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Qual è la situazione dei diritti delle persone LGBTQIA+ (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) in Nicaragua?E come si intreccia questo tema con la pessima condizione economica, sociale e politica in cui versa il paese? Il Grande Colibrì ne ha parlato con due testimoni importanti, due attivistə per i diritti umani che hanno lottato nel paese centro-americano e ora sono rifugiatə in Italia. Lei è Sara Henriquez, lui Jean Pierre Moreno, il ragazzo diventato noto per l’aggressione omofoba subita a Roma, mentre era in metropolitana con il suo compagno. Ma Jean Pierre non è solo un giovane aggredito, ed è da qui che è partita la nostra chiacchierata.

Jean Pierre: Il contesto sociale, culturale e politico da dove provengo è molto importante e sono contento di poterne parlare. Vi ringrazio perché siete praticamente i primi ad avermi chiesto di affrontare questo tema. La maggior parte di chi mi ha intervistato per parlare dell’aggressione non ha mai dato importanza al mio paese di origine e al fatto che fossi un rifugiato. Eppure, penso che la realtà diversa da cui provengo abbia influenzato molto il mio modo di reagire all’aggressione omofoba di quella sera.

Valerio: In che senso?

Jean Pierre: Se io avessi visto un’aggressione del genere, non l’avrei accettata, sarei corso in aiuto. D’altronde vengo dal Nicaragua, un paese in cui il minimo che potrei aspettarmi è andare in prigione. Durante l’insurrezione del 2018 molti miei amici sono finiti in carcere e anche io ho rischiato di diventare un prigioniero politico. Me ne sono andato a marzo 2018 e ho avuto davvero fortuna: se fossi rimasto un mese in più sarei stato sequestrato come i miei amici. Per questo per me è davvero importante parlarne, perché mi colpisce direttamente.

In Nicaragua ci sono ancora tanti prigionieri politici, più di un centinaio, e fino a poco tempo fa erano molti di più. I miei amici fortunatamente sono stati liberati grazie all’intermediazione della Croce Rossa Internazionale, a cui arrivò la notizia delle torture inflitte dal governo ai prigionieri. Immaginate che ragazzi della mia età sono stati accusati di terrorismo e colpo di stato, con una pena di 130 anni di carcere! Assurdo se pensiamo che la pena massima prevista in Nicaragua è di 30 anni di carcere, ma il governo se ne è fregato e ha deciso di darne 130 a persone che hanno solo manifestato.

Ginevra: E tu, Sara? Come mai ti sei rifugiata in Italia?

Sara: In Nicaragua io sono un’attivista femminista. Durante l‘ultima manifestazione a cui ho partecipato ero a León, la seconda città più grande del paese. Ricordo che era il 18 aprile. Ci hanno picchiato, hanno rotto i cartelli, la polizia non ci ha protetto perché era d’accordo col governo. Poi nella notte sono arrivati a casa mia sparando colpi di arma da fuoco in aria e minacciandomi. Poco tempo dopo sono stata invitata a New York come attivista per i diritti umani a un incontro delle Nazioni Unite. Lì continuavo a ricevere minacce ancora più forti su Internet, c’erano le mie foto con su scritto che ero ricercata. Sono rimasta negli Stati Uniti e poi sono venuta in Italia.

Ginevra: Ecco partiamo proprio da qui: com’è la situazione politica in Nicaragua?

Jen Pierre: Dal 2006 c’è una dittatura che si definisce “di sinistra”. A capo vi è Daniel Ortega, segretario del Frente Sandinista de Liberación Nacional (Fronte sandinista di liberazione nazionale; FSLN), una personalità conosciuta anche per la rivoluzione sandinista degli anni ’80. Questa rivoluzione era necessaria, ma purtroppo a lui è piaciuto il potere e ha preso tutto. Oggi Ortega perseguita tutti gli oppositori politici. La situazione è molto grave, ma se ne parla davvero poco. Per questo vi ringrazio di nuovo di avermi chiesto di parlarne.

nicaragua presidente daniel ortegaSara: Adesso siamo in ribellione da aprile 2018, sono proteste pacifiche e popolari. Questo 2021 è un anno elettorale, un anno per cui queste ribellioni pacifiche sono l’unico modo per uscire da questa situazione. E noi vogliamo proprio un’uscita pacifica. Vogliamo le elezioni, che sono programmate per domenica prossima, il 7 novembre.

