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Intelligente, forte e coraggiosa: sono questi gli aggettivi che ci sembra giusto usare per descrivere Antonella Lerca, che ha gentilmente concesso un’intervista a Il Grande Colibrì. Come abbiamo già raccontato, Antonella avrebbe dovuto essere la prima donna trans e rom candidata in Romania, ma purtroppo non sono state raccolte le 1700 firme necessarie affinché risultasse valida la sua candidatura alle elezioni municipali nella capitale Bucarest. La notizia, che per noi è stata una vera e propria doccia fredda, non ha comunque scoraggiato Antonella, che intende ripresentarsi alle elezioni che si terranno tra quattro anni. Perché, come lei stessa ci ha ripetuto più volte, non bisogna mai smettere di lottare.

E. Ci potresti parlare un po’ di te, della tua infanzia, della tua famiglia e della tua storia personale?

Sì, certamente! Sono una ragazza tranquilla, nata in Romania in una famiglia di origini rom molto unita e numerosa. Oltre a me, ci sono altri sette fratelli e sorelle. A 14 anni, come da tradizione, sono stata costretta a sposarmi. Contrariamente alle aspettative dei parenti, il matrimonio non è però stato consumato e questo ha scatenato un putiferio da non immaginarsi. Nessun@ voleva credere a quanto era successo. Le nostre rispettive famiglie erano quasi pronte a darsi battaglia. Io stessa ho subito una sorta di lungo processo atto a verificare cosa fosse capitato… io lo chiamo il “giorno del giudizio di Antonella”. A posteriori lo considero a tutti gli effetti il mio coming out.

N. Te la sentiresti di raccontarci cos’è successo in seguito?
In sostanza, l’unica cosa che siamo riusciti a inventarci per evitare di scatenare un litigio furibondo è stata chiedere più tempo per cercare una spiegazione al mio comportamento così inappropriato. Il mio secondo e terzo giorno di matrimonio li ho praticamente passati facendo la spola tra gli ospedali di mezzo paese. La conclusione di questo nostro girovagare è stata tragica: mi hanno sbattuta per un mese in una clinica psichiatrica che sembrava il set di un film horror. È stata un’esperienza terribile, che ancora adesso mi fa stare male. Il medico che mi aveva in cura non aveva la minima idea di che cosa significhi essere transgender, pensava che fossi affetta da un qualche tipo di disturbo comportamentale, che fossi pazza in pratica!

A salvarmi è stato uno studente di medicina originario di Casablanca. È stato lui a spiegare tutto al dottore che seguiva il mio caso, è stato lui a elaborare la mia diagnosi di disforia di genere. È grazie a lui se sono riuscita a uscire da quell’orribile nosocomio e a tornare finalmente a casa. Ed è sempre grazie a lui che la mia famiglia ha potuto riappacificarsi con quella di mia moglie. Non pensate però che la storia sia finita bene: la diagnosi di disforia di genere non è stata affatto accolta bene dalla mia famiglia e dalla mia intera comunità di appartenenza. Purtroppo per me, all’uscita dal manicomio è seguita l’emarginazione sociale.

E. Immagino sia stato un periodo davvero bruttissimo…

Assolutamente sì, è stato terribile! Per due anni nessun@ mi ha più rivolto la parola. Amici, conoscenti, persino i miei genitori… nessun@ voleva avere niente a che fare con me. A scuola subivo costantemente atti di bullismo. Ero davvero sola e molto infelice. Le cose sono cambiate quando ho compiuto 17 anni e ho conosciuto un ragazzo romeno che lavorava in Italia. È stato lui a convincermi a lasciare il mio paese e a trasferirmi nel vostro stato. Io l’ho seguito alla cieca, fidandomi delle sue promesse e sperando di trovare finalmente un luogo in cui poter vivere in pace ed essere accettata.

antonella lerca manifestazione romaniaMi sono resa conto troppo tardi che le sue erano tutte scemenze e che il suo unico scopo era portarmi in Italia per farmi prostituire. Quando l’ho capito ero già arrivata a Mestre e da lì in poi non ho potuto far altro che accettare la situazione e cercare di adattarmi. Durante gli anni trascorsi nel vostro paese ho anche conosciuto delle altre ragazze trans e ho cominciato a muovere i primi passi nel mondo dell’attivismo e del volontariato.

