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Nonostante sia già da un anno che diverse scuole in India provano a parlare di omosessualità, ad insegnare il rispetto e l’uguaglianza, non ci si può purtroppo aspettare un’omologazione in tutto il paese. Anche perché la criminalizzazione degli atti omosessuali rimane lì, a pesare sul codice penale indiano. Ritorniamo quindi a parlare di scuola.

Studentesse accusate di lesbismo

Dieci ragazze dell’istituto femminile Kamala Girl’s School a sud di Calcutta sono state accusate di essere lesbiche. “Alcuni studenti si sono lamentati di dieci studentesse che indulgevano in questo tipo di comportamenti, le abbiamo chiamate e loro l’hanno ammesso, e, considerando la natura sensibile del problema, ho chiesto loro di ammetterlo per iscritto, e tutte e 10 hanno confessato” racconta Sikha Sarkar, la direttrice dell’istituto. Solo Zeenews India specifica quali sarebbero stati questi “comportamenti” che avrebbero portato i compagni a lamentarsi: “Diverse studentesse hanno affermato di essere state toccate in modo inappropriato” dalle ragazze presunte lesbiche. Accuse, insomma, molto vaghe, ma spesso basta mostrare un po’ di affetto per essere bollate come omosessuali

Le famiglie si sono precipitate a scuola accusando a loro volta la preside e chi ha preso parte alla vicenda, di aver costretto le figlie a scrivere e a firmare la dichiarazione. La direttrice non solo ha smentito di averle forzate, ma ha cercato di legittimare il suo comportamento così: “La mossa era mirata a portare le studentesse sulla retta via“. La reazione dei genitori delle studentesse ha permesso all’accaduto di arrivare alle testate giornalistiche.

Lesbiche o no, sono in pericolo

È evidente che una sensibilità a certi temi è del tutto assente, come è assente anche la percezione del pericolo e della vergogna che possono subire le ragazze accusate. L’ipotesi che nessuna o solo qualcuna di loro possa non essere lesbica è ovviamente lecita e più che possibile, ma, che lo siano o meno, la faccenda non cambia. Voglio sperare che i genitori fossero a conoscenza dell’omosessualità delle loro figlie, o perlomeno che le abbraccino invece di scagliarvisi contro.

Oltre alla prima umiliazione di dover ammettere per iscritto il proprio orientamento sessuale, vestendosi di umiliazione e paura, dovranno affrontare l’eventuale ira dei genitori e la vergogna dei parenti. Mi chiedo poi: le famiglie avranno protestato contro la scuola a favore delle figlie, o per difendere il proprio decoro, la propria reputazione, il proprio onore? Avranno voluto proteggere le figlie o se stesse? Inoltre, queste ragazze potranno essere vittime di discriminazioni, battute, violenze ed emarginazione non solo da parte delle famiglie, ma anche del resto degli studenti. Una vera scuola dovrebbe tenere conto di questo. Ma se si combatte l’omosessualità, non si può combattere allo stesso tempo l’omofobia.

A scuola di paura e omofobia

Nel frattempo, la preside della Kamala Girl’s School, ha chiesto ai cosiddetti “guardiani” di mettere fine a queste tendenze, di iniziare un lavoro con le ragazze e le famiglie, in modo che tornino sulla retta via. Sayantani Roy, una ex studentessa della Kamala Girls’ School, racconta come sia usuale bollare le ragazze come lesbiche. Roy testimonia all’Indian Express che la scuola tradizionalmente disapprova “amicizie intense tra ragazze“: “Non solo questo istituto. L’intera atmosfera nella scuola femminile tradizionale è molto opprimente. Ricordo che avevamo un’insegnante che non avrebbe esitato a sgridarci se avessimo mostrato anche un po’ di affetto verso le nostre compagne di classe. Il termine ‘lesbica’ è stato buttato in giro come se fosse una parolaccia“.

La scuola diventa un luogo ostile per i giovani LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) per la paura che i compagni li possano scoprire. Diventa una gabbia perché non possono far trapelare niente agli occhi degli insegnanti. Un’altra ex studentessa, Soumali Chakraborty, fornisce una testimonianza importante. Racconta che molti studenti scelgono di non confidarsi con i professori riguardo i “dubbi” intimi: “Temono la discriminazione. Ho avuto una compagna di classe che mi ha scritto lettere d’amore. Non sapevo come reagire, ma anche allora sapevo che se lo avessi detto ai miei insegnanti, la ragazza sarebbe stata punita“.

Qualche segnale di speranza…

Torniamo al caso specifico delle dieci studentesse: fortunatamente se ne sta occupando Sappho For Equality, una ONG che lotta per i diritti LGBTQIA. Malobika, la co-fondatrice di Sappho, si interroga riguardo le umiliazioni che hanno dovuto subire le ragazze, ma soprattutto sul fine: a che scopo hanno dovuto subire tutto questo? I ragazzi delle scuole miste sono per caso stati costretti a confessare la loro eterosessualità? Sappho vuole inoltre indagare sulla condotta che ha messo in atto la scuola: è un fatto unico o è indice di una linea attivamente omofoba di tutti gli istituti?

Per fortuna nell’agosto scorso ci sono state critiche positive contro l’articolo che criminalizza gli atti omosessuali: la Corte suprema, lo stesso collegio giudicante che avevo ripristinato la sezione 377, ha sancito che la privacy è un diritto fondamentale dei cittadini e tale sentenza può servire ad impugnare tutte quelle denunce che riguardano comportamenti omosessuali consenzienti all’interno di mura domestiche o comunque non in luogo pubblico. E a scuola l’omosessualità non potrebbe più essere indicata come una “cattiva via”.

Ginevra Campaini
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Garry Knight (CC BY 2.0)

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