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Si può fare di più. Ad alcuni deputati russi la legislazione contro la “propaganda gay” non bastava, perché non punirebbe in modo efficace la diffusione dell’omosessualità, limitandosi a sorvegliare che non ne vengano a contatto i bambini, mentre Ivan Nikitchuk e Nikolay Arefyev vorrebbero che proteggesse “tutte le persone normali”, prevedendo multe e carcere fino a quindici giorni per un semplice coming out. Per questo hanno presentato un progetto di legge che sanziona qualunque riferimento pubblico a “rapporti sessuali non tradizionali”, cercando tuttavia di sembrare moderati: “Nel passato recente il carcere previsto era fino a cinque o otto anni, mentre nei tempi antichi le norme erano ancora più dure”. Per fortuna a prendere posizione contro questa nuova proposta non sono stati solo gli attivisti LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e chi si batte per i diritti umani in Russia.

Infatti anche il parlamentare di San Pietroburgo Vitaly Milonov, autore del primo provvedimento che limitava – nella sua città – la libertà di parola di persone e associazioni LGBT, ha ricordato come le fasce deboli siano già protette dalla legge adottata da Putin. La posizione, che appare sorprendentemente moderata, è probabilmente frutto di una linea governativa che mira a ripristinare i rapporti con l’Unione Europea, dopo le sanzioni dovute alla crisi sull’Ucraina: in questo quadro se ancora non si può sperare in un miglioramento dei diritti LGBT c’è almeno da immaginare che non ci si muova per creare un nuovo terreno di scontro [RT].

Una piccola mano ai diritti può sempre venire dallo sport. Il campione di atletica ventiduenne Sergey Shubenkov ha posato nudo per una serie di fotografie con l’intento di risvegliare l’interesse per il suo sport, riuscendo in parte a portare all’arena Luzhniki di Mosca un pubblico più vasto di quello che normalmente assiste a queste competizioni in Russia. Tuttavia oltre alle foto, pubblicate su Vogue, fa discutere anche una dichiarazione del giovane ostacolista, laureato in giurisprudenza: “Volevo fare una cosa che piacesse al pubblico, specialmente alle donne, ma anche agli uomini che gradiscono: io non ho nulla in contrario” [Sputnik].

Un miglioramento dei diritti potrebbe esserci invece presto in Ucraina, dove il parlamento ha, con grande fatica, votato una legge che abolisce le discriminazioni sui luoghi di lavoro basate su orientamento sessuale, fede religiosa e appartenenza politica, eredità sovietica che creava un ostacolo alla libera circolazione di cittadini con l’Unione Europea. Purtroppo però, oltre alle resistenze della maggioranza dei deputati, a scoraggiare sono le dichiarazioni che hanno accompagnato il voto. Il portavoce del parlamento Volodymyr Groysman ha infatti rassicurato personalmente i parlamentari riottosi ad abolire le discriminazioni che questo voto non avrebbe in alcun modo segnato un’apertura per i diritti LGBT in Ucraina: “Dio non vuole i matrimoni omosessuali nel nostro paese” [Kyiv Post].

Un voto positivo arriva anche dalla Lituania, dove è stata rimossa dall’agenda parlamentare la discussione di un disegno di legge sulla “denigrazione dei valori della famiglia”, che di fatto era un modo per limitare l’espressione dei gruppi LGBT e vietare manifestazioni come il Pride. Il disegno di legge, presentato dal parlamentare Petras Gražulis, è stato respinto con 64 voti, mentre dieci hanno votato a favore e 25 si sono astenuti [Delfi].

E’ invece notte fonda per i diritti (non solo LGBT) nei paesi ex sovietici dell’Asia centrale, oggetto di un rapporto periodico pubblicato dagli attivisti di Human rights watch [Human Rights Watch]. Per quanto riguarda le persone omosessuali e transessuali, si hanno notizie negative dal Kirghizistan, dove due proposte di legge contro la propaganda gay, che colpirebbero anche gli attivisti stranieri, sono pronte per essere discusse in parlamento, mentre la vita delle persone omosessuali è già estremamente difficile nel paese, dove gli abusi (estorsioni, violenze fisiche e sessuali, anche da parte della polizia) restano normalmente impuniti.

Anche peggiore è la situazione del Turkmenistan, dove l’omosessualità è considerata una malattia ed è punibile con due anni di reclusione, imponendo di fatto il silenzio sul proprio orientamento a tutte le persone LGBT nel paese.

Dagli altri paesi oggetto del rapporto, Kazakistan, Tagikistan e Uzbekistan non arrivano nemmeno accenni alle condizioni delle persone LGBT, segno che è praticamente impossibile trovare contatti disposti a parlare dell’argomento: una condizione di invisibilità totale e una tragica violazione dell’identità personale che non sembra avere la possibilità di cambiare, in paesi che puniscono qualunque affermazione riguardi qualunque tipo di diritto umano.

 

Michele
©2015 Il Grande Colibrì

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