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Forse è anche per la scelta di mettere al primo posto l’economia e di occuparsi in modo elusivo di sesso e sessualità che Lin Hui, uno studente di Nanchino, credeva che il profilattico servisse soltanto a non rimanere incinta e che l’eventualità di contrarre malattie sessualmente trasmissibili era pressoché inesistente. Purtroppo però nel 2014, neanche diciottenne, Liu scoprì di avere il virus dell’HIV. “Non pensavo potesse capitare a me. Nelle scuole e nella società in generale c’è poca educazione alla prevenzione dell’HIV. Le persone ne parlano soltanto in procinto della Giornata Mondiale contro l’AIDS [l’1 dicembre; ndr] e poi se ne dimenticano” [South China Morning Post].

Ma come è possibile che nella Cina del terzo millennio non si parli adeguatamente di HIV e di AIDS? E nel momento in cui tutte le stime indicano un incremento della diffusione del virus dell’immunodeficienza tra la popolazione, perché i dati scientifici non vengono valutati per quello che sono, con lo stesso pragmatismo che ha consentito all’economia della Repubblica Popolare di raggiungere il primo posto al mondo per crescita del PIL?

Secondo il Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo dell’AIDS e delle Malattie Sessualmente Trasmissibili, a settembre del 2016 le persone affette da HIV in Cina erano 654mila, con circa 201mila morti. Nel 2015 ben 17mila persone di età compresa tra i 14 e i 25 anni avevano contratto l’HIV, registrando un aumento del 10% rispetto all’anno precedente nello stesso campione di età. Più in generale, nel corso dell’ultimo decennio il numero delle trasmissioni di HIV tra i giovani cinesi è incrementato ogni anno del 20%, e a pagarne il conto più salato sono stati gli omosessuali maschi [China Daily].

“Oggi la vera sfida riguarda soprattutto le nuove generazioni, in particolare i ragazzi gay – afferma Bernahard Schwartländer, rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in Cina – C’è un’effettiva diffusione dell’HIV nella comunità gay e difficilmente riusciamo a raggiungerne i membri in maniera efficace. Penso che per la società cinese sia una sfida concreta occuparsi delle comunità estranee alle norme sociali convenzionali”.

Uno dei motivi che rende difficile la battaglia contro l’AIDS e l’HIV è la discriminazione della società verso le persone sieropositive. Liu Shi, responsabile dell’organizzazione non profit Beijing Jiande Zixun Zhongxi (Istituto di educazione alla salute di genere di Pechino; BGHEI), ha rivelato di nascondere il suo status di HIV-positivo quando si fa visitare da un dottore perché in passato gli erano state negate le cure mediche. “Nonostante una crescente tolleranza sociale, la discriminazione legata all’AIDS è molto diffusa” dice Liu. Anche per questa ragione in molti evitano di sottoporsi al test, invalidando la possibilità di ricevere cure tempestive nel caso di positività.

Secondo Liu Shi, i due grandi ostacoli che impediscono ai giovani cinesi di avere un’adeguata educazione sessuale a scuola sono i genitori e i tabù culturali. “Moltissimi genitori vogliono che prima dell’università i loro figli stiano lontani da ogni forma di educazione sessuale, in particolare alle scuole superiori, dove la loro preoccupazione è che i ragazzi possano essere incoraggiati a fare sesso ” dichiara Liu.

Molti genitori cinesi desiderano che i figli durante le scuole superiori si concentrino sul superamento del test di ammissione all’università (高考; “gaokao”), e pensano che per i rapporti personali intimi sia necessario attendere il college, mentre per i rapporti sessuali si debba aspettare il matrimonio, dopo il conseguimento della laurea.

Di fatto il gaokao è uno dei pochi mezzi che gli studenti e le loro rispettive famiglie hanno in mano per sperare di avanzare nella scala economico-sociale cinese e, in sostanza, è uno dei pochi strumenti di mobilità e di ascesa sociale. L’attività sessuale è inoltre consentita, a livello ufficiale, unicamente all’interno del nucleo familiare, e il matrimonio è l’istituto che ne permette la formazione. Evidentemente il pragmatismo che caratterizza la cultura cinese è subordinato all’etica confuciana e ai valori che da essa derivano, primo fra tutti l’importanza della famiglia (家; “jia”).

Nella moralità confuciana il singolo soggetto, incluse le sue emozioni e la sua sessualità, non è mai stato centrale. Fin dall’antichità la collettività e il sistema gerarchico vigente nelle istituzioni della famiglia e dello stato hanno avuto uno ruolo centrale. La sfera emotiva (感情; “ganqing”) non era vista di buon occhio perché considerata un fattore destabilizzante l’armonia e l’ordine che dovevano essere preservati all’interno della società. Tale impronta culturale è piuttosto influente anche nella Cina di oggi, dove il sesso è accettato a patto che non se ne parli.

Nella realtà contemporanea sempre più giovani sanno utilizzare molto bene le tecnologie moderne, tramite le quali sono riusciti a godere di maggiori libertà rispetto alle generazioni precedenti, anche per quanto riguarda l’esplorazione della loro sessualità. Allo stesso tempo il sesso rimane tabù nelle scuole, nel discorso ufficiale e nella cultura popolare .”Non c’è abbastanza divulgazione sociale e governativa – dichiara Wang Long, fondatore dell’organizzazione non profit Zhejiang Love Working Group – Film, telefilm, talk show, giornali e radio evitano tutti di parlare di sesso”. Lo stesso governo cinese prevede programmi di distribuzione di profilattici, ma allo stesso tempo ne proibisce la pubblicità in televisione.

Sebbene la Commissione per la Salute Nazionale e la Pianificazione Familiare abbia stabilito come obbligatorie per gli studenti di scuola media e superiore rispettivamente sei e quattro ore di educazione sessuale, la maggior parte degli istituti non fornisce alcun tipo di informazione a riguardo. Quando le lezioni di educazione sessuale vengono attivate, esse si concentrano unicamente sui cambiamenti biologici durante la pubertà e non sulla diversità e sulle relazioni psico-affettive tra i due generi.

Secondo Martin Yang, membro di BGHEI, anche all’interno dell’università i programmi, le lezioni e le associazioni che portano avanti attività di prevenzione dell’HIV spesso risultano essere inefficaci, astratti e malrecepiti dagli studenti, che di fatto li ignorano. “Penso che molte persone di questo paese percepiscano l’HIV come qualcosa di lontano, da qualche parte tra le prostitute, tra i gay. Non qui”.

Magenta
©2017 Il Grande Colibrì
foto: Ming Xia (CC BY-NC-SA 2.0)

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