Jean Pierre: Ci terrei a ricordare che questa dittatura è nata in maniera democratica e si nasconde da democrazia: formalmente non è una dittatura. Ortega è arrivato al potere con le elezioni del 2006, quindi attraverso il voto e la creazione di una Costituzione. Poi purtroppo il governo ha preso tutti i poteri. La dittatura si è consolidata quando nel 2017 Ortega ha nominato vicepresidente sua moglie Rosario Murillo. Quel giorno è come se lui avesse detto a tutto il popolo: “Me ne frego, sono un dittatore”.

Ginevra: Anche per te è importante parlarne, Sara?

Sara: Certamente, è importante far sapere che in Nicaragua subiamo violenza, incarceramenti, repressione, esilio. Nonostante la pressione internazionale affinché si garantiscano le elezioni, il regime ha fatto il contrario. Ha elaborato nuove leggi anticostituzionali per incarcerare e reprimere le opposizioni. Hanno incarcerato tutti i candidati dell’opposizione, per esempio ex ministri o vicecancellieri, che avevano maggiore possibilità di vincere: li hanno presi per strada o nelle loro case e picchiati. Noi li chiamiamo “desaparecidos” perché non permettono nemmeno alle famiglie di vederli quando cercano di visitarli in carcere.

Jean Pierre: La situazione politica adesso è pessima, gli Stati Uniti e alcuni stati europei hanno imposto delle sanzioni individuali contro la politica del paese. Per noi emigrati è molto importante, siamo stati noi a chiedere a gran voce queste sanzioni. È uno strumento importante del quale possiamo avvalerci: da fuori possiamo far emergere cosa succede nel paese. L’Unione Europea sta continuando a fare pressione, ora ci saranno le elezioni e l’UE sta chiedendo che avvengano in maniera democratica. Ortega, però, non sembra ascoltare.

Valerio: Puoi farci capire meglio cosa significa “sanzioni individuali”?

Jean Pierre: Non sono sanzioni generiche contro il governo, come per esempio è stato fatto in Venezuela. Queste non portano a niente, anzi aggravano la situazione. Noi abbiamo chiesto sanzioni contro i singoli funzionari che hanno collaborato con il governo di Ortega. E funziona, perché porta a un blocco economico, per esempio vengono bloccate le loro proprietà all’estero. È un modo efficace per attaccare la dittatura.

Valerio: Com’è la situazione delle persone LGBTQIA+ e dei diritti civili in Nicaragua?

Jean Pierre: La situazione e la gestione di questo tema da parte del regime è molto ambigua. Per esempio, hanno sicuramente approvato delle leggi che sembrano progressiste: fino al 2007 non era legale essere omosessuale, anche se in realtà nessuno è mai finito in carcere per questo, e Ortega ha tolto questa legge. Ma poi il governo non rispetta le persone LGBTQIA+ e ha reso l’aborto illegale. Questo significa che rischi il carcere per un aborto, pure se sei una dodicenne e non hai scelta. È un governo con la doppia faccia, molte volte appare per quello che non è.

Ginevra: Alcuni articoli di stampa ritraggono il Nicaragua come un paese femminista…

Jean Pierre: Non è assolutamente così! C’è in effetti una legge contro le violenze verso le donne che ha prodotto diversi processi, ma questo non fa del Nicaragua un paese che tutela le donne. Anzi, tutti questi processi fanno capire quanto è grande e sistemico il problema. Secondo me il Nicaragua è uno dei paesi peggiori in cui essere donna. Le associazioni femministe fanno tanti sforzi ma non riescono a fare molto a causa del regime.

donna latina americana occhialiValerio: Alcuni miglioramenti però ci sono stati, come dicevi poco fa…

