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Svegliarsi in un incubo non è il massimo, ma considerare che quell’incubo potrebbe durare quattro anni (o più) è terrificante. Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti e ha vinto sovvertendo tutti i pronostici, come ha fatto fin dalla sua discussa candidatura alle primarie repubblicane. Gli analisti dicevano che si sarebbe ritirato dopo pochi stati, perché non c’erano chances per lui, i primi sondaggi lo davano soccombente rispetto ai più esperti competitori con maggiore esperienza politica o cognomi più affidabili.

E invece lui ha cominciato a vincere le primarie nel primo stato e non si è più fermato, neanche quando i sondaggi nazionali lo davano venti punti dietro a Hillary Clinton e sul punto di ritirarsi dalla corsa.

Certo, tra i repubblicani è stato fatto tutto il possibile per perdere la battaglia con il rivale che si presentava contro i politici di professione: undici candidati a giocarsela, qualcuno più teo-con, qualcuno con idee meno oscurantiste, ma fondamentalmente uguali per il pubblico statunitense che, perlopiù, è un pubblico televisivo.

E i democratici gli hanno regalato l’avversaria che più rappresenta il sistema politico che potessero inventare, già senatrice, già segretario di stato, già candidata alle primarie di otto anni fa e, soprattutto, già stata alla Casa Bianca per otto anni. Quest’ultima è una delle letture possibili, ma personalmente dubito davvero che con Bernie Sanders candidato in luogo di Hillary Clinton i democratici avrebbero potuto avere più fortuna…

L’altra lettura possibile della vittoria di Trump di questa notte è riassunta in una vignetta di Ellekappa pubblicata ieri sul quotidiano “La Repubblica”: nel consueto dialogo tra due personaggi il primo parla de “La difficile scelta degli elettori Usa” e l’altro risponde: “Da un lato c’è un pericoloso incapace che semina odio e violenza, dall’altro però c’è una donna”.

Malgrado Clinton fosse considerata il candidato più preparato degli ultimi decenni e Trump il candidato meno preparato della storia americana, gli americani hanno scelto per un miliardario che fa i suoi interessi, spacciandosi per una novità mentre, nei fatti, ha sempre avuto tanti e ottimi rapporti con la classe politica che ora vuole scalzare. Se vi ricorda qualcosa è perché gli italiani sono gli ultimi in assoluto a poter fare la morale ai nostri alleati di oltreoceano…

Poi certo, molti spiegheranno che un uomo che vuole fare la guerra alla Cina è meno pericoloso di una donna che vuole fare la guerra alla Russia. Che Hillary Clinton aveva votato a favore dell’intervento in Iraq e che era stata l’ispiratrice dell’intervento in Libia, e che quindi avrebbe dato il via a chissà quale serie di guerre in Medio Oriente o altrove. Ma la realtà è che ha vinto un uomo maschilista e machista contro una donna paladina dei diritti civili.

Ora, mentre le preoccupazioni del mondo sono legate al famoso bottone rosso dell’autodistruzione che c’è in ogni film di fantascienza e che alla guida degli Stati Uniti è rappresentato dai codici per l’accesso all’arsenale nucleare, la comunità LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali) americana e mondiale si interroga sulla fine che faranno i diritti di uguaglianza ottenuti sotto la presidenza di Barack Obama e con il fervente contributo del segretario di stato Hillary Clinton.

Durante la sua campagna elettorale Trump ha promesso ai suoi elettori di cancellare il matrimonio egualitario [CNN], ma ha anche detto di non avere niente contro le persone omosessuali, sposando sostanzialmente il vecchio adagio secondo cui si può fare ciò che si vuole, purché non lo si ostenti in piazza.

La scorsa settimana ha anche esibito una bandiera arcobaleno dal palco e ha smorzato i toni della sua crociata per ridimensionare i diritti LGBTQI nel paese [Il Grande Colibrì], ma su questo tema Trump è pericoloso più per la compagnia che si porta dietro, a cominciare dal fervido sostenitore delle terapie riparative Mike Pence, vicepresidente in pectore, e giù giù dentro un partito che in molti stati che governa sta introducendo regole discriminatorie per le persone omosessuali e, soprattutto, transessuali.

Può essere che a Trump non importi molto del suo partito: lo ha dimostrato più volte, fin dalle primarie e dalla minaccia di candidarsi come indipendente se i repubbicani avessero provato a scaricarlo. Ma oggi Trump e il partito repubblicano controllano la presidenza e i due rami del congresso e nomineranno i nuovi giudici della Corte suprema, che potrebbe essere chiamata nuovamente ad esprimersi sul diritto di tutte le persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, a sposarsi e a mettere su famiglia.

Sono tempi duri per i diritti, e non solo per quelli LGBTQI.

I risultati che si susseguono, dall’avanzata delle destre in Europa alla Brexit, fino alle elezioni americane, hanno un filo conduttore che è legato non tanto alla crisi quanto alla percezione della realtà. Oggi negli Stati Uniti le persone stanno molto meglio di otto anni fa: c’è più occupazione, i salari minimi tendono a crescere, c’è una copertura sanitaria per una fascia maggiore di popolazione. Ma Trump ha vinto mettendo paura agli americani sul fatto che i democratici avrebbero svenduto i loro posti di lavoro ai messicani.

Un po’ come in Europa (e in Italia), dove si farnetica di invasioni per negare i diritti umani alle persone che fuggono da guerre, violenze e condizioni disagiate. E in entrambi i continenti il corollario omofobico non manca, perché sono cose che funzionano bene sui social network, che sono lo strumento per vincere le elezioni (o i referendum) perché tanto la gente più in là del titolo non legge…

La vittoria di Trump e quella delle nuove destre è figlia di un nuovo analfabetismo. Sarà un lavoro lunghissimo e difficilissimo tornare ad insegnare l’ABC a chi della propria ignoranza non solo non si vergogna, ma la sbandiera come un titolo di merito. A meno che si avvicini un sondaggista a cui mentire sulle proprie intenzioni di voto…

 

Michele
©2016 Il Grande Colibrì

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