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Una nuova ondata di isteria omofoba sta investendo il Senegal, con denunce di intrighi e complotti internazionali, dichiarazioni inferocite da parte di numerose organizzazioni, fiumi di inchiostro che scorrono tra editoriali al vetriolo e infuocate lettere aperte. E la paura che, come successo nel 2016, al culmine di un’altra ondata di omofobia, questa valanga di parole possa trasformarsi in violenze nei confronti delle persone omosessuali o presunte tali. Ma andiamo con ordine per ricostruire questa vicenda, utile a capire come il pregiudizio possa rapidamente esplodere a partire da piccoli episodi privati.

La lettera d’amore

In realtà tutto inizia lontano dal Senegal: a gennaio a Johannesburg, in Sudafrica, Oxfam International, il segretariato della confederazione internazionale di organizzazioni che lottano contro l’ingiustizia e la povertà, organizza una riunione con numerosi attivisti LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) per capire come combattere meglio le discriminazioni nelle società e anche all’interno della stessa Oxfam. L’organizzazione, ancora scossa dallo scandalo scoppiato nel 2018 per alcuni abusi sessuali tenuti nascosti, prende una posizione forte: tutta la sua azione deve basarsi su un’ottica femminista e intersezionale.

Il 28 giugno comunica questa decisione con una mail intitolata “Lettera d’amore“: gli uffici nazionali di Oxfam sono invitati a collaborare con i movimenti arcobaleno e ad assumere personale LGBTQIA. “La sessualità umana, il desiderio e l’espressione di sé – si legge nella comunicazione – sono parte integrante della condizione umana. È artificioso separare i nostri bisogni di libertà civili e di giustizia economica dai nostri bisogni di realizzazione personale in quanto persone. Non possiamo più dire: ‘È un problema che non possiamo affrontare, perché abbiamo altro da fare’. Riguardo a tutte le questioni su cui lavoriamo, dobbiamo capire come il potere agisce nei confronti delle diverse categorie di persone. In questo sforzo di comprensione, l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono essenziali“.

Il licenziamento

La lettera non piace per nulla a un’impiegato dell’organizzazione in Senegal, Elimane Kane. Kane risponde subito accusando la mail di essere offensiva e invitando Oxfam a non occuparsi delle minoranze sessuali: parlare di omosessualità, secondo lui, sarebbe una grave lesione del “rispetto dello spazio privato e delle credenze di ciascuno“. Quello stesso pomeriggio l’impiegato viene convocato dai vertici organizzativi per comunicargli che si è aperta una vertenza con l’ispettorato del lavoro per licenziarlo. Kane si rivolge alla stampa per denunciare come sia stato fatto fuori perché si è opposto a un piano per imporre l’omosessualità in Senegal, scatenando una polemica di proporzioni colossali.

Secondo quanto sostiene Oxfam in un comunicato stampa, in realtà, il licenziamento sarebbe legato a comportamenti gravemente scorretti del tutto slegati alle sue posizioni sulle libertà sessuali: Kane ha infatti lanciato iniziative politiche e ha partecipato a conferenze stampa usando modalità in contrasto con gli impegni presi nel suo contratto di assunzione. Lo stesso impiegato, tra l’altro, riconosce in una lettera aperta che già da due mesi si stava discutendo del suo allontanamento e che era stato convocato dai vertici già tre volte.

Le polemiche

La vicenda assume in pochi giorni un’importanza centrale nel dibattito pubblico senegalese: l’idea di un complotto occidentale per “omosessualizzare” il paese africano si spande velocemente, rilanciata da giornalisti, opinionisti, imam e politici. Il Cadre Unitaire de l’Islam au Sénégal (Quadro unitario dell’islam in Senegal), che raggruppa tutte le confraternite islamiche del paese, ne approfitta per ribadire la necessità di inculcare i valori morali nazionali ai più giovani e per condannare le “tendenze e orientamenti sessuali che tendano a esprimere comportamenti omosessuali” (sic!).

Alcune organizzazioni della società civile sottoscrivono un appello comune: “La collaborazione con le organizzazioni internazionali e i nostri partner deve basarsi sui principi e sui valori che sono alla base della volontà comune della nazione senegalese: viviamo in una società governata da valori che intendiamo preservare. In nessun caso possiamo appoggiare la promozione dell’omosessualità e delle pratiche a questa correlate con il pretesto dei finanziamenti che riceviamo dalle organizzazioni internazionali“. Secondo i firmatari, c’è “una chiara differenza tra difesa dei diritti umani e promozione delle persone LGBTI. L’obiettivo della dichiarazione è quindi consolidare la riconciliazione tra il rispetto dei diritti umani e la salvaguardia dei valori sociali, culturali e religiosi su cui poggia la pace e la stabilità della società senegalese“.

La replica di Oxfam rischia di non accontentare proprio nessuno: “Oxfam ritiene che rispettare e proteggere i diritti degli individui, che siano o meno LGBTI, non sia necessariamente in conflitto con le credenze individuali e collettive, che siano religiose o culturali. La questione non è approvare o disapprovare l’omosessualità, non è amare o non amare le persone LGBTI, non è la legalità o l’illegalità dell’omosessualità. La questione è semplice: riconoscere che ogni essere umano, specialmente le persone LGBTI o appartenenti ad altre minoranze, ha diritti, riconosciuti o meno dalla legge, da rispettare e proteggere“.

La maglietta

Sfruttando il clamore della polemica su Oxfam, Ahmadou Makhtar Kanté, imam di una moschea nel centro di Dakar, ne scatena una nuova, denunciando come il cantante Wally Seck abbia indossato una maglietta con l’arcobaleno durante un concerto: per il religioso è la prova evidente che l’artista è al soldo di potenze straniere per promuovere l’omosessualità e la distruzione morale del Senegal. I social network si riempiono presto di insulti contro Seck e da teorie del complotto alimentate anche dalla scoperta che la maglietta incriminata è stata creata da Converse per celebrare il Pride. Il cantante prova a smentire tutto, precisando di non frequentare nessun ambiente gay (video qui sotto) e annunciando una denuncia per diffamazione contro l’imam.

Tra l’altro, Wally Seck era finito nel mirino degli omofobi già nel 2016: in un video musicale aveva esibito una lussuosa borsa, giudicata troppo femminile dal pubblico. Questo fatto banalissimo, strumentalizzato da politici dell’opposizione, aveva scatenato un’immensa ondata di omofobia, che quell’anno aveva portato persino a manifestazioni pubbliche contro l’omosessualità, a pestaggi per strada e alla nascita di un gruppo di giustizieri che volevano linciare tutti i gay del paese. Il rischio che oggi si ripetano questi fatti sembra farsi ogni giorno più concreto.

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

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