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A giudicare dalle notizie e dall’indignazione contro il Brunei che hanno suscitato, si potrebbe pensare che in quel paese la violenza fosse riservata solo ai gay con la pena capitale. Invece il codice penale della sharia che è entrato in vigore nel Brunei include l’amputazione per furto, la pena di morte per apostasia, così come la lapidazione a morte per adulterio e i rapporti omosessuali. [Il sultano ha poi annunciato una moratoria, ma limitata solamente alla pena di morte; ndr]. I non musulmani non sono risparmiati e anche i minori potrebbero essere frustati.

Indignazione selettiva

Come attivista per i diritti LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersex e asessuali) che lavora in Malesia, sono turbato da questa tendenza globale nel riportare le notizie che dà l’impressione che l’uccisione di omosessuali sia l’unico crimine meritevole di suscitare indignazione. Non dovremmo essere ugualmente indignati dall’amputazione delle membra, dalla morte per apostasia, dalla flagellazione dei bambini e dagli altri crimini contro l’umanità?

Mi chiedo se questo tentativo di suscitare l’indignazione dei progressisti non sia guidato da un retrogusto di islamofobia. Se è così, questo permette a paesi come il Brunei di inquadrare i diritti umani non solo come opposizione alle leggi islamiche, ma anche come un attacco alla loro sovranità. Questa indignazione progressista selettiva può essere dannosamente strumentalizzata dalla narrazione secondo cui l’Occidente starebbe assediando i valori islamici attraverso i diritti LGBTQIA, giustificando il tentativo di rifiutare tutto ciò che non sia “islamico”.

Chi si preoccupa degli altri?

Rifiutare tutto ciò che non è islamico non ha come bersaglio solo le persone LGBTQIA. Queste leggi colpiranno in modo sproporzionato i gruppi socialmente vulnerabili, come le donne, i bambini, le minoranze economicamente svantaggiate e quelle religiose. Eppure molte notizie e persino alcune organizzazioni LGBTQIA non sembrano preoccuparsi per gli altri.

Sia Human Rights Campaign che Gay Times, nei loro articoli su questa notizia, non hanno fatto nessuna menzione alle altre leggi altrettanto orribili del Brunei. Reuters ha intitolato il suo articolo “Brunei esortato a fermare l’introduzione di severe nuove leggi anti-LGBT+“, come se solo la parte anti-LGBTQIA delle nuove leggi dovesse essere fermata. In molti altri articoli, i titoli cercano di esasperare l’indignazione progressista, mentre si menzionano solo di passaggio le altre leggi orribili contro il furto e l’apostasia.

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Libertà di espressione

Questa tendenza nel riportare le notizie non ha mostrato che i diritti LGBTQIA sono parte di una più ampia lotta per la democrazia nella regione. Gli attivisti per i diritti LGBTQIA fanno parte dei movimenti della società civile in molti paesi. Quando gli attivisti LGBTQIA di alcuni paesi sono lasciati fuori dai processi sociali del loro paese, il resto di noi da altre parti del sud-est asiatico si batte perché siano inclusi. Non siamo soli.

Qui gli attivisti per i diritti LGBTQIA non stanno lottando solo contro le leggi anti-LGBTQIA, ma anche contro una raffica di leggi nella regione che sono anti-democrazia, anti-diritti umani e anti-libertà di espressione. Le leggi dell’era coloniale come il Sedition Act (legge contro l’eversione) sono state usate per mettere in prigione e ridurre al silenzio gli attivisti in Malesia e sono ancora utilizzate dalla polizia nella sedicente “Nuova Malesia”. A Singapore il governo cita in giudizio i critici finché non sono ridotti sul lastrico.

Allo stesso modo, il Brunei mette fuori legge le critiche legiferando contro l’insulto al sultano: chiunque si oppone alle sue leggi “sarà punito con la condanna alla reclusione per un periodo non superiore a 5 anni“. Forse queste leggi in Brunei sono tentativi di auto-validazione del potere della monarchia contro una traiettoria regionale verso la democratizzazione. Forse sono tentativi di creare una facciata di leadership morale islamica per mascherare altre questioni.

