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Anche a Kuala Lumpur si è festeggiato l’8 marzo, la giornata internazionale della donna: più di 300 persone si sono radunate nel centro della capitale malese per protestare contro il patriarcato, la violenza di genere e i matrimoni con bambine, ma anche – come si è ricordato esplicitamente anche dal palco – per i diritti delle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali) e contro le discriminazioni basate su identità di genere e orientamento sessuale. D’altra parte nella piazza non mancavano cartelli dedicati al tema e bandiere arcobaleno.

Maggioranza tentennante

La cosa non è piaciuta a tutti, anzi. Il ministro per gli affari religiosi, Mujahid Yusof Rawa, si è detto sconvolto: “Per me le azioni odierne di alcuni gruppi sono state un vero e proprio shock: hanno abusato dello spazio democratico per difendere qualcosa che l’islam considera sbagliato“. Mujahid più volte ha preso posizione contro le persone LGBTQIA, eppure è lo stesso ministro che la scorsa estate aveva denunciato la violenza contro le persone transgender: “Vogliono solo vivere in pace. L’ho sempre detto: non puoi far del male a un compatriota malese senza ragione, solo perché è diverso da te“.

Mujahid, comunque, non è il solo a regalarci dichiarazioni altalenanti sulle minoranze sessuali. Lo stesso primo ministro Mahathir Mohamad oscilla da forti prese di posizione contro i diritti LGBTQIA, in cui arriva a definire l’omosessualità come “un valore occidentale” inaccettabile per la Malesia, alla dura condanna delle punizioni corporali nei confronti delle persone omosessuali: per esempio, quando lo scorso settembre due lesbiche sono state condannate alla fustigazione, ha detto che questo fatto “non riflette né la giustizia né la compassione dell’islam“.

Il governo malese cerca una terza via tra repressione e accettazione? Ha paura delle reazioni dell’opinione pubblica internazionale? O non sa che pesci pigliare? Probabilmente sono vere tutte e tre le ipotesi, come dimostra il comportamento imbarazzante del ministro del turismo, Mohammaddin bin Ketapi, che a una fiera a Berlino a proposito di gay ha detto: “Penso che non esista niente del genere nel nostro paese“. Deriso in patria e in tutto il mondo, ha precisato che voleva dire che non ci sono programmi turistici speciali per le persone LGBTQIA, che sono ben accolte in Malesia (a patto che rispettino le regole…).

Contrari e favorevoli

Molto più coerente – purtroppo! – è l’opposizione di destra, a partire dalla Pertubuhan Kebangsaan Melayu Bersatu (Organizzazione nazionale malese unita; UMNO), che ha governato la Malesia dall’indipendenza fino al 2018. La leader dell’organizzazione femminile del partito, Noraini Ahmad, ha accusato la manifestazione dell’8 marzo di volere “una grande distruzione delle istituzioni sociali“, mentre alle persone LGBTQIA dovrebbe essere “impedito di compiere azioni immorali“. Sulla stessa linea si collocano anche i partiti di destra più piccoli, come il Parti Islam Se-Malesiain (Partito islamico panmalese; PAS).

A dire il vero, tra i politici sono ben pochi quelli che si espongono a favore delle minoranze sessuali. Tra loro, si segnala in particolare Charles Santiago del Parti Tindakan Demokratik (Partito d’azione democratica; DAP), un movimento di centro-sinistra che fa parte della maggioranza e che è sempre molto attento ai temi della laicità. Anche questa volta Santiago ha difeso i manifestanti con un editoriale dall’incipit significativo: “Ciò di cui abbiamo bisogno in Malesia è una trasformazione radicale della società fondata su uguaglianza e giustizia“. E speriamo che avvenga presto.

Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da Mohd Azli Abdul Malek (CC BY-NC-SA 2.0)

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