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Nonostante in Indonesia, il paese con la più grande comunità musulmana al mondo, le persone LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali) siano abbastanza ben accette e non esistano leggi contro l’omosessualità (con l’eccezione della regione autonoma di Aceh, dove vige un’interpretazione oscurantista della sharia), periodicamente si segnalano episodi di intolleranza da parte di esponenti politici, di membri del governo, di autorità religiose o di altre personalità importanti. Nei giorni scorsi, per esempio, è stata ripresa da molti media di tutto il mondo la notizia che il governo ha chiesto ai siti di messaggerie istantanee di rimuovere gli emoji (ovvero le “faccine”) che rappresentano coppie dello stesso sesso [The Jakarta Post]. Ma molte altre notizie meritano di essere conosciute.

LA COMUNITÀ LGBT SOTTO ATTACCO

Si è parlato poco del ministro della ricerca, della tecnologia e dell’università Muhammad Nasir: il politico, non appena gli è giunta voce della creazione di un centro di supporto e di ricerca di studi sulla sessualità, un gruppo di counseling creato all’interno dell’Università di Giacarta, ha proposto di espellere dagli atenei tutti gli studenti LGBT. In seguito Nasir è stato costretto a una parziale ritrattazione (ora espellerebbe solo gli studenti omosessuali che manifestano pubblicamente il loro affetto per i propri compagni), pur confermando una delle frasi più discusse del suo primo intervento: le persone LGBT corromperebbero i principi morali della nazione [ABC].

E si è parlato ancor meno dell’intervento della polizia che ha disperso i partecipanti al workshop “I diritti LGBT sono diritti umani” che si teneva in un salone di un hotel di Giacarta, sostenendo che era una manifestazione non autorizzata, mentre le riunioni in luoghi chiusi con meno di 50 partecipanti non avrebbero, secondo gli attivisti, nessun bisogno di un’autorizzazione delle forze dell’ordine. Il problema è che la polizia stessa ammette di essere intervenuta dopo essere stata chiamata dal Front Pembela Islam (Fronte per la difesa dell’islam; FPI), un gruppo che da tempo tenta in ogni modo di impedire le iniziative della comunità LGBT e che, nel caso specifico, ha denunciato gli organizzatori per l’oscenità del manifesto con cui si pubblicizzava la riunione [The Jakarta Post].

L’OFFENSIVA DEGLI INTEGRALISTI ISLAMICI

L’offensiva dell’integralismo islamico contro i gay continua: il Majelis Ulama Indonesia (Consiglio degli ulema indonesiani; MUI), il consesso che riunisce i sapienti islamici di maggior peso, ha emesso una fatwa nei confronti dei musulmani che prendono parte ad attività correlate con le tematiche LGBT. Il presidente degli ulema, Ma’ruf Amin, ha affermato che la comunità gay, lesbica e trans sarebbe “religiosamente, culturalmente e moralmente deviante” e che il pericolo sarebbe in costante aumento negli ultimi anni. E anche un’organizzazione islamica solitamente moderata come Nahdlatul Ulama (Risveglio degli ulema; NU) ha preso duramente posizione contro i diritti LGBT [The Jakarta Post].

Ma la guerra degli ulema non si ferma ai musulmani indonesiani. Nel mirino ci sono anche le Nazioni Unite e il loro programma per la difesa dei diritti omosessuali in Asia, che secondo il segretario del MUI, Tengku Zulkarnain, vorrebbe annientare le tradizioni indonesiane, imponendo regole a un paese in cui “tutte le religioni rifiutano le persone LGBT”, che sarebbero “estranee alla nostra cultura” [Republika].

LA RESISTENZA POLITICA E RELIGIOSA

Ma, come si diceva, l’Indonesia è complessivamente uno stato aperto e la discriminazione proposta da alcuni trova ancora una buona opposizione. Com’è accaduto a Bandung, capoluogo di Giava Occidentale, dove il sindaco della città, Ridwan Kamil, ha ordinato ai manifestanti dell’FPI, che protestavano contro la comunità gay, di rimuovere i loro striscioni provocatori, che questo gruppo di intolleranti aveva issato per sciogliere una riunione di omosessuali… che non si stava affatto svolgendo [The Jakarta Post]. E che ci sia spazio per tutti, in molte occasioni, lo dimostra la scuola coranica guidata da due donne transgender di cui nei giorni scorsi si è occupata l’emittente inglese Channel 4, ma di cui Il Grande Colibrì aveva già parlato nei suoi primi mesi di vita.

 

Michele
©2016 Il Grande Colibrì

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