Jean Pierre: Per quanto riguarda il miglioramento dei diritti LGBTQIA+ e delle donne, penso che il governo non abbia alcun merito. Abbiamo una gerarchia di oligarchi al potere, che in genere sono sempre stati alleati con la Chiesa. In realtà ultimamente questa alleanza si è indebolita, la Chiesa adesso è dalla parte del popolo, inorridita soprattutto dalla repressione dell’insurrezione del 2018 che in soli tre mesi ha provocato 800 morti. E così il regime ha preso di mira le chiese, ha fatto esplodere una bomba nella cattedrale di Managua. Il fatto che Papa Francesco non ne abbia parlato è stata una delusione enorme… Da noi i preti ci hanno messo la faccia e sono morti. Durante le proteste in Nicaragua, purtroppo ci sono spesso vittime e persone scomparse.

Ginevra: Mi interesserebbe approfondire di più la questione dei diritti e dell’attivismo LGBTQIA+…

Jean Pierre: In Nicaragua le persone LGBTQIA+ non hanno diritti. Ci sono leggi che tutelano da certe discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, ma non servono a niente. Quando pensiamo alla popolazione del Nicaragua, tutti stanno male, ci sono molti problemi, un’orribile impunità, non c’è uno stato di diritto. Certo è che, dove si sta male, le donne e le persone LGBTQIA+ sono colpite doppiamente, perché non hanno voce e sono senza diritti. Qualche tempo fa, per esempio, è stata uccisa una donna trans, l’hanno legata e trascinata fino a farla morire. Purtroppo ci sono tante discriminazioni verso le persone LGBTQIAc+, che non hanno voce.

Ginevra: Ci puoi fare un altro esempio?

Jean Pierre: Per le persone che hanno l’HIV, per esempio, le cure sono gratuite, dal momento che il sistema sanitario nel paese è gratuito, ma poi c’è carenza di strutture e farmaci, situazione spesso denunciata da diverse associazioni. Ho un amico che ha l’HIV, per fortuna non ha mai avuto problemi con le cure, forse perché vive in un contesto urbano in cui si è maggiormente privilegiati in questo senso. Ma la maggior parte della popolazione nicaraguense vive in zone rurali, in cui il rifornimento di farmaci non arriva.

Valerio: Ci sono Pride in Nicaragua?

Jean Pierre: Sì: il Pride del 2018 è stato usato come mezzo per protestare contro la dittatura e il regime ha provato a reprimere anche questa manifestazione. La situazione è davvero particolare, perché chi reprime nelle proteste non sono poliziotti, spesso sono invece paramilitari in borghese che si confondono con i manifestanti. Una volta che le proteste terminano, mentre le persone tornano a casa vengono picchiate. È il cosiddetto “metodo cubano”. Comunque in Nicaragua è vietato fare manifestazioni senza il permesso della polizia, quindi ora è molto difficile fare i Pride.

Ginevra: E per quanto riguarda le donne?

Jean Pierre: La condizione delle donne in Nicaragua è orribile. Ogni anno vengono liberati una media di 5mila prigionieri comuni, molti di questi hanno commesso reati contro le donne e una volta fuori continuano a farlo. Il regime si serve di questi rilasci per distogliere l’attenzione dei cittadini dalla politica dittatoriale e dalle proteste: le persone dovranno preoccuparsi della propria sicurezza e non scenderanno in strada a manifestare.

Valerio: Le associazioni e le organizzazioni non governative (ONG) sono libere di agire nel paese?

Jean Pierre: C’è una legge che controlla ogni singola ONG, i soldi che gestisce, le attività che fa. Questo controllo eccessivo sta facendo chiudere diverse organizzazioni non governative e associazioni per i diritti umani, che a volte vengono direttamente messe sotto sequestro. Nonostante le diverse denunce internazionali, non cambia niente. Le agenzie di stampa e i canali privati sono stati sequestrati dal governo. È come un assedio, la polizia si piazza davanti alle case dei membri delle associazioni o direttamente fuori dalle sedi e controlla tutto.

dito bocca silenzio censuraGinevra: Quindi c’è una forte censura per quanto riguarda i media e i giornali?

