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Nel nuovo romanzo di Laurie Frankel, “This is how it always is” (“Ecco com’è sempre”, inedito in Italia), una famiglia americana affronta i pregiudizi sui bambini transgender. Il più piccolo di cinque figli maschi, Claude, dice ai suoi genitori che da grande non vuole essere solamente “un cuoco, un gatto, un veterinario, un dinosauro, un treno, un contadino”, ma anche “una ragazza”.

La famiglia Walsh-Adams accoglie prontamente la sua diversità, ma il mondo che la circonda è meno capace di comprendere e accettare la non conformità di genere di chi ha 5 anni. All’asilo Claude può indossare abiti da bambina, ma è messo in castigo se usa il bagno dei maschi. Dopo la sua decisione di diventare Poppy, il padre di un compagno di classe lancia minacce violente, per paura dell’immaginario effetto di contaminazione queer di Poppy su suo figlio.

E non basta: dopo un incontro sessuale, sparano a una donna trans nel campus del college locale. Così la famiglia decide che Madison, in Wisconsin, non è un ambiente ospitale per Poppy e si trasferisce nella più progressista Seattle. Ciononostante sembra più facile ricominciare da capo, senza spiegare che Poppy è transgender.

Il romanzo di Frankel è ispirato alla sua stessa esperienza nell’aver cresciuto un figlio trans [The New York Times]. La cultura occidentale sta affrontando oggi la sfida di capire il transgenderismo e la prima generazione di bambini apertamente transgender.

John Phillips, autore di “Transgender On Screen” (Transgender sullo schermo; inedito in Italia), suggerisce che “la ricombinazione dei generi si dimostrerà la sfida culturale più significativa” della nostra epoca a causa della “ridefinizione dei sessi e delle sessualità che necessariamente l’accompagna”. Questioni pratiche come il genere grammaticale preferito, l’uso dei bagni, il diritto alla partecipazione nello sport e il trattamento ormonale delle persone più giovani continuano a suscitare controversie.

Per cercare di ridefinire la nostra comprensione del sesso e del genere è utile esaminare come abbiamo rappresentato (o, più spesso, non rappresentato) le persone transgender nella cultura popolare. La storica incapacità di capire le persone trans è evidente nella tendenza culturale a dipingerle come personaggi comici o, ancora più frequentemente, come esseri strani e mostruosi.

Freak sensazionalistici e killer psicopatici

Il film cult “Glen or Glenda” di Ed Wood (1953) aveva come obiettivo lo shock ed è basato fondamentalmente su un uomo che si traveste. La parte finale del film, “Alan or Ann”, composta in larga parte da filmati di repertorio, parla più specificamente di un personaggio transgender (e potenzialmente intersessuale).

Alan è nato maschio, ma è stato cresciuto come ragazza e ha combattuto la Seconda guerra mondiale come uomo. Ricoverato in ospedale dopo una battaglia, Alan viene a sapere della chirurgia di assegnazione del genere e diventa una “donna giovane e carina”. Questa parte del film, secondo alcune fonti, sarebbe stata aggiunta per rispondere alle richieste del distributore per un film sensazionalistico sul “cambio di sesso”, suggerendo implicitamente che le persone transgender erano uno spettacolo grottesco che avrebbe aumentato la vendita di biglietti.

Mentre Wood era favorevole alla pratica del travestitismo (definiva anche se stesso come travestito), la maggior parte dei film e dei thriller successivi ha descritto i personaggi transgender come criminali. La lista di assassini trans è lunga e costante dagli anni ’60 agli anni ’90.

“Homicidial” (Omicida) di William Castle (1961) mostra una assassina, Emily, che indossa una parrucca e una protesi dentaria per nascondere il fatto di essere in realtà Warren. Tuttavia, Warren ha davvero un sesso biologico femminile, ma è stato cresciuto come un ragazzo dalla madre perché il padre desiderava un figlio maschio e avrebbe fatto del male a una ragazza. In linea con la rappresentazione sensazionalistica dei killer transgender, il film veniva proiettato con una “pausa della paura”, in cui, nel momento culminante, le persone del pubblico potevano lasciare la sala e chiedere il rimborso del biglietto se erano troppo spaventate.

“Dr Jekyll and Sister Hyde” (Dottor Jekyll e sorella Hyde), film del 1971 di Hammer Horror, rende più inquietante il celebre racconto sulla personalità scissa raccontando che Jekyll è spinto a realizzare un elisir di lunga vita con ormoni femminili estratti dai cadaveri di persone assassinate. Il siero trasforma Jekyll in una donna diabolica che finisce a uccidere le ragazze per ottenere più ormoni per mantenere la trasformazione.

Il film slasher di Robert Hiltzik “Sleepaway Camp” (Campeggio estivo) del 1983 contiene una scena finale tristemente celebre in cui si svela l’identità del serial killer. Il personaggio di “Angela” è in piedi, nudo e sporco di sangue, con il pene chiaramente visibile dagli spettatori. “Oh mio dio, lei è un ragazzo!” è la famosa battuta. Angela originariamente era un ragazzo di nome Peter, ma era stata costretta dalla madre ad assumere il ruolo della sorella gemella morta.

https://www.youtube.com/watch?v=ADEM_IDN-iU

Essere costretti in un particolare ruolo di genere è ovviamente traumatico, come dimostra il caso assai noto di David Reimer, che è stato cresciuto come una ragazza dopo una circoncisione sbagliata [Il Grande Colibrì]. Tuttavia la morale di “Sleepaway Camp” e di altri film con serial killer presentati senza dubbio come trans, come “Il silenzio degli innocenti” di Jonathan Demme (1991) o anche “Psycho” di Alfred Hitchcock (1960), è che la non conformità di genere sarebbe spaventosa e innaturale. Come suggerisce Phillips, svelare il transgenderismo degli assassini non solo rende gli omicidi bizzarri e mostruosi, ma anche “sfrutta l’alterità delle persone transgender per ingenerare paura e ripugnanza”.

