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Mi è capitato di leggere un articolo del Guardian: “Coppia musulmana si vede negare la cittadinanza svizzera per non aver dato la mano. La coppia inoltre ‘ha mostrato gran difficoltà nel rispondere a domande fatte da persone del sesso opposto’“. La commissione della città svizzera di Losanna che ha negato la cittadinanza, e il sindaco Gregoire Jounod che ha approvato il suo operato, sono stati capaci di essere contemporaneamente islamofobi, antisemiti, abilisti e alfieri della cultura dello stupro. Meritano una medaglia Salvini di prima classe.

Un mio contatto Facebook mi ha suggerito di andare a verificare sul Corano se effettivamente esso vieta ogni contatto fisico tra persone di diverso sesso, ma non intendo farlo perché, a parte il fatto che il Corano non è l’unica fonte della sharia (legge religiosa islamica), non è il caso di atteggiarsi a فقيه (faqih; giureconsulto islamico) se non si è musulmani (preferisco invitare i musulmani a dire la loro e gli altri a leggerli e ascoltarli).

Ebrei e strette di mano

Quello che da ebreo posso far notare è che anche alcuni ebrei, detti שומר נגיעה (shomer negiah; attenti al contatto) – sono soprattutto gli ultraortodossi – evitano di stringere la mano alle persone di diverso genere, in quanto il contatto fisico tra persone di diverso genere è consentito soltanto tra marito e moglie, fratello e sorella, genitori e figli, nonni e nipoti.

Non condivido questo modo di fare, e alcuni rabbini hanno argomentato, a proposito di una proibizione analoga (il divieto di ascoltare delle donne che cantano), che se l’applicare questa norma può far sentire una donna umiliata e disprezzata, la norma non si applica: la si ascolta cantare, se il non farlo lede quello che si dice כבוד הבריות (kavod ha-briyot; l’onore dovuto alle creature), cosa più importante di quest’interpretazione rabbinica della צניעות (tzinut; modestia).

E diversi rabbini, ortodossi e ultraortodossi, dicono che una stretta di mano, specialmente in un rapporto d’affari, di per sé non prelude a un rapporto sessuale e che pertanto si può consentire la stretta di mano a persona di diverso genere, soprattutto se l’altra persona potrebbe sentirsi imbarazzata dal rifiuto.

Però c’è un’altra norma più generale: degli ebrei ultraortodossi, come osservava Daniel Boyarin nel libro (curato insieme con Daniel Itzkovitz e Ann Pellegrini) “Queer Theory and the Jewish Question” (La teoria queer e la questione ebraica; Columbia University Press 2003, 464 pp.), ritengono la stretta di mano di tipo occidentale una guerresca esibizione di forza da cui astenersi.

Due foto a confronto

Osserviamo queste due foto. Nella prima foto, il rabbino capo sefardita Yitzhak Yosef stringe la mano a papa Francesco I. Se osservate bene, la sua stretta di mano è “a pesce morto”: si lascia stringere solo le dita, che ricambiano piegandosi appena. Nella seconda foto, egli tocca appena la mano al premier Benjamin Netanyahu, senza che nessuno dei due tenti di stringerla.

strette mano ebrei ortodossi

Nel primo caso, il rabbino ha a che fare con un gentile, abituato alle strette di mano, e ha cercato un compromesso; nel secondo caso, il rabbino ha a che fare con un ebreo ortodosso, che non può dichiararsi ignorante, e lo spazio per i compromessi è ben più stretto.

Un ebreo ultraortodosso che si fosse presentato davanti alla medesima commissione svizzera avrebbe ricevuto un rifiuto ancora più netto (se andate a cercare su Google “stretta di mano a pesce morto” oppure “dead fish handshake”, scoprite che essa è considerata tra le strette di mano da evitare perché danno una pessima impressione).

Non solo religione

Eppure l’antropologo Desmond Morris, nel suo libro “L’uomo e i suoi gesti: l’osservazione del comportamento umano” (Manwatching: a field guide to human behaviour; Triad Books 1978; traduzione italiana Mondadori 1978), avvertiva che anche i chirurghi e altri professionisti che vivono letteralmente del lavoro delle loro mani stringono la mano “a pesce morto”, perché temono che altrimenti una stretta troppo vigorosa possa rovinargliela.