Jean Pierre: Sì, c’è moltissima censura. Quasi tutti i canali di informazione sono statali e quelli indipendenti sono pochissimi, dal momento che, come ho detto, vengono messi sotto sequestro. La Prensa, che era il quotidiano storico del Nicaragua, è stato costretto a chiudere, non riusciva più a stampare perché alla dogana gli bloccavano la carta e altri strumenti fondamentali. A volte i giornali privati sono costretti a stampare, o lo fanno per protesta, col colore blu, perché gli sequestrano anche l’inchiostro.
Per fortuna abbiamo ancora internet, è questo che ci salva perché è l’unico strumento che ci è rimasto per denunciare.

Sara: Esattamente: c’è repressione per quanto riguarda l’informazione e la censura esiste, però a livello della stampa. Perché fermare tutte le alternative di informazione online per opporsi è impossibile. Hanno provato a fermare diversi giornalisti, ma non riescono a farlo totalmente. Il fatto che in Italia non ne sentiamo parlare molto dipende dalla priorità che hanno questi temi. L’Italia adesso ha altri interessi, di certo non parla del Nicaragua…

Valerio: Jean, prima hai detto che fino al 2007 l’omosessualità era illegale e ora non lo è più. Com’è avvenuto il cambiamento? È frutto di un movimento sociale che ha portato a cambiare le cose o è una mossa totalmente di facciata, un esempio di pinkwashing?

Jean Pierre: Sono tutte mosse di facciata. L’unica vittoria che abbiamo ottenuto con la nostra pressione è il Pride, perché prima non si poteva fare o comunque non ci andava nessuno. Negli ultimi anni era diventata una manifestazione importante, che aveva tanta visibilità. Ovviamente parlo di come era la situazione prima del 2018: dopo l’insurrezione non è possibile scendere in piazza nemmeno con la bandiera del Nicaragua! Il Pride era una manifestazione molto importante per tutta la società in generale. Anche nelle università private potevamo farlo: io ho studiato in una università privata gesuita (dove tra l’altro ho frequentato un corso sul genere…) e lo organizzavamo. In quelle pubbliche, invece, non era possibile.

Valerio: Prima hai descritto il Pride come una mobilitazione usata anche per contestare il governo. Vista dall’Italia è una cosa po’ strana: qui i Pride sono sempre meno politici…

Jean Pierre: Nel Pride del 2018 c’erano le drag queen, ma anche delle croci blu, che stanno a simboleggiare le tante persone che hanno perso la vita. C’erano anche tante bandiere del Nicaragua e frasi come “disobbedienza civile”. Durante il Pride chiedevamo giustizia e democrazia ed eravamo vestiti di nero, perché eravamo in lutto e chiedevamo di cessare le violenze sulla popolazione in generale, non solo verso quella LGBTQIA+. Tra l’altro nel mese di maggio si festeggia il giorno della mamma e tante madri scesero in piazza a protestare per i figli uccisi dal regime… La partecipazione fu enorme e la polizia fece un massacro, uccise una trentina di persone. Questo fa capire quanto la situazione sia grave e quanto il regime non si faccia scrupoli a uccidere chiunque.

Ginevra: Com’è il movimento LGBTQIA+ in Nicaragua?

Jean Pierre: La mia lotta è sempre stata indirizzata verso i diritti civili in generale, anche se ho fatto attivismo come volontario in un’organizzazione LGBTQIA+ che si chiamava Casa de los Colores (Casa dei colori), che adesso non esiste più. Davamo rifugio alle persone LGBTQIA+ cacciate di casa e poi sporgevamo denuncia al ministero della famiglia, perché non si può cacciare di casa un figlio solo perché omosessuale.

Sara: Da noi le lotte sono più unite rispetto all’Italia. La lotta femminista è sempre stata integrata in quella LGBTQIA+, ma esistono anche lotte indipendenti sui due temi. Però, a causa della crisi della dittatura, si sono unite tutte le lotte perché adesso tutte le lotte per i diritti umani sono urgenti. Adesso è urgente uscire dalla dittatura perché ci sta uccidendo e incarcerando! Questa è la grande differenza con altre realtà, dipende dal contesto. È per questo che io ora mi definisco difensora dei diritti umani in generale. Prima le lotte erano più specifiche, ma ora no: siamo tutti uniti per cambiare un sistema e rispondere a tutte le rivendicazioni nei differenti settori della società.