La vita in rosa: bambini transgender

Solo recentemente i bambini transgender hanno iniziato a essere rappresentati dalla letteratura e dal cinema. Ciò dimostra un passaggio dalla demonizzazione delle persone trans a maggiori tentativi di capirle e di rappresentarle in modo positivo, come in film mainstream come il pluripremiato “Transamerica” di Duncan Tucker (2005).

https://www.youtube.com/watch?v=hA18YQi47uM

Una delle prime rappresentazioni di un bambino transgender è stato il film belga di Alain Berliner “La mia vita in rosa” del 1997, che confonde giocosamente il confine tra fantasia e realtà per mostrare i pensieri di un bambino di 7 anni, Ludovic, che vorrebbe essere una bambina.

Nonostante la sua estetica da film d’essai e il fatto che Ludovic, come suggerisce il critico Roger Ebert [Third Tablet], non dimostri “alcuna consapevolezza sessuale nel suo travestirsi”, il film negli Stati Uniti non può essere visto dai minori di 17 anni senza l’accompagnamento di un adulto. Questa restrizione suggerisce che due decenni fa creava ancora molto disagio l’idea che un bambino potesse non “lasciarsi alle spalle” la propria femminilità. Inoltre, indica la volontà che i giovani non siano esposti alla realtà dei bambini transgender.

Questa reazione emotiva spiega perché fino a tempi molto recenti ci sia stata solo una manciata di storie destinate ai bambini (di solito fantasy) che abbiano incluso personaggi che potrebbero essere interpretati come transgender. Il più interessante di tutti è la principessa Ozma, che appare in tutti i libri della serie di Oz di L. Frank Baum (1900-1920), con l’eccezione del primo. La principessa Ozma è nata femmina, ma è stata trasformata in un ragazzo di nome Tip dalla strega Mombi per impedirle di diventare sovrana di Oz. Tip non ricorda assolutamente di essere stata una ragazza quando Mombi è costretta a farla tornare nella sua forma originale femminile.

Storicamente i libri per bambini hanno rappresentato spesso e volentieri ragazzini e ragazzine che “giocavano” a impersonare l’altro genere, spesso etichettandoli come “femminucce” o “maschiacci”, ma l’aspettativa era che questi personaggi maturassero per diventare uomini e donne cisgender e eterosessuali.

Solo nel nuovo millennio un romanzo per giovani adulti ha avuto una protagonista transgender. “Luna” di Julie Anne Peter (2004) rappresenta un ragazzo adolescente, Liam, che progredisce dal vivere di notte il suo vero io, “Luna”, fino alla decisione finale di fare la transizione pubblicamente.

Victoria Flanagan, nel suo studio sul crossdressing nella letteratura per l’infanzia (“Into the closet”, Nell’armadio), spiega che la narrativa contemporanea per giovani adulti ha iniziato a riconoscere che “il crossdressing ha implicazioni che riguardano la sessualità e l’identità sessuale e di genere”. Queste idee prima erano considerate adatte solo a un pubblico adulto, dal momento che la cultura era largamente a disagio con bambini che leggessero o vedessero storie con personaggi queer o di genere non conforme.

La prossima ondata di rappresentazioni

“This is how it always is” simboleggia la prossima ondata di rappresentazioni di persone transgender. Nei romanzi e film per adulti, i killer psicopatici che erano imprigionati nel gender “sbagliato” dai genitori, o figure tragiche come il trans Brandon Teena, la cui vera storia di stupro e omicidio è messo in scena da “Boys don’t cry” di Kimberly Peirce (1999), sono rimpiazzati da rappresentazioni più positive di persone transgender.

Iniziamo a vedere storie di giovani che ottengono l’appoggio di amici e parenti nella decisione di vivere secondo il genere in cui si identificano (come, per esempio, Cole, il ragazzo transgender della serie The Fosters) o di adolescenti che imparano ad accettare la transizione di un genitore, come nel film australiano “52 Tuesdays” (52 martedì) di Sophie Hyde (2013).

La nuova possibilità per i bambini transgender di iniziare la transizione o almeno di ritardare la pubertà significa che ci potrebbe essere un ragazzino o una ragazzina trans in quasi tutte le classi di ogni scuola. Ed è giusto che i romanzi per giovani stiano iniziando a rappresentare anche bambini transgender. Tuttavia, come per le continue sfide intorno alla rappresentazione di personaggi gay e lesbici nella narrativa per ragazzi, i personaggi trans sono ancora rari e a volte sono considerati inopportuni.

Oggi non più è la minaccia dello strano mostro transgender, ma la minaccia della rottura di vecchie idee sul binarismo di genere ad avere più possibilità di spingere le persone transfobe a invocare la “pausa della paura”.

 

Michelle Smith per The Conversation
ricercatrice in letteratura inglese alla Deakin University
traduzione di Pier
©2017 The Conversation – Il Grande Colibrì

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