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Può sembrare strano sentir parlare di panorama letterario LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali) in India, eppure non solo questa tematica è stata oggetto di numerose opere contemporanee, ma anzi affonda le sue radici nella tradizione letteraria e filosofica indiana: la letteratura tradizionale indiana è talmente ricca di personaggi dalla sessualità ambigua e contraddistinti da atteggiamenti genderless (senza distinzioni di genere) che potrei dire che molto lascia intendere l’esistenza di un terzo genere e la coesistenza di molte varietà sessuali.

I classici della tradizione indù

Pensate per esempio al grande capolavoro epico indiano, il Mahabharata: in uno degli episodi fantastici del poema è possibile vedere Arjuna, l’eroe principale, costretto da una maledizione a condurre un anno di vita come eunuco, divenendo così Brihannala, un insegnante di musica e danza. Non è però l’unico episodio a vederlo protagonista di un cambio di genere: nei Padma Purana (uno dei testi della tradizione letteraria sanscrita) Arjuna, dopo aver interrogato Krishna riguardo la natura delle Gopi (le devote pastorelle di Krishna), intraprenderà un lungo e tortuoso viaggio tra meditazione, yoga tantrico e preghiera fino alla sua rinascita in un corpo da donna di nome Arjuni.

La scrittrice Ruth Vanita si è occupata di raccogliere questi testi, ripercorrendo il fenomeno in ordine cronologico. In un’intervista dichiara: “Per tutta la vita mi sono formata accademicamente in India, ma mai nessuno durante le lezioni, che fossero in università o al liceo, aveva mai fatto riferimento a questo mondo queer. Mi ponevo delle domande e pensavo a quanto fosse strano, per questo ho iniziato a ricercare per conto mio“. E così Ruth Vanita con Saleem Kidwai ha pubblicato “Same-Sex Love in India” (Amore omosessuale in India; Palgrave Macmillan 2000, 396 pp.) che raccoglie racconti a sfondo LGBT che vanno dal Mahabharata al Kamasutra, fino a sfiorare le opere del ventesimo secolo.

Anche Devdutt Patnaik, esperto di mitologia indiana, ha pubblicato raccolte sulla stessa linea come “The Man Who Was a Woman and Other Queer Tales from Hindu Lore” (L’uomo che era una donna e altri racconti queer del folklore induista; Routledge 2001, 196 pp.) e “Shikhandi and Other Tales They Don’t Tell You” (Shikhandi e altri racconti che non ti raccontano; Zubaan Books 2015, 192 pp.).

Le censure del nazionalismo

Ed ora che abbiamo sinteticamente e indebitamente parlato del mondo queer negli antichi testi indiani, riprendiamo quello che fu il dibattito pubblico a ridosso del ventesimo secolo: se si può affermare che non sia rilevabile “omofobia” nella tradizione indiana, è possibile identificare diverse correnti di pensiero molto contrastanti riguardo vari ambiti della vita. La condanna dell’omosessualità come contro-natura è infatti una prerogativa più pertinente all’ambiente giudaico-cristiano, mentre nel mondo induista viene considerata semplicemente come pratica impura (nella stessa misura di altre cose).

Per questo motivo, nel contesto di rielaborazione del senso d’identità nazionale che andava formandosi insieme alla nuova India, la letteratura fu sottoposta a severe censure da parte dei fautori del movimento nazionalista. Ciò che faceva parte del passato veniva considerato decadente e arretrato e perciò, nel processo di selezione delle opere identificabili come “letteratura indiana”, molti testi vennero prima disprezzati e poi censurati.

In quegli anni non ci fu mai un vero e proprio schieramento a sostegno della comunità LGBTQIA né tanto meno un movimento di liberazione sessuale, anzi emersero due tipologie di pensiero: il primo era apertamente contrario ad affrontare ogni tipo di argomento attinente l’omosessualità o l’erotismo, il secondo era a favore del fatto che la letteratura trattasse temi LGBTQIA, ma come mezzo per sradicare tali “pratiche” dalla società del tempo.

Gay e bisex nel primo Novecento

Fu grazie ai nuovi mezzi di comunicazione come la diffusione della stampa e dell’editoria commerciale che molti degli argomenti censurati vennero portati al pubblico. Ad esempio Becan Sarma, detto “Ugr” (“Estremo”), ebbe la possibilità di pubblicare otto dei suoi racconti che prendevano il titolo collettivo di “Caklet” (Cioccolato) sul periodico Matvala (Bohémien). Ugr apparteneva alla schiera di coloro che puntavano a denunciare l’omosessualità al fine di debellarla dalla società, ma i suoi racconti non trattavano solo personaggi gay: l’autore si distinse da altri del suo tempo in quanto tra i primi a rappresentare palesemente le dinamiche violente in famiglia e gli abusi sull’infanzia dal punto di vista della vittima.