Un problema di democrazia

E non c’è solo questo in Brunei. Come ha sottolineato la dichiarazione di solidarietà della società civile dell’ASEAN , “questo ridurrà ancor di più al silenzio il dissenso, creerà una cultura della paura nel suo popolo e ridurrà ulteriormente lo spazio d’azione dei cittadini nel paese“. Questa cultura della paura è conosciuta da tempo dagli abitanti del sud-est asiatico che vivono sotto varie forme di dittatura, siano esse elette o auto-nominate. Il codice penale della sharia del Brunei è progettato per mettere a tacere il dissenso, la prima linea di resistenza contro ogni forma di oppressione. Queste leggi reprimono ancora di più la cittadinanza.

Il problema nella regione quindi non è solo l’omofobia e la transfobia, ma è un problema di democrazia indebolita da coloro che beneficiano del feudalesimo, del patriarcato e della ricchezza e che politicizzano gli orientamenti sessuali, le identità di genere, le etnie e le religioni per mantenere il potere. È anche un problema di governi che indossano la democrazia come una maschera per fare affari con i vostri governi, per poi mettere a tacere chi punta il dito contro questa mascherata.

In tutto il sud-est asiatico si fanno passi incerti sulla lunga strada verso la democrazia, guastata dal populismo, dal sovranismo e dalla corruzione. Ma anche nei paesi che sembrano aprirsi, come la Malesia, gli spazi rimangono chiusi per alcuni gruppi la cui inclusione suscita scontro, per esempio le persone LGBTQIA, le minoranze religiose, le donne che osano organizzare manifestazioni. Quando gli spazi vengono chiusi ad alcuni di noi, lavoriamo insieme per trasformare gli spazi che escludono in spazi che includono. Chi ha accesso può creare accesso per gli altri. Apriamo gli spazi gli uni agli altri.

Boicottare o sostenere?

Boicottare alcuni alberghi di proprietà del Brunei o boicottare il Brunei come meta di vacanza per mostrare solidarietà è bizzarro. Voglio dire, è bello che la gente voglia mostrare solidarietà, ma non so quante persone potrebbero permettersi davvero quegli hotel. O quanti stavano davvero pensando di passare le vacanze in Brunei. È facile boicottare il Brunei e i suoi hotel. Ci abbiamo provato l’ultima volta e siamo ancora punto e a capo.

Ciò che non è facile è sostenere il lavoro svolto dagli attivisti in questa regione. Se siete riusciti a risparmiare qualche soldo non spendendolo in quegli hotel, spero che li destinerete al lavoro degli attivisti locali del sud-est asiatico (guardate ASEAN SOGIE Caucus se state cercando una rete regionale di supporto).

Ascoltare le voci dal Brunei

I nostri amici LGBTQIA in Brunei sono stanchi e impauriti. Ma non è vero che non possono parlare. Sì, devono preoccuparsi in ogni istante della propria sicurezza, devono selezionare le proprie battaglie. Hanno bisogno di piattaforme sicure, hanno bisogno di buone strategie, ma vogliono parlare. Tra le voci dei dittatori da una parte e quelle delle celebrità dall’altra, è facile tralasciare le persone che contano davvero. Magari non ci dicono quello che vorremmo sentire, magari vogliono cose diverse da ciò che siamo disposti a dare. Ma è giusto così: dobbiamo aiutarle a essere ascoltate.

E allora, per favore, indignatevi per le leggi che ci sottraggono gli strumenti per difenderci e per alzare la voce gli uni per gli altri. Per favore, indignatevi quando i deboli sono puniti a causa della loro debolezza. Per favore, indignatevi con chi detiene il potere per indebolire la democrazia e prendersi ancora più potere. Per favore, indignatevi per le leggi e i media che ci isolano e ci tengono lontani dalla società. Siate solidali con noi come noi siamo solidali con le persone colpite da qualsiasi legge ingiusta.

Pang Khee Teik per QueerLapis
direttore di QueerLapis e manager per Innovation For Change-East Asia
traduzione di Pier Cesare Notaro
©2019 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da bvi4092 (CC BY 2.0) e pxhere (CC0) / daBernard Spragg. NZ (CC0) / da tangi bertin (CC BY 2.0)

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