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Numeri da record al Pride di Seoul, in Corea del Sud, dove più di 100mila persone (precisamente 120mila secondo gli organizzatori, mentre la polizia non ha rilasciato dati sull’affluenza) hanno preso parte alla marcia per celebrare la diciannovesima edizione del Seoul Queer Culture Festival. Quest’anno è stato necessario inserire il nome della città, dato che manifestazioni analoghe sono state organizzate a Daegu, Busan, Jeju, Jeonju e Incheon. Il nome che è stato dato all’evento della capitale è stato “Queround”, per sottolineare come le persone queer siano, in realtà, “attorno a noi”.

La cultura dell’odio, così diffusa in Corea – dice Kang Myeong-jin, a capo dell’organizzazione della marcia – non prende di mira soltanto le persone queer, ma anche le donne, i rifugiati e le persone diversamente abili. Ci sono persone che vogliono cancellare questi gruppi oppressi dalla nostra società. Ma non possiamo essere cancellati. Siamo qui e abbiamo bisogno di essere visibili, ed è questa la funzione del Festival“.

“La religione è ridotta a violenza”

Ovviamente non potevano mancare, dall’altra parte della strada, i gruppi religiosi che si opponevano al Pride e che hanno cercato di mettersi lungo il percorso per evitare che la parata, guidata da un club di motociclisti chiamati Rainbow Riders, potesse prendere il via. Circa 500 agenti di polizia hanno tenuto separati i due gruppi ed hanno garantito il regolare svolgimento del Festival.

La religione – continua Kang – dovrebbe essere qualcosa di personale, non dovrebbe essere usata per giudicare le altre persone. Questa gente sta solo usando la religione come mezzo di violenza. Quello che vediamo non è una discussione tra pari, ma attacchi violenti da un lato e una difesa dall’altro“. “Qui – conclude – la società può sembrare immobile perché questi gruppi hanno sempre la voce più forte, ma le cose stanno cambiando continuamente, e abbiamo sempre più persone che chiedono un progresso in questo campo“.

Alessandro Garzi
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Seoul Queer Culture Festival / Facebook

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