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Si può costruire un movimento politico partendo dalla poesia? È questa la sfida lanciata dal Women’s Leadership Centre (Centro di leadership femminile) con il Namibian Lesbian Festival, una serata di performance poetiche arrivata quest’anno alla sua terza edizione e ospitata dal centro culturale franco-namibiano di Windhoek, capitale di questo stato dell’Africa meridionale. Con i loro versi, le donne lesbiche raccontano le proprie esperienze di vita, le discriminazioni, le violenze, gli amori e le speranze, si riconoscono le une nelle altre, condividono dolore e rabbia, costruiscono fiducia e solidarietà. E, in poche parole, diventano una comunità, sempre più consapevole della forza che singole persone possono conquistare quando si organizzano insieme.

Questo interesse per la poesia ha iniziato a organizzarsi tempo fa, con una piccola rivista che raccoglieva versi sugli amori tra donne. Quando la pubblicazione ha acquisito più notorietà, però, è diventata il bersaglio di una valanga di insulti e di minacce. Nella campagna d’odio si sono inserite anche le chiese, infiammando ancora di più i discorsi. In Namibia le lesbiche sono pesantemente discriminate: “Siamo demonizzate, disumanizzate, vilipese e violate“, sintetizza una delle organizzatrici del festival. Il lesbismo comunque non è reato.

Al contrario, la legge considera un crimine “i rapporti sessuali anali intenzionali tra due maschi umani” e giudica come “pratiche immorali” persino le semplici manifestazioni di affetto tra uomini. Anche se queste norme non sono più messe in pratica da tempo e anzi i namibiani sono uno dei popoli africani più accoglienti con le minoranze sessuali, il parlamento non ha mai accettato di decriminalizzare la “sodomia” e le dichiarazioni omofobe dei politici sono tutt’altro che rare. Nella battaglia delle parole, vinceranno i versi delle lesbiche o i versacci degli intolleranti?

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

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