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Arief Rachidiano Wismansyah fa ridere il mondo intero: il sindaco di Tangerang, città indonesiana di due milioni di abitanti, ha spiegato che le madri che consumano latte condensato e spaghetti istantanei rischiano di avere figli gay [okezone.com]. Ryamizard Ryacudu provoca sghignazzi: il ministro della difesa di Giacarta ha affermato che l’omosessualità di tanti indonesiani sarebbe il frutto del lavaggio del cervello condotto da potenze straniere che starebbero conducendo una guerra per procura e senza armi, ma “più pericolosa di un conflitto nucleare“, per distruggere il paese dall’interno [tempo.co]. Queste dichiarazioni sono state riprese dai media come divertenti curiosità, ma sono in realtà solo la punta dell’iceberg di quella che, con ottima sintesi, lapresse.ca definisce “una campagna di repressione tanto improvvisa quanto imprevista” contro la comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).

FOLLIE PSICHIATRICHE E ATTACCHI POLITICI

Anche se ci si limitasse a osservare le parole pronunciate in questi giorni, la massima preoccupazione dovrebbe rivolgersi alla presa di posizione della Perhimpunan Dokter Spesialis Kedokteran Jiwa Indonesia (Associazione indonesiana degli psichiatri; PDSKJI), che ha deciso di classificare l’omosessualità e la bisessualità come “problemi psichiatrici” e la transessualità come “disordine mentale“. Suzy Yusna Dewi, esponente dell’organizzazione, spiega candidamente che la decisione vuole difendere le norme culturali e non cita nessuna base scientifica. Per fortuna la Perkumpulan Keluarga Berencana Indonesia (Associazione indonesiana per la pianificazione familiare; PKBI) ha ricordato come i diversi orientamenti sessuali non siano patologici [thejakartapost.com].

Ma negli ultimi tempi in Indonesia gli omofobi non si sono limitati alle brutte parole: hanno soprattutto preso brutte decisioni. Il governo, dopo aver chiesto alle messaggerie online di eliminare gli emoji LGBT [ilgrandecolibri.com], ha deciso di bloccare l’accesso a 477 siti web, tra cui tumbl.com, colpevoli di contenere materiale pornografico o riferimenti all’omosessualità [thejakartapost.com]. E la polizia, dopo aver illegalmente interrotto un workshop sui diritti delle persone LGBT a Giacarta, ha proibito una manifestazione gay-friendly di Solidaritas Perjuangan Demokrasi (Lotta di solidarietà per la democrazia; SPD) a Yogyakarta, nonostante gli inviti alla tolleranza e al dialogo lanciati dalla scuola islamica locale [thejakartapost.com].

RELIGIOSI UNITI CONTRO GLI OMOSESSUALI

La maggior parte delle istituzioni islamiche indonesiane, però, si stanno lanciando in invettive contro gli omosessuali. E a dargli manforte arriva anche il grande imam dell’università Al-Azhar del Cairo, in visita a Giacarta: “Promuovere l’omosessualità e la sua decadenza morale non è una vittoria per i diritti umani, ma è una malattia morale che mina la natura umana ed è contraria alla nobiltà che Dio ha garantito agli esseri umani. L’omosessualità è una profonda decadenza morale per l’umanità, è un crimine contro l’umanità stessa, un’evidente violazione della nostra umanità e una contaminazione di libertà” [thejakartapost.com]. L’esplodere improvviso delle tensioni e l’aumento delle minacce ha anche portato alla chiusura della scuola islamica per transgender di Yogyakarta [thejakartapost.com].

Ma il problema dell’omofobia religiosa è tutt’altro che limitato alle istituzioni islamiche: la conferenza episcopale cattolica, il Perwakilan Umat Buddha Indonesia (Consiglio delle comunità buddiste; Walubi) e il Majelis Tinggi Agama Khonghucu Indonesia (Consiglio supremo della religione confuciana; Matakin) hanno sottoscritto insieme al Majelis Ulama Indonesia (Consiglio degli ulema; MUI) un documento comune che chiede di non legalizzare l’omosessualità (che però è legale in tutto il territorio, tranne nella regione autonoma di Aceh) e di “incoraggiare l’eliminazione di qualsiasi tendenza verso comportamenti sessuali devianti” [thejakartapost.com]. Insomma, altro che latte condensato e spaghetti istantanei: a guardare quello che succede in Indonesia c’è davvero poco da ridere.

 

Pier
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