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“Alcuni uomini gay e alcune lesbiche possono cambiare il proprio orientamento sessuale?”: il titolo di uno studio del 2001, ma anche una domanda alla quale l’autore, il noto psichiatra Robert Spitzer, rispondeva affermativamente, diventando la colonna portante teoretica di chi, considerando l’omosessualità una malattia, propone terapie per curarla. In questi giorni Spizter ha ammesso che non è affatto provata l’efficacia delle terapie riparative [Il Grande Colibrì]. Paolo Rigliano, psichiatra, psicoterapeuta e sessuologo, autore del libro “Curare i gay?” [Il Grande Colibrì], commenta con noi questa ritrattazione storica. In attesa di un mondo in cui la risposta corale alla domanda iniziale non sia né un “sì” né un “no”, ma un sonoro “chissenefrega”…

Non credo affatto di esagerare affermando che la lettera di Spitzer sia di importanza eccezionale. Essa è un evento storico – credo di doverlo affermare senza remore -, un evento scientifico, etico, deontologico, professionale, culturale.

Innanzitutto, essa è di importanza storica perché ripudia uno dei testi base dei clinici riparativi. Spitzer è stato uno dei pochissimi accademici e ricercatori con una storia non religiosa ad aver avallato il pregiudizio che si possa ridiventare, “con una profonda motivazione”, da omosessuali straight, eterosessuali. Con la sua ritrattazione viene meno una delle difese scientifiche (l’unica?) a favore della efficacia delle terapie riparative: un attacco senza precedenti, si può dire, all’affettività gay e lesbica perché supportate da un formidabile movimento ideologico stratificato e diffuso in modo capillare negli USA, e che rischia di dilagare in moltissimi paesi del mondo, dall’America Latina all’Africa all’Estremo Oriente [Il Grande Colibrì].

Il ripudio da parte di Spitzer del suo stesso lavoro ci dimostra che la lotta paga: ottengono riconoscimento e scopo le critiche scientifiche e culturali che sono state fatte al suo articolo del 2001, e dunque alle pretese delle terapie riparative. Vincono la demistificazione laica, scientifica, clinica, culturalmente informata, la puntigliosità nell’analizzare e verificare i dati e la denuncia degli strumenti di oppressione a danno delle persone omosessuali.

Ha avuto successo la creazione di una rete di ricercatori e operatori culturali, clinici, politici – gay prima di tutto, ma non solo gay – in tutto il mondo. Questa battaglia ci insegna e ci impegna a non fermarci di fronte all’oppressione, avendo coscienza che oggi essa passa attraverso tutte le vie che gli oppressori ritengono di poter praticare per raggiungere i propri scopi! In particolare, oggi l’oppressione si suole presentare in nome della scienza, della sanità, della normalità, della paura, della distruzione della salute mentale della società.

Il ripudio di Spitzer ci insegna e ci ammonisce a rispettare la complessità ineludibile e meravigliosa delle persone umane, della loro affettività e delle loro strutture relazionali e amorose: a rispettare la difficoltà dei piani implicati, la delicatezza dello sviluppo non determinista, non meccanico, non riduttivo, non semplicistico di tutto ciò che è umano. Ci spinge a mantenere un atteggiamento attivo, impegnato, critico e autocritico, quanto mai avvertito delle questioni in gioco. A saper guardare oltre la contingenza, ai grandi movimenti ideali e sociali, specifici, con acutezza e attenzione: uno studio accademico come quello che ora Spitzer rigetta ha provocato una valanga sociale e culturale inaudita, coinvolgendo la vita di milioni e milioni di persone omosessuali in tutto il mondo.

Oggi la coscienza critica nei vari campi (domani la genetica e l’epigenetica, alcune teorie evoluzioniste, cognitiviste, dell’attaccamento, scrivevo già nel mio libro di più di dieci anni fa…) è vitale per la lotta per la valorizzazione integrale dell’esistenza gay e lesbica.

