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Sebbene l’omosessualità e gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso non siano criminalizzati, con l’eccezione della provincia di Aceh, in Indonesia una diffusa ostilità tradizionale e una sempre maggiore spinta alla messa al bando delle persone LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali) spingono il paese su una china pericolosa.

Dagli interventi del ministro degli affari religiosi Lukman Hakim Saifuddin e di altri esponenti governativi sull’impossibilità di introdurre il matrimonio egualitario nel luglio dello scorso anno [The Jakarta Post] fino agli interventi di quest’anno in cui sono state introdotte alcune misure discriminatorie e altre ne sono state promosse, come denunciato da Human Rights Watch, è un continuo succedersi di notizie che non lasciano affatto sperare bene.

Ancora nelle scorse settimane si è assistito al divieto di utilizzare app per incontri omosessuali nel paese con la scusa di un caso di pedofilia che sarebbe nato da uno di questi strumenti di incontro, insinuando una azzardata parentela tra omosessualità e pornografia che trova origine nella legge indonesiana in materia del 2008 in cui la definizione di “contenuto pornografico” comprende “comportamenti sessuali devianti quali il sesso anale, il lesbismo, l’omosessualità, la necrofilia e la zoofilia” [la distinzione tra lesbismo e omosessualità è nel testo della legge; ndr].

A denunciare questa deriva e l’assurda criminalizzazione anche delle manifestazioni d’affetto tra persone omosessuali mentre si tollerano violenze tra quelle etero è stato, da ultimo, lo scrittore Hendri Yulius dalle pagine del Jakarta Post.

Questa tendenza alla criminalizzazione è dimostrata anche dall’arresto di una coppia gay a Manado “colpevole” di aver diffuso tramite Facebook una foto di un bacio in costume da bagno, evidentemente pornografica secondo quella legge assurda citata da Yulius, ma perfettamente normale se la coppia fosse stata eterosessuale. La foto, poi rimossa (pare dall’amministrazione di Facebook, che secondo gli attivisti censurerebbe spesso  foto simili nel paese), aveva avuto una diffusione tale che insieme agli apprezzamenti sono arrivate anche le denunce e le delazioni utili a far rintracciare i due sfortunati innamorati dalle forze dell’ordine [Coconuts Jakarta].

Ma un segno ancor più grave è la forzata chiusura dell’unica scuola islamica per studenti transgender, aperta nel 2008 e a lungo considerata un’importante simbolo dei musulmani tolleranti [Il Grande Colibrì], di cui la direttrice spiegava la ragione ultima: “Vogliamo dimostrare che l’islam accetta le persone transgender, che l’islam è una benedizione per tutta l’umanità” [Daily Mail].

A fermare le attività, malgrado una dozzina di studenti continuino coraggiosamente a ritrovarsi nella scuola di Yogakarta sull’isola di Java [Libération], gli stessi estremisti del Fronte Jihad islamica, che nei mesi scorsi ha costretto anche un festival focalizzato sulle questioni femminili a non svolgersi e che, secondo studenti e attivisti, agiscono con la complicità della polizia.

L’unica nota positiva in questo periodo sembra essere la dichiarazione del presidente Joko Widodo, che in un’intervista ha affermato che la polizia deve proteggere ogni tipo di minoranza minacciata, anche se si è affrettato a precisare che il paese ha salde tradizioni musulmane e che per questo ci può essere qualche episodio che rende difficile la convivenza, che però – secondo il presidente – non ha mai portato ad alcun tipo di discriminazione [BBC], scatenando la rabbia degli attivisti LGBT indonesiani, che si sono sentiti quasi presi in giro da queste parole che negano la realtà, malgrado si presentino come un atto di formale accettazione. Magra, davvero magra consolazione.

Michele Benini
©2016 Il Grande Colibrì
immagine: Il Grande Colibrì

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