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Paese dalle mille sfaccettature, il Sudafrica è l’unico stato del continente africano a riconoscere pieni diritti alle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender), compresi il matrimonio e l’adozione, ma con manifestazioni di odio omo e transfobico frequenti, che sfociano in discriminazioni e “stupri correttivi”. Oggi il paese celebra un nuovo primato, ospitando – tra le polemiche – la prima moschea inclusiva del continente a Città del Capo. A lanciare la “Moschea aperta” è Taj Hargey, che spiega come intenda realizzare il primo luogo di culto islamico africano pubblicamente gay-friendly, “con uguaglianza dei generi, non settario e interrazziale, in cui possano ritrovarsi insieme sciiti e sunniti” (iol.co.za).

Quello che Hargey chiama il “tempo per una rivoluzione religiosa” (tra l’altro quattro dei nove membri del consiglio della moschea saranno donne, tradizionalmente escluse dal potere decisionale), ha ovviamente scatenato polemiche a non finire: dalle proteste di alcuni musulmani tradizionalisti davanti al luogo di culto per impedire l’entrata dei fedeli (iol.co.za) ad un comunicato stampa di condanna “fraudolento e ingannevole” attribuito falsamente al Consiglio unitario degli ulema (iol.co.za), le polemiche hanno attraversato le ultime due settimane sfociando anche in minacce dirette all’incolumità di Hargey e alla sicurezza stessa della moschea (iol.co.za).

Hanno detto che metteranno bombe, che mi uccideranno, che mi evireranno“, spiega ancora il fondatore. Ma, ha proseguito badando agli scopi che si è prefisso più che alla propria incolumità, “vogliamo dissipare quest’immagine dei musulmani come radicali, prevenuti e intolleranti verso le altre fedi“, invitando i fedeli dell’Islam ad abbandonare “leggi fatte dall’uomo come la sharia” e a tornare alle parole contenute nel Corano. “Stiamo tornando ad essere la moschea originale del profeta“.

Le proteste davanti alla sede, inaugurata venerdì scorso, non sono state violente ma nemmeno così pacifiche come cercavano di farsi passare: di fatto una decina di musulmani tradizionalisti ha tentato di fare un picchetto davanti all’ingresso, per impedire l’inaugurazione del luogo di culto, ma la gran folla e l’intervento della polizia hanno permesso ai fedeli di entrare nella “Moschea aperta”, sebbene gli autori della protesta indirizzassero i loro strali proprio sulla presunta non-islamicità di quelle mura: “Bisognerebbe chiamarlo luogo di culto aperto, non moschea: questo è un insulto alla religione“.

Il paradosso del Sudafrica è che quello che non hanno potuto le proteste di piazza e gli strali degli altri musulmani organizzati, forse potrà la burocrazia: “La nuova moschea non ha parcheggio e Hargey non ha comunicato il cambio di destinazione d’uso da magazzino a moschea” e quindi la moschea potrebbe ritrovarsi chiusa dal comune di Città del Capo, in attesa che vengano concluse le pratiche necessarie e vengano realizzate le opere necessarie (sono richiesti almeno dieci posti auto). Una burocrazia cieca e anche un po’ sospetta, specialmente se si considera che nel consiglio comunale della città siedono alcuni esponenti musulmani che appaiono vicini ai tradizionalisti e appoggiano questo ricorso in modo vigoroso (bbc.com).

 

Michele
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