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Secondo le previsioni, le elezioni autunnali negli Stati Uniti dovrebbero regalare ai democratici la maggioranza in entrambi i rami del parlamento statunitense. Ma su questo fronte Donald Trump può forse stare tranquillo, dato che, se fosse per i sondaggi, lui non avrebbe mai varcato la soglia della Casa Bianca. A preoccuparlo di più rischiano di essere i sempre nuovi ostacoli che la sua politica di esclusioni e discriminazioni incontra ogni giorno.

Non si contano più, infatti, i provvedimenti della magistratura che neutralizzano i bandi proposti dal presidente per impedire l’accesso negli USA ai cittadini provenienti da alcuni paesi a maggioranza musulmana o che impediscono l’espulsione dei figli di immigrati irregolari (i cosiddetti “dreamers”). E che dire dell’esclusione delle persone transessuali dall’esercito, annunciata da Trump nel luglio scorso? Anche qui un giudice s’è messo di mezzo e il presidente ha dovuto incassare una mezza sconfitta.

Ostacoli per i soldati trans

Per evitare l’ennesima batosta, il Dipartimento di Stato e il Pentagono hanno allora deciso di dettare nuove linee guida per l’ammissione delle persone trans nell’esercito: tra queste norme restrittive, c’è la necessità di presentare un certificato medico da parte di una struttura sanitaria e una dichiarazione relativa al trattamento in corso per coloro che si stanno sottoponendo a terapie ormonali o di altro genere in vista di una possibile riassegnazione del sesso. Il certificato dovrà garantire che la persona sia stabile e senza “disagi clinicamente significativi o compromissione delle funzioni sociali, lavorative o di altre importanti aree di mansionamento” per 18 mesi. Caratteristiche che, a rigor di logica, dovrebbero essere richieste anche a tutti i cisgender che militano nell’esercito.

Non stupisce allora la comunicazione del Pentagono di lunedì, che annuncia il reclutamento della prima persona transgender da quando, all’inizio di gennaio, sono state introdotte le nuove regole per l’ammissione, mentre potrebbe addirittura sembrare strano che ce ne sia soltanto una. In realtà in tutto l’esercito degli Stati Uniti hanno dichiarato di voler ricorrere a un trattamento medico relativo alla loro identità sessuale soltanto 200 persone, anche se si stima – secondo uno studio della Rand del 2016 – che ce ne siano dodici volte di più.

Terapie riparative in chiesa

Il vero versante in cui Trump vince, purtroppo, è invece quello della polarizzazione delle posizioni. Se giorno dopo giorno i democratici americani appaiono sempre più “di sinistra” per quello che riguarda temi sociali e diritti umani, l’opinione dei repubblicani (e delle confessioni religiose a cui fanno riferimento) tende sempre più a escludere i diritti delle minoranze: succede con le etnie, con i generi e, soprattutto, con tutti i temi che hanno relazione con le persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali).

E così non stupisce che la Metro City Church a Riverview, in Michigan, abbia appena promosso un seminario (a pagamento) di sei settimane per ragazze dai 12 ai 16 anni “che lottano con il pensiero di essere trans-bi-gay o altro“. Accusato di voler proporre o praticare terapie riparative (che sono sconfessate dalla comunità medica e psichiatrica e possono portare a sentimenti di depressione e ansia e a comportamenti autodistruttivi), il pastore della chiesa, Jeremy Schossau, ha negato tutto con decisione, sostenendo che “è una bugia, perché ci occupiamo principalmente di bambini pre-sessuali“. Cosa poco credibile, dal momento il corso è rivolto alle adolescenti, anche se il sacerdote ha insistito che sono “troppo giovani per sapere quale sia il loro orientamento sessuale”.

Ma su Schossau sono piovute altre accuse da alcuni ex membri della sua chiesa, che lo hanno accusato di aver praticato un esorcismo su un giovane transgender, cosa che non fa ben pensare sulle vere intenzioni del seminario che, dopo le polemiche suscitate, si terrà ugualmente, ma sarà gratuito.

Michele
©2018 Il Grande Colibrì

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