L’unico autore che si schierò contro l’oscurantismo degli anni ’20 del ventesimo secolo fu Suryakant Tripathi Nirala, il quale scrisse un divertente racconto autobiografico intitolato “Kulli Bhat”: la storia segue le vicende del protagonista, l’erudito Kulli Bhat, il quale oltre a corteggiare il poeta/autore intrattiene anche una relazione con una donna musulmana. Suryakant non fu l’unico a trattare di un personaggio bisessuale. Nel 1957 fu pubblicato in una rivista “Ek Sarak Sattavan Galiyam” (Una strada, cinquantasette vicoli) di Kamlesvar: si tratta di un romanzo breve nel quale un camionista bisessuale divide la sua vita erotico-amorosa tra una danzatrice di danza tradizionale indiana e il giovane addetto alla pulizia del suo camion.

La repressione del lesbismo

Molto più scarsa era la letteratura che includesse donne lesbiche e hijra (persone nate in un corpo maschile, ma che sentono di appartenere a un “terzo sesso” e adottano abbigliamento e gestualità tipicamente femminili). Le prime divennero minoranza nella minoranza, spesso condannate dalla comunità d’appartenenza fino alla derisione pubblica e in alcuni casi al taglio di due dita. Il lesbismo veniva rappresentato come una fase, qualcosa da superare attraverso la penetrazione da parte di un uomo con conseguente gravidanza, oppure come una sorta di ribellione alla società patriarcale. Per le donne lesbiche dell’epoca (ma non tanto distante dalla realtà attuale) l’unica soluzione era il suicidio di coppia, come attestato da numerose documentazioni.

La maggior parte dei racconti che trattavano il lesbismo furono, come potete ben immaginare, censurati. Solo un famoso racconto urdu, “Lihaaf” (“La coperta”) di Ismat Chughtai, ambientato in una tradizionale casa musulmana, dall’iniziale censura è passato ai giorni nostri a opera teatrale grazie al gruppo Tricycle. Ismat Cugtai venne processato per oscenità a causa della sua opera, poi per fortuna non solo vinse il caso, ma rese la sua opera ancora più celebre. In realtà la short story non trattava strettamente di preferenze sessuali, bensì esplorava le perversioni e fantasie represse nel così tanto rispettabile ambiente della nobiltà.

Dagli anni ’70 le cose cambiano

A cambiare il mood oscurantista e a far luce sulla scena LGBTQIA fiorisce negli anni ’70 un interesse verso i gay studies. Nel 1978 venne pubblicato da Shakuntala Devi il primo studio sull’omosessualità in India, gettando un primo spiraglio di luce sulla questione e aprendo le porte a una sempre più fiorente ricerca dell’antropologia queer. E infine, arriviamo negli anni ’90 nei quali possiamo osservare la lenta, ma promettente, rinascita della letteratura narrativa a tematica: finalmente distaccata da quella commistione di valori vittoriani e norme nazionalistiche, più autori iniziano ad avere un pensiero improntato sull’uguaglianza e la naturalezza dei rapporti omosessuali e non.

Braham Sing, autore di “Bombay Swastika” (Om Books International 2017, 400 pp.), un thriller che viaggia tra la Berlino nazista e Bombay, afferma in un’intervista: “Il mio non è un libro sull’omosessualità, ma un libro nel quale un personaggio omosessuale interviene nella normalità più assoluta, come parte della storia, come parte del mondo. Sono cresciuto al fianco di un fratello gay e relazionarmi a una sessualità diversa dalla mia per me è come trattare di una parte lampante e sempre esistita della società“.

L’autore aggiunge poi una riflessione personale su quanto gli induisti ignorino la gran parte dei testi sacri e antichi: ne conoscono alcune storie, ma non li hanno mai effettivamente letti. Lo stesso accade per i musulmani: “Attitudini coloniali e puritane e nozioni vittoriane sul peccato e sulla colpa sono ancora dominanti. Infatti quegli indiani che leggono urdu raramente leggono letteratura del diciottesimo o diciannovesimo secolo nel dettaglio. Se lo facessero, troverebbero una grande maggioranza di poeti musulmani che scrivono tranquillamente di cross-sex, amore omosessuale e attrazione omoerotica“.

* * *

Direi che, in conclusione, questo breve excursus storico nella letteratura LGBTQI in India possa portare ad una riflessione che non si discosta parecchio dalla situazione di tante altre nazioni, Italia inclusa. Se tutti leggessero e si informassero sulla storia, sulla letteratura e – perché no? – sui testi religiosi, sono sicuro che ci sarebbe molto su cui ricredersi.

Bibliografia:
– Consolaro, Alessandra. La Prosa nella Cultura Letteraria Hindi dell’India Coloniale e Postcoloniale. Torino: Libreria Stampatori Torino, 2011.
– Vanita, Ruth and Saleem Kidwai. Same-Sex Love in India: Readings from Literature and History. England: Palgrave, 2001.
– Devi, Shakuntala. The World of Homosexuals. New Delhi: Bell Books/Vikas Publishing House, 1978.

Dhevan
©2017 Il Grande Colibrì

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