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“Je vous declare mari et mari” (vi dichiaro marito e marito); ecco magari la frase non è proprio questa ma qualcosa di molto simile si può ascoltare nei comuni della Francia da qualche anno a questa parte. Nonostante questo, il dibattito su quello che oltralpe viene chiamato romanticamente “le mariage pour tous” (il matrimonio per tutti) è ancora aperto, ma allo stesso tempo è anche diventato l’argomento centrale di alcune sceneggiature per il cinema, non solo quello di nicchia, ma anche quello “grand public” (insomma quello che noi chiamiamo “cinema per famiglie”).

Sposi nuovi, risate vecchie

Questa sembrerebbe un’ottima notizia, e in un certo senso lo è veramente… peccato che anche questa rosa abbia le sue spine, ed è proprio di queste spine che voglio parlarvi. Mi riferisco al fatto che molti di questi film, assieme al racconto di un matrimonio egualitario, quindi qualcosa di attuale e innovativo, portano con sé un bagaglio bello pesante di stereotipi che ormai hanno fatto il loro tempo. Vi parlerò quindi di due pellicole che ben rappresentano questa problematica: “Toute première fois” (La primissima volta) di Noémie Saglio e Maxime Govare, di un paio di anni fa, ed “Épouse-moi mon pote” (Sposami, amico) di Tarek Boudali, nelle sale proprio in questi giorni.

Spoiler alert
Se siete amanti del cinema francese e avevate progettato di vedere questi due film, beh, vi rovinerò qualche sorpresa.

Cominciamo con “Toute première fois”: Jeremie e Antoine sono una coppia di uomini trentenni a un passo dal matrimonio, e fin qui nessun problema. La situazione si complica quando Jeremie, complice una festa con ubriacatura molesta annessa, si sveglia nel letto della bella Adna. Da qui il tormento interiore dell’uomo che coinvolge anche familiari e amici. In questo film ci sono dei momenti brillanti, come nel caso dei genitori ultra-progressisti del nostro protagonista, che salutano con gioia quest’unione omosessuale, mentre si capisce che il matrimonio “banalmente” etero della figlia non era stato considerato con lo stesso entusiasmo. Il messaggio che il film fa passare in maniera abbastanza evidente, però, è che si possa “tornare normali” incontrando la ragazza giusta.

Épouse-moi mon pote

“Épouse-moi mon pote” nasce da un’idea potenzialmente interessante: quella di raccontare il matrimonio di convenienza di un giovane marocchino per ottenere i documenti. Si tratta di un argomento decisamente importante e spinoso di cui si può quanto meno sorridere se trattato con una certa intelligenza. Caratteristica che decisamente si fa fatica a trovare in questo film.

In breve: Yassine conclude gli studi universitari e, per festeggiare la laurea, si ubriaca, così il giorno dopo, quando avrebbe dovuto andare a rinnovare i suoi documenti, non lo fa perché ubriaco marcio (vi ricorda nulla?). Il rischio? Essere rimpatriato. La soluzione? Il matrimonio, naturalmente. Dopo alcuni tentativi fallimentari che rappresentano altrettanti cliché (la bellissima e costosa, la nonnina ancora “vivace”, eccetera), Yassine non trova altra possibilità che coinvolgere Fred, migliore amico e coinquilino. I due si sposano e qui si dà il via all’ennesima serie di luoghi comuni. Una perla tra tutte: il commissario incaricato delle pratiche del matrimonio: “Che progetti ha per il futuro?” Fred in braccio a Yassine: “Voglio restare incinto”.

Cerchiamo di essere ottimisti e speriamo che comicità e omosessualità formino una coppia migliore in futuro.

BouKerch
©2017 Il Grande Colibrì

One Comment

  • Valeria ha detto:

    Non ho visto questi due film, ma posso ben immaginare come sia facile scadere nel luogo comune e nel pregiudizio, anche quando teoricamente si affronta proprio un argomento “impegnato”. Succede in continuazione. Mi ha ricordato un film americano, “I ragazzi stanno bene”, che dovrebbe affrontare la “normalità” di una coppia lesbica con figli, ma che scade nello stereotipo quando una delle due donne non resiste alla tentazione del “vero uomo” e padre biologico di suo figlio. Inoltre, vi è inserito un episodio di puro razzismo che rischia di passare del tutto inosservato, da quanto sembra, quello sì, “normale”.

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