mani amore cuore arcobalenoJean Pierre: Come ho detto prima, nonostante prima del 2008 l’omosessualità fosse illegale, nessuno è mai stato incarcerato per questo. Si poteva uscire senza problemi, nessuno si ricordava di questa legge. Quindi la nuova legislazione del 2008, che ha reso legale l’omosessualità, non ha cambiato molto la situazione. È servita al regime solo come facciata. Anche perché hanno contemporaneamente fatto una cosa molto brutta, cioè abolire il diritto all’aborto: prima quello terapeutico si poteva fare, adesso è vietato in ogni caso. Questa cosa va detta, è orribile.

Ginevra: Per quanto riguarda l’associazionismo LGBTQIA+, come fanno le associazioni a organizzarsi, a essere di supporto, a creare eventi nel momento in cui c’è un controllo così forte da parte del regime?

Jean Pierre: Ti dico quello che ho visto io da attivista: dal 2006 al 2018, prima dell’insurrezione, ho notato che con le associazioni riuscivamo ad arrivare alla popolazione attraverso degli eventi. Dovevamo farlo con un linguaggio semplice: non puoi andare a parlare di “genere” o “cisessualità” così, perché sono cose che la gente non conosce.

Ginevra: Ci puoi fare degli esempi?

Jean Pierre: Ogni settimana facevamo dei filmati a tematica LGBTQIA+ da condividere. Organizzavamo laboratori per adolescenti in cui, attraverso delle figurine, disegnavamo i volti di Frida Kahlo e di altri personaggi noti per trasmettere una sensibilità femminista e di libertà sessuale. Avevamo attivato dei forum destinati solo alle donne, in cui trattavamo tematiche molto sensibili come la violenza. Organizzavamo laboratori di drag queen e drag king. Pmarlaova di personaggi importanti per la storia del Nicaragua e che nessuno sapeva fossero stati LGBTQIA+. Organizzavamo momenti per parlare dello stato di diritto e di orientamento a chi per esempio subiva un’aggressione, spiegando cosa doveva fare, cosa poteva o non poteva dire durante la denuncia…

Possono sembrare scemenze, ma era il modo più sottile e dinamico per sensibilizzare la popolazione. Almeno questa è la mia esperienza personale. E si tratta di una lotta che può sembrare noiosa, ma era uno sforzo grandissimo per noi. Ci sono pochissime organizzazioni LGBTQIA+ in Nicaragua, purtroppo lo stato non le sovvenziona e le poche esistenti sono finanziate da ambasciate estere o organizzazioni internazionali.

Ginevra: Come è la situazione per le persone transessuali in Nicaragua?

Jean Pierre: È pessima, non hanno diritti. A Cuba, per esempio, va molto meglio: possono cambiare il nome sul documento e fare la riassegnazione chirurgica del sesso. In Nicaragua, invece, le persone transessuali non vengono aiutate né ascoltate.

Ginevra: Tempo fa ho scritto un articolo sul Perù che affrontava il tema di una “fuga di cervelli” dei giovani peruviani LGBTQIA+, costretti ad abbandonare il paese per via della forte discriminazione nei loro confronti. Anche in Nicaragua c’è un fenomeno simile?

Jean Pierre: Io in Nicaragua ho studiato architettura all’università, adesso sono qua e cerco di studiare nella facoltà di lingue. Ti faccio un altro esempio: un mio amico, anche lui rifugiato in Italia dal Nicaragua, studiava international business in una università privata e adesso qui è costretto a fare il muratore. Insomma, sì, c’è una fuga di cervelli ed è molto grave perché il Nicaragua sta rimanendo senza giovani che possano portare avanti il paese. In effetti la rivolta sociale è nata principalmente dai giovani. Visto che ci ammazzavano nelle strade, ci siamo rifugiati nelle università: erano il nostro campo di battaglia, ma anche lì dentro sono riusciti a uccidere qualcuno. Le usavamo anche come ospedali, perché non c’era posto per noi negli ospedali pubblici.

