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Il 2021 non è stato un bellissimo anno per le comunità Lgbtqia+ dei paesi dell’Europa centro-orientale, dove i gruppi di pressione religiosi, per primi, e politici hanno usato il tema del “pericolo Lgbt” per soffiare sul fuoco ed alimentare i sentimenti omofobici della propria base politica. In alcuni casi è stato sfruttato il clima dovuto alla pandemia di Covid-19 per far passare leggi discriminatorie e portare comunque avanti discorsi di odio, sia direttamente, sia attraverso i media.

Questo accade soprattutto dove governano partiti populisti, con in prima fila, la Polonia, governata dal partito nazionalista e ultracattolico Prawo i Sprawiedliwość (Diritto e giustizia; PiS) e l’Ungheria, guidata da Fidesz, un partito che ha posizioni simili, con a capo il primo ministro Viktor Orbán, che basano molto del loro successo politico sulla paura del “diverso” (persone Lgbtqia, migranti, di origini rom) contrapposto ad una narrativa “sovranista” che vede un “popolo” ed una “tradizione” da “difendere” da questo tipo di “minacce provenienti dall’esterno”.
Questi due paesi, ha commentato Evelyne Paradis, direttrice del gruppo europeo di ILGA a Radio Free Europe

“Non sono un caso isolato. Per tutto l’anno abbiamo visto un incremento della repressione politica nei confronti delle persone Lgbtqia+, un aumento delle difficoltà socioeconomiche e dell’odio omofobico in tutta l’Europa centro-orientale”.

I punti più bassi di questa ondata di odio e violenza si sono verificati lo scorso 30 ottobre a Sofia, dove, durante la campagna per le elezioni presidenziali, un candidato di estrema destra, Boyan Rasate (per quanto accreditato di una percentuale minima di preferenze) ha guidato un assalto violento alla sede di un’associazione Lgbtqia+ ed in Ungheria, dove lo scorso giugno, Fidesz ha “nascosto” all’ultimo momento un emendamento che vieta una informazione non discriminatoria nei confronti delle persone Lgbtqia+ all’interno di un provvedimento contro la pedofilia, mentre in Polonia, una legge del genere è stata spesso annunciata, mentre la TV di stato (TVP) ospita abitualmente oratori che sostengono le cosiddette “terapie riparative” e paragonano l’omosessualità alla pedofilia.
In Ungheria, dopo l’approvazione di questa legge, sono aumentati i casi di discriminazione e violenza, come sottolinea Tamás Dombos, amministratore di Háttér Társaság (Società in background):

“Le persone che compiono atti di questo tipo sono sempre state omofobe, ma adesso sentono che la loro voce viene ascoltata”.

Fare un commento omofobico su una coppia formata da persone dello stesso sesso, adesso non viene più considerato “fuori luogo” come poteva essere qualche tempo fa.

Al momento, i dati della polizia non mostrano un chiaro incremento degli episodi di violenza, un po’ perché notoriamente si tende a denunciare di meno dove le autorità vengono percepite come “ostili”, un po’ perché in Ungheria i dati sulle denunce vengono resi noti solo al momento della chiusura della pratica, quindi le statistiche sull’incremento degli episodi violenti in seguito alla nuova legge potranno essere disponibili tra qualche anno.

La Lituania è stata una specie di “avamposto” delle politiche omofobiche in Europa e nella UE. Una legge “contro la propaganda gay” è stata votata già nel 2010 (addirittura in anticipo rispetto alla Russia di Putin), sulla base della considerazione dell’omosessualità come una devianza e che “la promozione di quello stile di vita”, potesse causare un pericolo per il paese. Le proteste della società civile e delle associazioni per i diritti delle persone Lgbtqia+ sono riuscite a far cancellare buona parte del provvedimento già l’anno successivo.
Nel Paese, i sondaggi mostrano che quasi il 70% delle persone sono contrarie a qualsiasi tipo di unione riconosciuta tra persone dello stesso sesso (non presenti nell’ordinamento lituano). Nel maggio di quest’anno il parlamento aveva discusso l’introduzione delle unioni civili, ma la legge non è passata ed era stata mobilitata comunque una manifestazione di 10.000 persone contrarie al progetto.

L’omofobia di stato, fa notare Agnieszka Koscianska, insegnante presso la Oxford School of Global and Area Studies, è relativamente recente, almeno nell’ultimo secolo, in questi paesi: la Polonia, nella quale si fanno le campagne elettorali basate sul “morbo Lgbt”, aveva decriminalizzato l’omosessualità addirittura nel 1931, quindi ben prima dell’avvento del regime comunista. L’Ungheria lo aveva fatto 30 anni dopo, nel 1961, seguita, nel 1968, dall’allora Cecoslovacchia. In Romania la liberalizzazione è avvenuta più recentemente (nel 2001) ma già da tre anni non c’erano più persone che stessero scontando una pena per omosessualità. Nei paesi nati dalla dissoluzione della ex Jugoslavia, l’omosessualità è stata decriminalizzata a metà degli anni ‘90, dato per il quale dobbiamo tenere in conto il contesto di quest’area negli anni precedenti.

