Skip to main content

In Turchia a fare un profondo respiro di sollievo sono in tanti, comprese le persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender): il progetto di accentrare tutto il potere nelle mani di Recep Tayyip Erdogan, presidente del paese e leader di una destra islamista sempre meno moderata, è stato scongiurato. Nelle elezioni politiche di ieri, il suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) non solo ha mancato l’obiettivo di conquistare il 60% dei voti, precipitando dal quasi 50% del 2011 al 41% di oggi, ma ha anche perso la maggioranza assoluta in parlamento (dei 327 seggi conquistati quattro anni fa, ne conserva solo 258, lontano dai 276 necessari per governare da solo). Intanto, il kemalista Partito Popolare Repubblicano (CHP) mantiene il 25% dei consensi (132 seggi), mentre l’estrema destra del Partito del Movimento Nazionalista (MHP) supera il 16% e ottiene 80 seggi.

Ma il vero vincitore delle urne è il Partito Democratico del Popolo (HDP), il partito pro-curdo di estrema sinistra che ha raccolto il vento di ribellione delle proteste di piazza Taksim e del parco Gezi (ilgrandecolibri.com) e che molti analisti hanno ribattezzato “la Syriza turca” per la sua vicinanza ideologica con il partito di Alexis Tsipras in Grecia. La forza politica, fondata nel 2012, è riuscita a presentarsi come un soggetto credibile nella difesa della democrazia, dei diritti umani e delle minoranze, spaziando da quelle etniche a quelle religiose, senza dimenticare ovviamente omosessuali e transessuali, e ha raccolto il 13% dei voti, superando di slancio la soglia del 10% e conquistando 80 seggi.

L’ottimo risultato dell’HDP è arrivato nonostante la diffidenza di molti turchi nei confronti di un movimento ritenuto vicino al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), nonostante una lunga serie di attentati contro le sue sedi e i suoi militanti e nonostante i pesantissimi attacchi arrivati dal partito di maggioranza.

Lo stesso Erdogan ha pubblicamente accusato l’HDP di essere sostenuto dai “rappresentanti della sedizione“, che ha pure elencato: i giornalisti turchi non filo-governativi, i giornalisti stranieri, le minoranze etniche e religiose e, ovviamente, gli omosessuali (hurriyetdailynews.com). Con queste parole, il presidente turco non solo ha dimostrato quanto sia regredito dal 2003, quando, in corsa per diventare primo ministro, giudicava “essenziale” proteggere i diritti delle persone LGBT, ma ha finito per gettare alle ortiche gli sforzi del suo partito di apparire aperto a tutti, “anche agli omosessuali“, come declamavano alcuni volantini della campagna elettorale (tacendo del fatto che nessun parlamentare dell’AKP ha difeso i diritti LGBT nella legislatura appena conclusa; dw.de).

Tra i candidati del Partito Democratico del Popolo che hanno avuto più visibilità sulla stampa nazionale e internazionale, c’era il famoso attivista gay Baris Sulu, inserito nelle liste del partito filo-curdo a Eskisehir, nel nord-ovest dell’Anatolia. Sulu è diventato celebre quando, nel 2011, ha iniziato una battaglia legale e politica per poter sposare il suo compagno, un ragazzo transessuale FtM (dal femminile al maschile). In queste elezioni è diventato il simbolo del patto tra democratici e minoranze che ha portato al successo dell’HDP (hurriyetdailynews.com). Meno note sono le due attiviste lesbiche femministe candidate dal partito, Ozlem Sen (a Mersin) e Gulistan Aydogdu (ad Ankara).

A Izmir, invece, la prima candidata transessuale del paese, Deva Ozenen (ilgrandecolibri.com), correva per il Partito dell’Anatolia (AP), che però, con meno dello 0,1% dei voti, non ha eletto nessun parlamentare. La candidatura di Ozenen, attivista trans che non ha nascosto il suo passato di prostituzione, ha comunque rotto un tabù e ha dato voce a chi chiede di proteggere le persone LGBT dalla violenza e dalla discriminazione, denunciando l’inerzia della politica e delle forze dell’ordine. “In alcuni paesi combattono per il diritto di sposarsi – sintetizza Ozenen – Noi non abbiamo ancora il diritto alla vita: la nostra è una guerra per la libertà” (huffingtonpost.com).

Ovviamente non sono tutte rose e fiori: non solo la destra omofobica, tra AKP e MHP, continua ad essere maggioritaria, ma anche le scelte della sinistra laica non convincono tutti. Il CHP, che pure aveva fatto eleggere la prima consigliera municipale lesbica pochi mesi fa, non ha candidato nessuna persona LGBT. E persino l’HDP ha inserito i suoi tre candidati in posizioni che ne rendevano assai improbabile l’elezione (Sen era quarta in lista, Aydogdu dodicesima, Sulu addirittura ultimo). “Se fossero davvero sinceri quando dicono di voler rappresentare la comunità LGBT, dovrebbero posizionare le persone LGBT in cima alle liste” si lamenta Kemal Ordek, attivista dell’associazione trans Ombrelli rossi di Ankara (globalpost.com).

Eppure tutti i candidati sono molto soddisfatti: hanno rotto un tabù, hanno rinsaldato l’alleanza tra gruppi democratici e minoranze nata a Gezi (“La repressione del governo ha trasformato gruppi tra loro lontani in persone che ora si sentono unite emotivamente, che sentono empatia le une per le altre“, raccontavamo allora su ilgrandecolibri.com) e soprattutto hanno contribuito a frenare l’inquietante ambizione di Erdogan. La ricostruzione di una Turchia laica è solo all’inizio, ma la prima pietra è stata posata.

 

Pier
Copyright©2015ilgrandecolibri.com
segui MOI Musulmani Omosessuali in Italia

Leave a Reply