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Come ogni 17 maggio dal 2004, anche ieri si è celebrata la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia (IDAHOT): in tutto il mondo sono state organizzate iniziative molto diverse tra loro per denunciare l’odio e il pregiudizio nei confronti delle persone LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali). C’è chi si è concentrato sulle difficoltà di casa propria e chi non ha dimenticato le persecuzioni in atto nel resto del mondo: ancora 75 stati considerano i rapporti tra persone dello stesso sesso un crimine da punire con il carcere o persino, in 13 paesi, con la condanna a morte. Negli ultimi dieci anni solamente 17 stati hanno depenalizzato il sesso gay. Intanto ben 17 paesi hanno introdotto leggi che puniscono la fantomatica “promozione dell’omosessualità”, cioè la semplice espressione del proprio orientamento sessuale e la lotta contro i pregiudizi.

EX UNIONE SOVIETICA: ANCORA ARRESTI

Queste norme contro la “propaganda gay” sono state inventate dalla Russia di Vladimir Putin e si sono diffuse poi in vari paesi dell’ex Unione Sovietica [Il Grande Colibrì], seducendo però anche politici e leader religiosi di regioni molto più lontane. E’ proprio in base a queste leggi che i 40 attivisti che hanno partecipato a un flashmob a San Pietroburgo, con lancio di palloncini arcobaleno, potrebbero finire davanti a un giudice e essere condannati. Un portavoce ha detto a Gay Star News: “L’IDAHOT rimane una delle giornate più importanti per dire alla nostra società che esistiamo e che, nonostante ogni cambiamento, le comunità LGBT russe troveranno sempre un modo per essere ascoltate”.

Intanto in Georgia, repubblica post-sovietica a sud della Russia, dieci persone sono state arrestate per aver cercato di scrivere “Tutto l’amore è uguale” su un muro di proprietà della Chiesa ortodossa georgiana come denuncia della deriva sempre più omofoba e xenofoba che ha dato vita a un’alleanza di fatto tra l’istituzione religiosa e l’estrema destra. La capitale Tbilisi, quindi, ieri ha visto ben tre manifestazioni: una davanti il tribunale, per chiedere la scarcerazione degli attivisti; una davanti al ministero degli interni, per protestare contro l’asservimento della politica alle direttive ecclesiastiche; e una davanti a un hotel che ospitava il Congresso mondiale delle famiglie, incontro internazionale per celebrare le cosiddette “famiglie tradizionali” e condannare le unioni omosessuali [Georgia Today].

MANIFESTAZIONI IN LIBANO E IN KOSOVO

Erano due le iniziative in programma a Beirut, la capitale del Libano, ma le forti pressioni dei leader cristiani hanno portato all’annullamento dell’incontro promosso da Proud Lebanon (Libano fiero). Si è svolta invece regolarmente la protesta davanti alla sede della polizia organizzata da Helem (Sogno): i manifestanti, con slogan come “L’omosessualità non è una malattia”, “Il sesso non è illegale, la vostra legge è arcaica” e “Abolite il 534”, con riferimento all’articolo del codice penale che prevede fino a un anno di carcere per chi ha rapporti gay, hanno denunciato in particolare le retate sbirresche nei luoghi di incontro gay, che portano a arresti spesso in base alla semplice apparenza poco “virile” delle persone [L’Orient-Le Jour].

Ma è in un altro paese a maggioranza musulmana che si è svolta la manifestazione politicamente di maggiore successo: se alla vigilia si temevano violenze contro la marcia organizzata a Pristina, capitale del Kosovo, tutto si è svolto in modo pacifico. Anzi, per le strade della città sono scese molte più persone di quanto previsto, tra cui persino il neo-eletto presidente della repubblica Hashim Thaci, di centro-destra. Thaci ha ribadito che tutte le persone, indipendente dalla loro sessualità, devono godere di uguali diritti [Rappler]: la costituzione del Kosovo vieta esplicitamente le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e, secondo il presidente della Corte costituzionale, consente i matrimoni tra persone dello stesso sesso.

 

Pier
©2016 Il Grande Colibrì

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