Alla fine, fatte tutte le considerazione che vanno fatte, Spitzer ci consegna una lezione di etica professionale e – prima ancora, e soprattutto – culturale, politica e umana di straordinario valore, che testimonia della rettitudine e dell’integrità dell’uomo per cui milioni di gay e lesbiche oggi possono vivere e dichiarare la propria normalità. Una persona che ha saputo ascoltare con attenzione e considerare le parole dei suoi critici, e che ha voluto con un atto di straordinario coraggio, umile,  autocritico, rivedere le sue affermazioni false e le proprie conclusioni avventate. E’ come se egli, anziano e assai malato, avesse voluto apprestarsi a congedarsi con un atto di liberazione dalla mistificazione e dalla alienazione, da lui pericolosamente avallate.

Io credo, non paia eccessivo dirlo, che questo gesto rimarrà nella storia della scienza e della emancipazione delle persone omosessuali . Le parole finali della sua lettera sono un esempio di onestà, umanità, dignità. E della forza con cui la verità della vita delle persone deve farsi avanti.

 

Paolo Rigliano
psichiatra
©2012 Il Grande Colibrì

3 Comments

  • Italo Sgrò ha detto:

    ATTENZIONE: IN QUESTO ARTICOLO LE VERE MOTIVAZIONI SULLA PRESUNTA RITRATTAZIONE DI SPITZER. IL TOTALITARISMO LGBTQ AVANZA!

    http://www.uccronline.it/2012/06/10/terapie-riparative-la-falsa-ritrattazione-di-robert-spitzer/

    • Il Grande Colibrì ha detto:

      Italo, gli articoli dell'Unione Cristiani Cattolici Razionali sono sempre un tale concentrato di stupidaggini e di opinioni anti-scientifiche da regalare sempre una risata. Grazie per la segnalazione comica.

  • Nicola Nardelli ha detto:

    L'ammissione dello psichiatra Robert Spitzer era attesa e necessaria.
    Le "terapie riparative" o qualunque altro tentativo di modificare l'orientamento sessuale di una persona non producono gli effetti desiderati.
    Possono anzi produrre danni, anche seri, al benessere psicofisico di chi vi si sottopone.

    Colgo l'occasione per segnalare ai lettori il comunicato stampa dell'Ordine degli Psicologi del 19 luglio 2011:

    Il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, dott. Giuseppe Luigi Palma, in occasione delle accese discussioni sulla iniziativa legislativa contro l’omofobia ribadisce la sensibilità della categoria professionale al tema e la chiarezza della posizione con la quale si è da sempre espresso sulle criticità connesse.
    Nel rapporto tra omosessualità e psicologia il Presidente ribadisce che l’omosessualità non è una malattia da curare, né un orientamento sessuale da modificare: affermare il contrario è una informazione scientificamente priva di fondamento e foriera di un pericoloso sostegno al pregiudizio sociale.
    L’omosessualità non è una malattia ma, citando l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una "variante naturale del comportamento umano"; è peraltro ampiamente dimostrato che i tentativi di "conversione" dell’omosessualità in eterosessualità non solo falliscono, ma anche segnano, e spesso gravemente, le condizioni psichiche di chi vi si sottopone.
    Perché "curare" ciò che non è malato? Su questi punti, il consenso della comunità scientifica italiana e internazionale è assoluto.
    Lo psicologo non deroga mai ai principi del Codice Deontologico, nessuna ragione né di natura culturale né di natura religiosa, di classe o economica può spingere uno psicologo a comportamenti o ad interventi professionali non conformi a tali principi. E’ evidente quindi che lo psicologo non può prestarsi ad alcuna "terapia riparativa" dell’orientamento sessuale di una persona, quanto piuttosto lavorare insieme al proprio cliente per superare eventuali disagi connessi al proprio orientamento sessuale.

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