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Dal 15 al 18 marzo Roma ospiterà “Minorities alone, strong together”, la ventiquattresima conferenza del World Congress Keshet Ga’Avah, il congresso mondiale delle organizzazioni LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) ebraiche, a cui parteciperà anche Wajahat Abbas Kazmi attivista del Grande Colibrì e ideatore della campagna e del documentario “Allah Loves Equality”. La conferenza è divisa in quattro argomenti fondamentali, dedicati alle storie di collaborazione tra ebrei e musulmani, ai migranti LGBTQIA e ai giovani allontanati da casa perché LGBTQIA, alla prevenzione e alla lotta contro la violenza di genere sulle donne e agli insegnamenti per i paesi occidentali che possono venire dalla coabitazione di diritti civili e tradizioni religiose in Israele.

Per cercare di presentare meglio quest’iniziativa e approfondire alcuni suoi aspetti abbiamo parlato con Serafino Marco Fiammelli, presidente di Magen David Keshet Italia, il gruppo che organizza l’appuntamento italiano.

“Minorities alone, strong together” mi fa venire in mente il motto, attribuito a Esopo e ripreso fino ai Pink Floyd, “United we stand, divided we fall” (Insieme ci sorreggiamo, divisi cadiamo): è questo il senso del titolo della conferenza di Roma di quest’anno?

Esatto: stiamo vivendo un periodo di grande contestazione sociale, voglia di riscatto e di emancipazione, come alla fine degli anni ’60, con la differenza che ora ogni minoranza si suddivide in altrettanti gruppi che, pur rivendicando le stesse cose, si irrigidiscono su questioni identitarie e di genere. Siamo arrivati a livelli di radicalizzazione tali da rendere il “genere” una discriminante: i gruppi si chiudono in loro stessi negando l’accesso agli altri, ai “diversi”. Un esempio per tutti: la grande agitazione che sta vivendo il movimento lesbico nazionale che rischia di provocare una grave scissione con inevitabili conseguenze anche all’interno del movimento LGBT nazionale. Questo porterà alla disgregazione. Nel titolo della conferenza leggiamo il problema e la soluzione.

Non è scontato che le minoranze riescano a unirsi…

Infatti, non è per nulla scontato, ma lavorare insieme è non solo l’unica soluzione possibile, ma anche la più semplice. L’emancipazione di una persona omosessuale ebrea o musulmana, che voglia continuare a far parte della propria comunità, ha risvolti religiosi e teologici, ma anche culturali e sociali. Parlarne è il primo passo, cercare alleanze è il passo successivo. Questo vale per il movimento LGBT internazionale come per la società civile. Io non so se riusciremo a fare qualcosa, ma è nostro dovere provarci. E poi, se funziona tra noi, perché non dovrebbe funzionare nella società civile in generale?

Quali obiettivi dovrebbero darsi queste minoranze solidali, in Italia e nei vari paesi del mondo?

Magen David Keshet e Allah Loves Equality, il progetto del Grande Colibrì, avrebbero tanto di cui accusarsi, almeno nell’immaginario collettivo, e invece ebrei e musulmani si uniscono e lavorano insieme per un obiettivo tanto semplice quanto giusto: i diritti civili di tutti, dentro e fuori le rispettive comunità. Questo sembra infastidire molti, anche coloro che di diritti civili si occupano, l’idea suscita da tempo sul web sorpresa, speranza, scetticismo.

Eppure non è la prima volta in Europa che ebrei e musulmani si trovavano su specifici dossier: alcuni mesi fa, per esempio, ci siamo riuniti ad Amsterdam per coordinarci a difesa di macellazione rituale e circoncisione, due tradizioni religiose minacciate da iniziative di legge in alcuni parlamenti democratici europei, come in Olanda, Belgio e Germania. Perché non potremmo trovare un dialogo e un’unità di intenti anche su altri temi, che riguardano le nostre comunità e la società in generale?

Nei temi della conferenza si conferma la vostra grande attenzione ai diritti umani a 360 gradi: si parlerà di persone LGBT musulmane, dei diritti dei richiedenti asilo, di donne. Per un verso è normale, dato che i diritti o ci sono tutti e per tutti oppure non si possono davvero chiamare diritti, ma nella situazione contingente, con un movimento LGBT sempre più in preda a simpatie per l’estrema destra razzista, non è scontato. Pensate di riuscire comunque a catturare l’attenzione di un buon pezzo del movimento?

Questo è l’intento. È molto ambizioso, lo ammetto, ma vogliamo iniziare e alla fine sono sicuro che sarà un successo. Tra un mese la conferenza del World Congress of GLBT Jews (Congresso mondiale degli ebrei GLBT) sarà a Roma, con un programma bello e interessante, impensabile solo fino a due anni fa. Questo non è già un successo?

Per molti attivisti LGBTQIA israeliani lo stato è tutt’altro che laico ed è attento ai diritti solo di alcuni, ma nel titolo del vostro quarto panel (“Diritti civili in Israele, come integrare libertà individuali e forti tradizioni religiose, quale insegnamento per l’Occidente”) non sembra esserci traccia di dubbio, solo una celebrazione della situazione, che pure è sicuramente è la più avanzata in Medio Oriente. Israele è davvero il paese dei sogni, secondo voi?

Il tema del panel in realtà pone una semplice domanda, aspettiamo di sentire cosa avranno da dire i conferenzieri, un attivista LGBT italiano e due israeliani, di cui uno ebreo e l’altro musulmano. Detto questo, Israele, come l’Italia, è un paese dalla forte identità religiosa, eppure in Israele tanti diritti sono riconosciuti alla persone LGBT, molto per merito delle associazioni che fanno pressione sulla politica, spesso appellandosi alla Corte suprema. Il panel non vuole celebrare lo stato di Israele, che è tra i più emancipati del mondo occidentale per il riconoscimento dei diritti civili, ma raccontare le lotte, le sofferenze e l’emancipazione del movimento LGBT israeliano: credo che la sua storia possa essere di insegnamento a noi italiani, perché vediamo chiaramente quanto le cose siano più difficili e lente nel nostro paese.

Michele
©2018 Il Grande Colibrì

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