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Già il primo matrimonio omosessuale tra musulmani era stato meraviglioso. Anche quest’altro primo matrimonio omosessuale tra musulmani è stato toccante. E probabilmente pure il prossimo primo matrimonio omosessuale tra musulmani sarà fantastico. D’altra parte non ci siamo commossi di fronte a ogni singolo primo imam apertamente gay? E quante volte abbiamo festeggiato la primissima moschea dichiaratamente accogliente verso le persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali)? Sarà colpa di giornalisti sbadati o furbetti o dell’emozione che fa la fa sembrare sempre la prima volta?

Le nozze di Jahed e Sean

Ma facciamo un passo indietro e raccontiamo l’ennesimo “primo matrimonio gay tra musulmani”. A Wallsall, in Inghilterra, Jahed Choudhury, ragazzo di 24 anni di origini bangladesi, ha sposato Sean Rogan, di 19 anni. La cerimonia è stata molto intima e privata, ma i due ragazzi hanno deciso di diffondere la notizia e le bellissime fotografie. Le motivazioni le spiega Jahed: “Voglio dire a tutte le persone che vivono la mia stessa situazione che è ok. Vogliamo mostrare al mondo intero che si può essere gay e musulmani”.

Il giovane non nasconde le difficoltà, evidenti già dal fatto che nessun familiare lo ha accompagnato nel giorno delle nozze: “La mia famiglia non è voluta venire, non vogliono vedere questa cosa. Per loro è troppo imbarazzante: pensano che sia una malattia e che può essere curata. Alcuni parenti la chiamano ancora una fase”. I problemi maggiori, però, Jahed li ha vissuti fuori da casa. A scuola i bulli lo hanno preso di mira perché lo giudicavano straniero ed effeminato. Dalla moschea è stato cacciato dopo 15 anni di frequentazione. Per strada alcuni ragazzi musulmani lo hanno aggredito e perseguitato, arrivando a scrivere “frocio” sulla porta di casa sua, con lo spray. Disperato ed esasperato, Jahed ha tentato anche il suicidio.

Poi un giorno, cupo come tutti gli altri, mentre Jahed piange sulla panchina di un parco, ecco un raggio di sole insperato: è un ragazzo sconosciuto che gli si siede accanto, è Sean, è l’amore. Due anni dopo, vestiti in abiti tradizionali del Bangladesh, si sposano.

(C’)è sempre una prima volta

La storia di questi due ragazzi deve essere raccontata e divulgata, perché è appassionante e meravigliosa, ma anche perché è un esempio utile come pochi altri per milioni di giovani omosessuali musulmani. E i media hanno fatto benissimo a diffonderla, anche se, come troppo spesso accade, hanno esagerato.

Express & Star, che è il primo a lanciare la notizia, spiega che sarebbe stato “il primo matrimonio tra persone dello stesso sesso nel Regno Unito a coinvolgere un musulmano”, anche se i due sposi non sembrano mai aver sostenuto una cosa del genere. L’Independent, che evidentemente si accorge che è sciocchezza, cerca una via di mezzo tra la necessità di tutelare la propria reputazione e la voglia di scoop: titola sul “primo matrimonio”, ma poi scrive di “non poter confermare se sia stato il primo matrimonio tra persone dello stesso sesso a coinvolgere un partner musulmano nel Regno Unito”. Il giornale arriva persino a chiedere lumi all’Office for National Statistics (Ufficio per le statistiche nazionali; ONS), che ovviamente risponde di non registrare la religione degli sposi nei matrimoni civili.

“Diffondete solo stereotipi!”

Ma questi giornali e chi ha ripreso la notizia (in Italia l’Huffington Post decide di strafare e trasforma queste nozze addirittura nel primo matrimonio gay con un partner musulmano in assoluto) non avevano bisogno di scomodare i centri di ricerca: sarebbero bastati i motori di ricerca. Infatti, i matrimoni con un coniuge musulmano o con entrambi gli sposi di fede islamica sono ormai numerosi e per questo si capisce la protesta partita sui social network.

La drag queen Asifa Lahore, per esempio, scrive su Facebook: “Numerosi musulmani LGBT si sono sposati dal 2014: io stesso mi sono unito civilmente e poi sposato con un altro uomo musulmano dichiaratamente gay! Siamo emarginati come comunità reale e i media mainstream dovrebbero fare di più per rappresentarci correttamente. Non è una reazione a questo matrimonio in particolare, ma ai media mainstream che cercano costantemente di diffondere stereotipi”.

L’Independent ha nascosto l’errore sotto il tappeto, riscrivendo il titolo e tagliando il testo dell’articolo senza dare conto delle modifiche ai propri lettori (ma la prima versione della pagina può essere ancora consultata su Wayback Machine). Altri hanno preferito fare finta di niente o non si sono neppure accorti di nulla (cosa sia peggio per un giornalista è difficile dirlo).

Storie uniche o percorsi comuni?

La sete di sensazionalismo, che porta a gridare ogni volta alla prima volta, ha effetti profondamente negativi sulle persone più deboli e isolate: se importanti e costanti fenomeni di apertura, per quanto magari lenti e ancora minoritari, sono presentati come eventi unici e singolari, chi deve affrontare l’ostracismo della propria famiglia o della propria comunità religiosa avrà a disposizione solo dei modelli meravigliosi, ma straordinari e per questo apparentemente irriproducibili. E invece questi episodi sono frutto di un contesto e in un’evoluzione che li rende sempre più ripetibili e c’è una comunità e c’è una storia che, se conosciute, potrebbero accogliere chi crede di essere solo a dover affrontare situazioni eccezionali.

È quello che cerchiamo di fare ogni giorno come associazione. Ed è quello che vogliamo continuare a fare anche con il documentario “Allah Loves Equality” (Allah ama l’uguaglianza), con cui il regista e attivista pachistano Wajahat Abbas Kazmi ci racconterà la vita reale della comunità LGBTQIA in Pakistan, tra ombre e luci, tra gioie e dolori, senza correre dietro a sensazionalismi, senza cercare di costruire scoop. Il film non sarà un grido al deserto, ma un dialogo con persone vere, concrete, con cui capirsi e confrontarsi, con cui creare ponti e iniziare percorsi. Un percorso in cui voi stessi potete coinvolgervi, con una donazione alla raccolta fondi su Produzioni dal Basso e/o contattandoci sulla pagina Facebook del progetto.

Pier
©2017 Il Grande Colibrì

 

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