Inoltre esistono altre persone che evitano le strette di mano per motivi né professionali, né religiosi, né di tradizione (molte culture dell’Asia esprimono il rispetto con un inchino, non con una stretta di mano). Ad alcune persone dello spettro asessuale ripugna ogni genere di contatto fisico, come a non poche persone nello spettro autistico. E una conseguenza spiacevole dell’aver subìto abuso sessuale può essere l’afefobia, ovvero la paura del contatto fisico, anche del tutto innocente (e l’afefobia può presentarsi anche indipendentemente da traumi).

Ci sono inoltre persone che non toccano nessuno perché soffrono di misofobia (paura dello sporco e della contaminazione da agenti patogeni): essa può essere una semplice fobia, oppure un sintomo ossessivo-compulsivo (che impone di lavarsi ben oltre il necessario e anche fino a rovinarsi pelle e mucose). Ma ci sono anche persone immunocompromesse che devono evitare i contatti con gli sconosciuti a causa della loro precaria salute. Ritenere che queste persone debbano comunque sforzarsi di stringere la mano, oppure consentir loro di non farlo solo se possono esibire un certificato medico, mi pare abilismo.

Se inoltre la legge oppure il costume mi imponessero di giustificarmi ogni volta che non do la mano a qualcuno, anziché diventare rauco a forza di spiegarlo, o chiudermi in casa per non doverlo dire, troverei estremamente pratico indossare un braccialetto al polso destro che, con il colore o il disegno, comunica a chi vuol stringermi la mano che non è il caso e perché.

Mi troverei in pratica a chiedere la “stella gialla”, in diverse fogge che rivelano uno di questi dati: la mia religione, la mia etnia, la mia professione, la mia neurodiversità, il mio orientamento sessuale, ciò a cui sono sopravvissuto, la mia salute fisica e psichica… una classificazione simile a quella dei campi di concentramento nazisti solo perché non s’impermalisca colui a cui non stringo la mano!

Cittadinanza e politica

Nel caso specifico della coppia marocchina, usare la stretta di mano come test per valutare il credere o meno nell’eguale dignità dei generi si scontrerebbe in Italia con l’articolo 22 della Costituzione: “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome“.

Interpretare quell’articolo nel senso che tutela solo chi è già cittadino, ma non chi lo vuol diventare (e quindi può essere vittimizzato dal parlamento e dal governo), mi pare poco sensato e ci metterebbe tutti su un piano inclinato e scivoloso. Sancire che un’opinione politica precluda il diventare cittadini significa rischiare di trovarsi d’accordo con chi disse: “Quelli italiani purtroppo ce li dobbiamo tenere” e creare le condizioni per cui anche chi è cittadino italiano per nascita può perdere la cittadinanza per motivi politici.

Io sono antifascista, ma non voglio fare come i fascisti, che privarono della cittadinanza italiana diversi antifascisti riparati all’estero: non è questo il modo di combattere il fascismo.

Nulla di personale

Forse è meglio rovesciare l’assunto di base: se una persona non accetta la stretta di mano, non la si prende sul personale – questo non solo perché chi non accetta può avere diversi motivi per questo, ma anche perché a nessuno è dovuto il contatto fisico. Da questo punto di vista vado un po’ oltre le femministe che vogliono smantellare la cultura dello stupro, che il più delle volte tollerano le strette di mano ed il “dammi il cinque”, considerandoli niente più che convenevoli.

Ma penso che il contatto fisico lo si possa imporre solo per salvare una vita, non in altre circostanze – non certamente per ottenere la cittadinanza!

p.s.: Mi va bene stringere la mano a chi lo vuole, e spesso prendo l’iniziativa, ma devo pensare anche a chi non vuole. Inoltre, non ho una grande opinione di papa Francesco I, l’ho alquanto peggiore di Benjamin Netanyahu (sono un fautore dell’Accordo di Ginevra del 2003 e un oppositore della Legge fondamentale su Israele stato-nazione del popolo ebraico), pessima di rav Yitzhak Yosef, un uomo che ha dimostrato più volte di essere un gran razzista. Ma le foto delle loro mani mi servivano per l’articolo.

 

 

Raffaele Yona Ladu
Ebreo umanista gendervague
Socio di Autistic Self-Advocacy Network
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Raw Pixel (Pexels License)

 

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