Più in generale il Nicaragua è il secondo paese, dopo Haiti, più povero del continente. C’è un’emigrazione consistente e, da quando c’è stata l’insurrezione nel 2018, se ne sono andate ancora più persone, tra cui molti giovani laureati e competenti. Ora c’è la crisi, non c’è lavoro, la pandemia sta aggravando tutto. Tra l’altro, la gestione del COVID-19 è pessima: non c’è mai stato un lockdown e i dati che condivide il governo non sono veri. Addirittura la popolazione ha creato un osservatorio interdisciplinare per contare i casi di COVID-19 con una sintomatologia evidente, visto che non ci sono cure e non si fanno i test.

pandemia covid coronavirus masherineGinevra: Cosa possiamo fare come associazioni che lottano per i diritti umani? E voi attivisti rifugiati come vi coordinate?

Sara: Quello che potete fare dall’Italia è diffondere tutte le informazioni. Noi ancora non siamo riusciti a far pronunciare l‘Italia contro il regime, mentre per esempio Francia, Germania e Stati Uniti lo hanno fatto. Intanto noi rifugiati abbiamo una piattaforma europea dove ci coordiniamo.

Jean Pierre: Sì, noi rifugiati seguiamo e cerchiamo di dare supporto al nostro paese, in Italia siamo uniti attraverso una pagina Facebook che si chiama “SOS Nicaragua – Italia”. Quest’anno ad aprile c’è stata la commemorazione dell’insurrezione del Nicaragua, iniziata il 19 aprile 2018, durante la quale sono morte molte persone.

Ginevra: E per quanto riguarda l’attivismo LGBTQIA+ italiano?

Jean Pierre: In Italia mi sono impegnato di più nella lotta per il Nicaragua rispetto a quella per i diritti LGBTQIA+, ma ho avuto la possibilità di frequentare l’ambiente associativo LGBTQIA+. Devo dire che non vedo una linea di lotta omogenea, un indirizzo comune. Riconosco un attivismo genuino, ma ho dubbi su come lo si porta avanti. Questa è la mia percezione, lo dico perché vengo da un paese in cui le lotte sono unite, tutti siamo alleati contro un unico male. In Italia invece, sicuramente perché c’è un certo benessere rispetto a paesi come il mio, percepisco molta divisione tra le associazioni. Invece dovremmo lottare uniti per ottenere quello che vogliamo, dovremmo fare tesoro di questa democrazia: fosse per me io sarei tutti i giorni in piazza!

Una volta ho chiesto ad una persona di un’associazione LGBTQIA+ cosa ne pensasse della mia idea di fare uno sciopero della fame davanti alla Camera e al Senato. Mi è stato risposto: “La prima cosa che penserei se ti vedessi fare così è che dovresti andare dallo psichiatra!”. Io ho pensato: “Ammazza, oh!”… Questo spirito di lotta a me non mi ispira per niente: queste azioni dovrebbero essere apprezzate, altro che consigliare uno psichiatra! Poi per il DDL Zan ho visto più unità, tutti ne volevamo l’approvazione. Mi ha colpito che molte persone famose ne abbiano parlato. In Italia purtroppo è così [ride; ndr]: dobbiamo aspettare che gli influencer parlino per far parlare i politici!

Ginevra: Secondo me noi non ci rendiamo conto di quanto possiamo fare in un paese democratico come l’Italia. Se vado in piazza non rischio automaticamente di essere incarcerata, come invece succede in altri paesi. Ci siamo abituati a un certo benessere e le azioni dell’attivismo molte volte si riducono a una petizione.

Jean Pierre: Sì, e invece dobbiamo andare oltre. C’è un certo conformismo nell’attivismo italiano. Eppure l’abbiamo visto che appena si smette di parlare di qualcosa, per esempio di una legge come il DDL Zan, ce ne dimentichiamo tutti e poi dopo anni ci ricordiamo che in effetti era stato tutto archiviato.

Ginevra Campaini e Valerio Barbini
©2021 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazioni da Jorge Mejía peralta (CC BY 2.0) / da 總統府 (CC BY 2.0) /  Il Grande Colibrì / da pxfuel (CC0) /da Shopify (CC0) / da Edmond Dantès (CC0)

 

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