Sia nell’Europa centro-orientale che in quella occidentale, le posizioni omofobiche (quasi sempre in parallelo con le posizioni sessiste e contro le persone migranti) sono sostenute da gruppi di estrema destra.
Per Dunja Mijatovic, commissaria del Consiglio d’Europa per i diritti umani

“Fare delle minoranze sessuali il proprio capro espiatorio è una tattica ampiamente utilizzata dai politici nazionalisti, che si pongono come difensori dei ‘valori tradizionali’ per rafforzare la loro base elettorale o per rimanere al potere”.

Gli attacchi alle persone Lgbtqia+ aumentano, infatti, con l’avvicinarsi delle elezioni.
I gruppi che attaccano i diritti delle minoranze sessuali, dei migranti e la libertà sessuale e riproduttiva è sempre più presente e strutturato in Europa. E quei diritti che sembravano ormai garantiti, vengono ogni giorno messi in discussione. Per Teodora Ion Rotaru, presidente di Accept, un’associazione rumena per i diritti delle persone Lgbtqia+, questo ciclo fa parte di una campagna più ampia condotta dal governo russo contro i “valori europei”, libertà democrazia, stato di diritto ed uguaglianza.

“Non è un caso che i social media siano stati riempiti, negli anni, di fake news provenienti da account russi, per incitare il conflitto contro le persone Lgbtqia+. E questo si nota bene nel movimento ‘No Vax’ che si sovrappone spesso, in termini di persone e di sigle a quello contro i diritti delle minoranze”.

Le autorità russe (dove vige dal 2013 l’infausta legge “contro la propaganda gay”) non lavorano sempre così “in sotterranea”.
Talvolta, l’attacco è molto più scoperto, come è accaduto allo youtuber Felix Glyukman, che si è visto recapitare un messaggio da Google dove gli veniva chiesto di rimuovere un suo video “come ho capito di essere gay” (link) del 2019, in quanto “violava la legge No.149-FZ della Federazione Russa”, probabilmente dopo una segnalazione del Servizio Federale per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa (Roskomnadzor) russo.
Sembra che poco valga il fatto che Felix abbia girato il suo intervento a Miami, dove vive dal 2017, e dove ha pagato tutte le tasse sui guadagni di quel video.

Nonostante questa situazione non rosea, l’anno si è chiuso con due piccole buone notizie.
In Polonia, l’associazione ultracattolica Ordo-Iuris aveva denunciato, per aver diffamato il buon nome di una provincia polacca (Przasnysz), lə attivistə che avevano creato la “mappa dell’odio” per mostrare tutte quelle amministrazioni che avevano votato le risoluzioni “contro l’ideologia Lgbt” e “in difesa della famiglia”, meglio note come “zone libere da Lgbt”.
Una delle conseguenze di queste risoluzioni è l’impossibilità (o una grossa difficoltà) nel fare un’informazione corretta su questo tipo di temi. Per questo lə imputatə Paulina Pajak, Jakub Gawron, Paweł Preneta e Kamil Maczuga sono statə assoltə, in quanto “l’art. 54 della Costituzione polacca e dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo tutela il diritto all’uguaglianza di trattamento e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni”. Nel leggere la sentenza, la magistrata Grazyna Szymanska-Pasek ha mostrato quali siano i frutti di una politica omofobica portata a questo livello:

“Le statistiche mostrano che almeno il 68% (delle persone Lgbtqia+) ha subito aggressioni verbali, il 12% violenze fisiche, il 50% nasconde il proprio orientamento sessuale e il 30% soffre di depressione”.

In Lituania entrerà in vigore a febbraio un nuovo regolamento, firmato dalla ministra della Giustizia Evelina Dobrovolska che potrà almeno rendere più facile il cambio delle generalità sui documenti per le persone transgender senza che queste debbano per forza sottoporsi ad un intervento chirurgico. Sarà comunque necessario un certificato medico che abbia “diagnosticato” la propria identità di genere.

 

Alessandro Garzi
©2022 Il Grande Colibrì
immagine: elaborazione da foto di Anna Shvets da Pexels

 

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Alessandro Garzi: “Ho sempre avuto un interesse per i diritti civili. Al momento, cerco di capire qualcosa sulle politiche verso le persone LGBTQIA+ nei paesi dell’Europa centrale ed orientale, e di far conoscere cosa sia l’orientamento asessuale e il mondo che lo circonda” > leggi tutti i suoi articoli

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