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Dal 21 novembre l’Ucraina è tornata ad essere un paese in rivolta. Non si tratta più della Rivoluzione arancione del 2004, quando il popolo voleva un presidente diverso da quello eletto e tifava per un leader forte. Ora il discorso è diverso: si lotta per l’Europa, e l’Europa è intesa non tanto come un reale complesso geopolitico, quanto come il simbolo di una società che funziona. La protesta è scattata quando il presidente Viktor Yanukovich ha dichiarato che non firmerà l’accordo di associazione con l’Unione Europea. Questo ha suscitato l’indignazione e il raduno spontaneo dei cittadini sulle piazze nelle principali città del paese. Dal primo gennaio il discorso è virato dai temi pro-europei ai temi anti-governativi. Il popolo chiede l’impeachment del presidente e della sua banda. Le proteste si svolgono in modo creativo e pacifico, dimostrando al mondo il talento e la tempra del popolo ucraino.

Che ruolo ha il tema dei diritti GLBT in questa situazione? L’Ucraina si stava orientando verso l’Europa da molti anni, cercando di eseguire tutte le condizioni europee. Uno degli scogli più duri era l’approvazione della legge contro la discriminazione su base sessuale. La proposta di legge n. 2432, che doveva integrare l’esistente legislazione antidiscriminatoria con una clausola che vietasse la discriminazione in base all’orientamento sessuale nel momento dell’inserimento lavorativo, ha provocato lunghe e infuocate discussioni nella Verhovna Rada, il parlamento ucraino, ma non è nemmeno stata messa a votazione.

Invece un’aggiunta omofobica alla legge n. 8711 “Sulla difesa del diritto dei bambini ad uno spazio informativo sicuro”, proposta il 2 ottobre 2012, è stata approvata in prima lettura, in anticipo rispetto all’analoga legge russa, con una maggioranza di 289 voti contro 61 [Il Grande Colibrì].

Nei comizi organizzati dagli oppositori dell’euro-integrazione i diritti GLBT erano l’argomento più eclatante: l’Europa era associata fermamente con la pederastia. La retorica omofobica, fomentata dalle forze politiche orientate verso la Russia, cercava di convincere l’opinione comune che la firma dell’associazione con l’UE avrebbe portato alla legalizzazione dell’omosessualità, alla messa al bando della Bibbia, alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali e, infine, avrebbe dato ai pedofili europei via libera nell’adozione dei bambini.

Le proteste pro-russe erano partecipate soprattutto da anziani, nostalgici del passato imperiale. Ha fatto il giro della rete lo scatto aneddotico della protesta tenutasi il 15 ottobre a Sebastopoli, in cui un’anziana teneva in mano il cartello: “La gioventù di Sebastopoli è per l’unione con la Russia”. Sarebbe davvero buffo, se le signore accanto a lei non tenessero un cartello molto meno divertente: “Non vogliamo stare con i pederasti europei, vogliamo stare coi fratelli slavi!” – un capolavoro di assurdità se si considera la presenza di cinque paesi slavi fra i membri dell’UE.

I modi per fomentare l’associazione fra UE e degrado morale sono molteplici. L’organizzazione Ukrainskij vybor (La scelta ucraina) ha promosso una pubblicità sociale sulle strade che raffigura persone dello stesso sesso che si tengono per mano, con la didascalia “Associazione con l’UE = matrimonio omosessuale: siete stati avvertiti”.

Un comizio di fronte all’ambasciata tedesca è stato organizzato dal Comitato dei genitori dell’Ucraina con lo slogan “Valori tradizionali – ja!, omosessualità – nein!”. Sui cartelli che portavano i manifestanti si leggeva: “I valori europei sono gay, lesbiche e corruzione dei minori”. Il rappresentante del Comitato, Aleksandr Skvorzov, dichiarava: “Siamo contrari alla firma dell’associazione con l’UE, perché porterà all’omosessualizzazione dell’Ucraina”. Secondo lui, l’accordo di associazione “stabilisce una dittatura dell’omosessualità rispetto al resto della società”, ad esempio costringendo le scuole religiose ad assumere insegnanti che “si coprono con la bandiera arcobaleno” e privando le coppie omofobe del diritto di adottare bambini [Rodkom].

In parallelo con le manifestazioni apertamente omofobiche venivano inscenate finte e goffe manifestazioni GLBT. Ad esempio, il 21 ottobre a Kiev sono state appese bene in vista varie bandiere arcobaleno con la scritta “Europa è Freedom”, che insinua che l’Europa è in primo luogo la libertà per i gay. Peccato che la bandiera avesse otto e non sei colori, come hanno evidenziato subito i rappresentanti delle organizzazioni GLBT.

Il 12 novembre in una tavola rotonda, che ha radunato rappresentanti di forze politiche molto diverse, un deputato del partito di estrema destra Svoboda (Libertà), Igor Miroshnichenko, ha dichiarato, con una frase tanto sgrammaticata quanto assurda: “La questione di normativi è soggettiva, come possiamo vedere nell’esempio di Gayropa, perché adesso, in Europa, dopo aver dato diritti minimi nella legislazione antidiscriminatoria, la maggioranza degli europei soffre dell’omodittatura [sic!]” [Upogau].

La situazione è cambiata, però, quando il 21 novembre scorso l’accordo di associazione è saltato a livello governativo. Si è creato un movimento popolare di protesta, che unisce generazioni e strati sociali diversi. I mass media russi hanno cercato sulle prime di rappresentare il tutto come un gruppetto di assoldati che ci vanno solo per ubriacarsi gratis, ma con il passare delle settimane e il rafforzamento del movimento di Euromaidan (piazza europea) l’ipotesi del “teatrino” non era più sostenibile.

Per questo c’è stato chi, continuando a giocare la carta omofobica, ha deciso di sporcare l’immagine della protesta spontanea, inscenando un “gay pride” talmente palesemente falso da non ingannare nessuno. Il 24 novembre qualcuno ha ingaggiato un gruppo di senzatetto e li ha armati con le bandiere arcobaleno. Bastava osservare le facce provate e i vestiti consunti delle persone, munite di bandiere e nastri arcobaleno tutti uguali e nuovi di zecca, per capire che erano diventate gay da poco e per pochi soldi. Alle forze dell’ordine questa sfumatura è sfuggita, e hanno cercato subito di disperdere il gruppo. I figuranti non hanno opposto resistenza e, dopo poche botte, abbandonando le bandiere, se ne sono tornati da dove erano venuti.

Alla domanda della giornalista che ha parlato con una delle presunte lesbiche, aggredita dalla forze dell’ordine, la signora ha confessato candidamente: “Mi hanno dato dieci grivne, dicevano che dovevo portare la bandiera e che nessuno ci avrebbe toccati. Non ho mai portato una bandiera prima. Perché mi hanno menata? Non ero ubriaca, non avevo rubato nulla…”.

Questi incidenti non hanno potuto compromettere l’andamento della protesta, ma gli attivisti GLBT hanno colto l’avvertimento: partecipano alla protesta insieme ad altri gruppi, senza cercare di distinguersi, evidenziando in questo modo che non lottano per avere dei privilegi solo per sé, ma un miglioramento della vita per la società intera.

Marina
©2013 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

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