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“Infiltrati”: incredibile, ma vero, è così che fin dal 1954 la legge israeliana indica i rifugiati. E questo è solo un piccolo indizio della durezza e insensibilità delle politiche dello stato mediorientale nei confronti di chi fugge da guerre e persecuzioni nel proprio paese d’origine. “Le domande d’asilo presentate dagli ‘infiltrati’ eritrei e sudanesi non sono trattate in modo corretto ed efficace“, si limitava a ricordare con estrema diplomazia a novembre dell’anno scorso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). E la situazione è ulteriormente peggiorata: persino The Times of Israel, giornale apolitico, non ha esitato a pubblicare un editoriale in cui si parla apertamente di “crimine“.

Asilo, maglia nera a Israele

Ma facciamo un passo indietro. Israele è sotto accusa già da molti anni perché, anche se ha aderito alla Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati del 1951, non la rispetta minimamente: il paese non fornisce neppure l’assistenza sanitaria di base, i servizi sociali essenziali o l’aiuto legale e anzi è maglia nera nel rispetto dei diritti dei richiedenti asilo con un tasso di risposte positive alle richieste di protezione internazionale che non raggiunge neppure l’1% (uno per cento: non è un errore di battitura). Questa percentuale ridicola è valida persino per gli eritrei, persone che provengono da un paese talmente dispotico da aver ricevuto in Europa, nell’ultimo trimestre del 2016, risposte positive nel 92% dei casi.

Gli attivisti per i diritti umani da tempo denunciano come il governo sostanzialmente neghi il proprio dovere di accoglienza e faccia di tutto per “rendere la vita miserabile” ai richiedenti asilo, in nome di un fantomatico pericolo di ribaltamento demografico, quella assurda “invasione” denunciata da tutti i governi xenofobi di estrema destra anche in Europa. Come afferma Dror Sadot, portavoce dell’ONG Hotline for Refugees and Migrants (Linea diretta per rifugiati e migranti; HRM), i richiedenti asilo “qui non hanno alcun riconoscimento, non gli viene riconosciuta la condizione di rifugiati. Il governo li chiama ‘infiltrati’, ma loro pagano le tasse, anche se non gli viene riconosciuto nessun diritto sociale. Israele semplicemente rigetta tutte le sue responsabilità e tutti i suoi obblighi nei confronti dei richiedenti asilo”.

Rifugiati deportati in Uganda

Come si diceva inizialmente, nell’ultimo periodo la situazione è persino peggiorata, in modo assurdo e grottesco: in base a un accordo denunciato già quattro anni fa dagli attivisti per i diritti umani, il governo israeliano ha deciso di espellere i rifugiati sul suo territorio in Uganda e in Ruanda. I richiedenti asilo possono scegliere tra due opzioni: o rimanere in carcere in Israele a tempo indeterminato o essere imbarcati verso uno dei due stati autoritari africani, dove, privi comunque di qualsiasi permesso di soggiorno, non possono far altro che affidarsi ai mercanti di esseri umani nella speranza di raggiungere l’Europa.

Se tutto questo appare già molto grave, c’è molto di peggio: come testimoniano diverse inchieste giornalistiche, alcuni sudanesi ed eritrei hanno accettato di imbarcarsi per l’Uganda, ma in realtà sono stati fatti salire su aerei diretti verso i paesi di origine. I regimi li hanno subito presi in consegna, arrestandoli, derubandoli e sottoponendoli a violenze fisiche e sessuali.

“LGBT a rischio della vita”

In questa situazione catastrofica, desta particolare inquietudine la sorte dei richiedenti asilo LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali), perché, anche se non venissero rimpatriati con l’inganno, finirebbero comunque in due stati particolarmente ostili con le minoranze sessuali: le discriminazioni in Ruanda sono molto forti, mentre in Uganda si rischia persino l’ergastolo. La professoressa Shira Kupfer, responsabile di Aguda, la principale associazione arcobaleno israeliana, non usa mezzi termini: “Se deportiamo i rifugiati LGBT in questi paesi significa che li stiamo mettendo in pericolo, anche di vita”.

L’autorità per la popolazione, l’immigrazione e le frontiere, comunque, ha fatto sapere di non vedere alcuna ragione per non deportare anche queste persone. Intanto, però, continua a circolare la leggenda secondo cui Israele sarebbe un rifugio per le persone omosessuali e transgender perseguitate. Peccato che la destra israeliana denunci l’omofobia degli altri paesi solo quando serve per giustificare politiche razziste, mentre quando si tratta di muovere un dito per salvare delle persone quegli stessi paesi si trasformano in luoghi dove le minoranze sessuali possono vivere senza nessun problema. Il magico potere della propaganda…

Pier Cesare Notaro
©2018 Il Grande Colibrì

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