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Nel piccolo sultanato del Brunei i “rapporti carnali contro l’ordine della natura“, tra cui viene incluso il sesso tra due uomini o tra due donne, sono puniti con condanne fino a 10 anni di carcere. Ma ora il governo sembra intenzionato a imporre dal mese prossimo, come discusso da tempo, le regole del diritto islamico nella sua interpretazione più oscurantista.

Pena di morte

Ryan Silverio, coordinatore dell’ASEAN SOGIE Caucus (Gruppo di lavoro su orientamento sessuale e identità ed espressione di genere nell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico), spiega: “Con la piena implementazione della sharia come legge penale, si applicheranno pene severe contro le relazioni omosessuali consensuali, inclusa dal pena di morte tramite lapidazione“. Non bisogna dimenticare che la stessa sorte toccherebbe anche ad altre persone, per esempio gli adulteri, e colpirebbe soprattutto le donne.

L’allarme è condiviso da molti attivisti LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali), che chiedono all’opinione pubblica internazionale di fare pressioni per evitare questi cambiamenti legislativi, che rimangono piuttosto vaghi e che non sono stati confermati dal governo di Brunei.

Omofobia regionale

In ogni caso, la situazione dei diritti delle minoranze sessuali non sta peggiorando solo in Brunei, ma in gran parte del sud-est asiatico: una spaventosa ondata di omofobia e transfobia sta travolgendo in particolare l’Indonesia, dove si assiste a una campagna elettorale fortemente basata sull’uso delle persone LGBTQIA come capri espiatori. Anche in Malesia la politica attacca spesso e volentieri omosessuali e trans, ma almeno nel paese la reazione della società civile è più forte. In Brunei, invece, sembrano prevalere paura e silenzio.

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

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