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Di fronte al massacro sommario che ha promosso in una lotta alla droga tanto spietata quanto cieca, con migliaia di presunti spacciatori e consumatori di stupefacenti giustiziati per strada [Rappler], i voltafaccia del nuovo presidente filippino Rodrigo Duterte sembrano quasi barzellette. L’uomo, conosciuto per il suo populismo sfrenato e per il linguaggio volgare, è capace di dire e fare tutto e il contrario di tutto. E sui diritti delle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali) non fa eccezione.

In campagna elettorale aveva usato più volte insulti misogini e omofobi, arrivando persino a fischiare dietro una giornalista durante una conferenza stampa e a raccontare barzellette sugli stupri, ma aveva anche promesso di legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso, affermando che ci sarebbe “un errore nella Bibbia” quando non riconosce le unioni omosessuali.

In un recente intervento ha capovolto completamente la sua posizione: pur ricordando di avere tanti amici e parenti gay, ha spiegato che non cederà alle richieste di riconoscere le nozze omosessuali e a presunte pressioni dagli Stati Uniti. “Questa è la loro cultura – ha detto – Si può fare, ma non si può farcelo fare, perché noi siamo cattolici e abbiamo il nostro codice civile che dice che io posso sposare solo una donna e una donna può sposare solo un uomo” [Sun Star].

Le contraddizioni di Duterte riflettono comunque le contraddizioni di tutto il governo: da una parte la Commissione per l’istruzione superiore pretende il rispetto di “standard minimi per promuovere politiche, curricula e materiali didattici sensibili al genere e a favore dei diritti”, spingendo due università – l’Ateneo di Davao prima [Inquirer] e il Liceo delle Filippine di Manila adesso [Rappler] – a costruire bagni non differenziati per sesso, dall’altra il ministero dell’educazione cancella la campagna di lotta all’HIV nelle scuole, con distribuzione di preservativi, cedendo alle pressioni della Chiesa cattolica [Inquirer].

Le contraddizioni riguardano anche l’esercito, che ha lanciato una campagna di reclutamento apposta per omosessuali e transgender. Peccato che l’appello in cui si promette un clima aperto e privo di discriminazioni e pregiudizi si concluda con una frase decisamente infelice: “Abbiamo una sola raccomandazione: dal momento in cui le persone LGBT si candidano e sono arruolate nelle forze armate delle Filippine, gli ricordiamo che devono agire e comportarsi con dignità e con il dovuto rispetto dell’uniforme” [ABS-CBN News]. Alla chiamata alle armi ha risposto entusiasta Geraldine Roman, la prima parlamentare trans del paese [Il Grande Colibrì], che ha annunciato di volersi arruolare [Inquirer].

Ma nelle Filippine le contraddizioni non sono presenti solo nel governo o nell’esercito: la società filippina ha tanto il volto di Regan de Guzman, la prima golfista lesbica professionista del paese, celebrata dalla stampa [LGBT Weekly], quanto quello di Kathleen Ann Barrientos, una ragazza lesbica di 23 anni brutalmente uccisa a Lapu-Lapu, nell’isola di Cebu [Cebu Daily News]. Anche nelle Filippine le cose cambiano, ma non si sa bene verso quale direzione. E questo non vale solo per questo paese.

 

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

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