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L’imam Ludovic-Mohamed Zahed e il regista e attivista Wajahat Abbas Kazmi il 24 ottobre sono stati ospiti di una giornata dedicata all’intreccio tra le tematiche islamiche e LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) presso l’Università di Napoli “L’Orientale”.

L’evento “Islam and Lenses of Gender” (Islam e prospettive di genere) è stato ideato e realizzato da studenti e studentesse della neonata associazione multiculturale Dimbaya e del Gruppo Hissa (condivisione, in urdu), nato con lo scopo di ascoltare ed essere ascoltati, di dare spazio ai più deboli, con un particolare focus sulla comunità LGBTQIA islamica. L’idea di dedicare un’intera giornata alla tematica è sorta in seno al corso di Gender politics in contesto islamico della professoressa Ersilia Francesca e ai seminari sullo stesso tema della dottoressa Sara Borrillo che, con altri docenti dell’ateneo, hanno sostenuto l’iniziativa. Di seguito un assaggio dei momenti salienti della giornata.

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L’imam Zahed

La prima parte della giornata è stata dedicata principalmente alla questione del rapporto tra diritto islamico e sessualità, tema che con la professoressa Tolino abbiamo affrontato qui su Il Grande Colibrì. L’imam Ludovic-Mohamed Zahed, direttore del centro CALEM, fine studioso di islam e profondo conoscitore delle fonti medievali, ha dato grande spazio alla tanto controversa questione dell’omosessualità. Tuttavia, il contributo dell’imam, spesso superficialmente descritto come “il famoso imam gay”, va oltre le questioni LGBTQIA.

Attraverso evidenze storiche ci parla di comunità islamiche dove la pluralità di opinioni e il rispetto delle differenze erano la norma. Con un ragionamento chiaro e onesto sviscera il significato della parola “fascismo” inteso in senso ampio, fuori dal contesto in cui la parola è stata coniata. Il fascismo è l’imposizione del pensiero unico e la negazione delle differenze, è l’oppressione delle minoranze. Le parole dell’imam sono un continuo invito a ricercare la spiritualità e la fede al di là dei condizionamenti culturali e sociali, a seminare pace e apertura verso l’altro, a superare l’istinto a giudicare, per sfuggire al veleno della presunzione.

wajahat abbas kazmi napoli

Allah Loves Equality

Il pomeriggio continua con la visione dell’ormai noto documentario “Allah Loves Equality” del regista Wajahat Abbas Kazmi presso l’Ex Asilo Filangieri, nel centro storico di Napoli. Il documentario, dedicato alla comunità LGBTQIA in Pakistan, dopo un breve preambolo storico sul paese, racconta di persone omosessuali e trans, attivisti, ma soprattutto musulmani. Da credente musulmana, riecheggiano in me parole e modi di fare.

Una donna trans, Bubbli Malik, ringrazia Dio di averla creata sia maschio che femmina, con una grande pazienza per sopportare le pressioni e l’emarginazione sociale. Le donne trans in Pakistan hanno grande difficoltà ad abitare lo spazio pubblico, qualcuna di loro addirittura preferisce vestirsi da uomo quando esce per strada. E lo fanno indossando un berretto, perché essendo musulmane, le donne trans pakistane indossano il velo. Non tutte, come da ogni parte del mondo, eppure quelle che lo fanno, devono subire sguardi ostili, insulti e a volte violenza a causa della loro identità sessuale. Per me è facile creare solidarietà con loro, perché indosso il velo e sono italiana e queste due caratteristiche insieme spesso non sono comprese dalla società in cui vivo.

E gli omosessuali? Il documentario ci racconta di ragazzi che devono nascondersi per tutta una vita, che devono inventare mille scuse per rifiutare matrimoni imposti, che spesso si lasciano, perché non riescono ad affrontare il peso del rifiuto della famiglia e la marginalizzazione sociale. Sono sicura che anche in questo caso, in particolare noi donne musulmane, soprattutto quelle con una famiglia di background migratorio, potrebbero trovare molti punti di contatto per creare solidarietà e dare sostegno.

Leggi anche: Anch’io, etero e cristiana, sostengo “Allah Loves Equality”

Essere minoranza

Non è solo una questione di islam, né di genere o di orientamento sessuale: durante tutta la giornata sono emerse alla luce le problematiche e la sofferenza di chi, pur di essere fedele a se stesso e di vivere in modo autentico, è costretto a oltrepassare le categorie, a vivere la fluidità della vita, dovendo sempre negoziare fra ciò che si aspettano gli altri e ciò che ci rende felici. È la sfida di chiunque voglia vivere la propria pratica spirituale come un soffio di libertà piuttosto che come un insieme di regole vuote. È la fatica di chi cerca di ordinare il caos che trova dentro e fuori di sé.

Tutto ciò viene chiamato “essere minoranza”, non intesa in senso quantitativo, ma qualitativo: valgono di meno le donne, i rifugiati, gli omosessuali, i musulmani, i trans, i disabili, i poveri. Pensiamoci un attimo: se tutti quelli che vivono nella condizione di minoranza nello spazio sociale si unissero con lo scopo di creare una società più giusta che promuova il rispetto e l’armonia tra le differenze, come sarebbe il mondo?

Rosanna Maryam Sirignano
©2019 Il Grande Colibrì
foto: ©2019 Gabriele Turco per Il Grande Colibrì

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