterapia) ancora non esiste un termine specifico, in lingua italiana, che indichi l’insofferenza e il disprezzo che molti gay provano verso un uomo omosessuale effeminato.

Per cui, come succede sempre in Italia quando si vuole nominare un fenomeno sociale di cui si discute già all’estero, si ricorre al prestito alla lingua franca dei nostri tempi, l’inglese. Lo dimostra ad esempio un articolo di Vice del 2020 sull’omolesbobitransfobia e il razzismo all’interno della comunità LGBTQIA+, in cui viene identificato come “femmephobia” “l’odio per le persone la cui espressione di genere non rispecchia gli standard di mascolinità socialmente accettati, anche all’interno della comunità gay”.

Avere una parola in lingua italiana con cui indicare un problema concreto che avvelena i rapporti che un uomo gay o bisex ha sia con il proprio corpo, sia con altri uomini queer, è quindi un primo passo per avviare una più ampia riflessione su questa forma di omolesbobitransfobia interiorizzata. Una riflessione collettiva che, da un lato, renderebbe la comunità gay italiana più resistente al discorso eteronormativo e omolesbobitransfobico della società che la circonda; e dall’altra, costituirebbe una battaglia intersezionale, dato che unirebbe la lotta all’omolesbobitransfobia e quella alla misoginia (altro problema strutturale del Belpaese) nella rappresentazione mediatica e artistica.

Un detto francese incita a “chiamare un gatto, un gatto”, ovvero a chiamare le cose con il proprio nome, senza troppi giri di parola. In questo caso, il gatto francese si chiama “follophobie”. Come si chiamerà il gatto italiano?

Stefano Duc
©2021 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da Piqsels (CC0) / Twitter / da Madonna Celeb (CC BY 2.0)

 

Stefano Duc: “Nato a Firenze e laureato in lingue straniere e scienze della comunicazione, ho iniziato a fare attivismo nel 2020, mettendo a disposizione dell’associazione Il Grande Colibrì la mia passione per la scrittura giornalistica. > leggi tutti i suoi articoli

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