N. Di che cosa ti occupavi, in particolare?

Facevo la traduttrice, anche se in via non ufficiale. Aiutavo le altre donne a imparare l’italiano e facevo da interprete per le ragazze romene e spagnole che magari avevano bisogno di analisi e di cure mediche. Il mio era un impegno totalmente volontario e gratuito, che però ha fatto nascere in me la voglia di tornare in Romania e di occuparmi concretamente della difesa dei diritti dei più deboli ed emarginati.

Sono tornata in patria nel 2017, giusto un anno prima del referendum sul matrimonio egualitario, e ho avuto il modo e il tempo di conoscere tante persone appartenenti alla comunità trans e sex worker romena. Da lì in poi ho cominciato a fare attivismo in maniera continua e regolare. Insieme ad altre ragazze ho anche fondato SexWorkCall, un’associazione che si occupa di offrire aiuto alle fasce più indigenti ed emarginate del nostro paese. Con l’avvento del COVID-19, le cose si sono però fatte davvero molto complicate…

E. Lo immagino, purtroppo! Quali sono le difficoltà che siete costrett@ ad affrontare quotidianamente e quali sono i provvedimenti messi in campo dal governo per fronteggiare questa difficile situazione?

Il paese sta vivendo una grave crisi: il virus ha avuto ripercussioni sull’economia e questo ha contribuito ad accrescere ulteriormente le disuguaglianze e il numero di persone povere. Come associazione, cerchiamo di fare il possibile per fornire aiuto e sostegno alle persone più fragili, ma spesso ci troviamo in grande difficoltà. Le richieste di assistenza si moltiplicano, c’è bisogno di molto impegno e dell’aiuto di tutt@ per risolvere questa situazione così complicata. I provvedimenti del governo centrale non sono sufficienti ad arginare l’emergenza, senza contare che gli aiuti alimentari offerti dallo stato non sono elargiti alle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali).

Non parliamo poi delle immense difficoltà che affrontano le persone trans, che già prima dell’arrivo del virus erano particolarmente penalizzate! Di norma, per loro non è prevista alcuna forma di assistenza sanitaria e psicologica e la situazione attuale ha aggravato ulteriormente il tutto… Come associazione noi cerchiamo quindi di offrire assistenza concreta e regolare, costruendo anche degli spazi sicuri in cui le persone possano incontrarsi e sentirsi accolte e ascoltate.

antonella lerca trans disabiliN. Se ho capito bene, la parola d’ordine è fare rete per non lasciare nessuno indietro!

Proprio così! Tenete inoltre presente che in Romania non esiste una legge per tutelare la comunità LGBTQIA, quindi tutto l’aiuto viene praticamente dal basso, da noi, dalle pochissime associazioni come la nostra.

E. Mi aggancio a questa tua ultima affermazione per farti una domanda relativa al mondo dell’associazionismo. Al momento attuale tu e la tua organizzazione state collaborando anche con realtà italiane e/o europee che si occupano della difesa dei diritti delle persone trans?

Sì, in questo periodo siamo in contatto con l’organizzazione ILGA Europe. Insieme a loro stiamo elaborando un progetto che partirà ad ottobre e che avrà come scopo la tutela delle persone più bisognose e indigenti. È un primo passo ed è sicuramente importantissimo, però la situazione rimane comunque molto critica e complicata.

E. Non posso darti torto, in effetti, anche perché immagino che purtroppo tu e la tua associazione non riceviate un particolare sostegno in termini di fondi e di aiuti economici…

È così, infatti. La nostra fonte di sostentamento è il crowdfunding, di tanto in tanto magari troviamo qualche persona disposto a fare una donazione, a darci una mano, ma non possiamo contare su una vera e propria stabilità economica. Oltre alla mancanza di soldi, l’altro grande problema è la discriminazione continua e feroce che subiscono le persone LGBTQIA romene. L’omofobia e la transfobia hanno raggiunto livelli altissimi e le deboli (se non proprio inesistenti) critiche provenienti dall’Unione Europea non sembrano minimamente in grado di migliorare la situazione.

Per questo continuo a dire che c’è bisogno davvero di qualcosa di nuovo, di molto impegno, di tanta forza di volontà. Bisogna continuare a lottare senza mai arrendersi, perché è solo così che si vincono anche le battaglie più difficili e dure.

Ervin Bajrami e Nicola Zaramella
©2o2o Il Grande Colibrì
immagini: ©Antonella Lerca

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