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Lo scontro sembra totale e riguarda non solo le proposte, ma il modo di definire il problema. E così si trasforma facilmente in una guerra ideologica in cui trionfa la polarizzazione delle posizioni invece che la volontà di dialogare, capire e costruire soluzioni. Tutto nasce dall’ipotesi, avanzata dal governo maltese, di decriminalizzare quella che da un lato della barricata chiamano “prostituzione” e dall’altro “sex work” (lavoro sessuale). E così è partito lo scontro tra due fazioni che si sono cristallizzate in due coalizioni opposte.

Decriminalizzazione

Il governo di centro-sinistra ha conquistato l’appoggio dell’International Committee of Rights of Sex Workers in Europe (Comitato internazionale per i diritti di chi svolge lavoro sessuale in Europa; ICRSE), di cui fanno parte anche la Piattaforma europea contro il traffico di esseri umani e ILGA Europe, l’associazione che riunisce più di 500 organizzazioni LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali) del continente.

Secondo queste organizzazioni, non solo bisogna riconoscere il diritto all’autodeterminazione, ma la decriminalizzazione del sex work sarebbe anche la migliore soluzione contro la violenza e lo sfruttamento, dal momento che la repressione legale “impedisce l’accesso ai servizi, a condizioni di lavoro decenti e alla giustizia, e provoca un aumento delle violazioni dei diritti umani“. Nei paesi che hanno scelto la decriminalizzazione, “chi svolge un lavoro sessuale riferisce di avere un migliore accesso alla protezione legale: ci sono maggiori possibilità di esercitare i propri diritti fondamentali, tra cui l’accesso alla giustizia e alle cure mediche“.

sex worker prostituzione maschileModello nordico

Queste conclusioni sono fortemente contestate dalla Coalition on Human Trafficking and Prostitution (Coalizione su traffico di esseri umani e prostituzione; CHTP), secondo cui la decriminalizzazione avrebbe portato ovunque a un peggioramento della situazione, senza riuscire a debellare il controllo dei gruppi criminali e il traffico di esseri umani. Se in Europa, secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), lo sfruttamento sessuale riguarda il 44% delle vittime di traffico, questa percentuale sale al 54% nei Paesi Bassi e all’85% in Germania, due stati pionieri della decriminalizzazione.

Anche questi dati, per la Coalizione, dimostrerebbero che “prostituzione e tratta del sesso non possono mai essere separate e devono essere esaminate insieme” e che occorre considerare reato l’acquisto di servizi sessuali: “La tratta non esisterebbe se non ci fosse domanda di ragazze, donne, ragazzi, uomini e trans [sic] che si prostituiscono, in gran parte per servire uomini con abbastanza denaro e potere per usarli“. D’altra parte, però, quegli stessi dati sono motivati anche da una maggiore visibilizzazione e quindi facilità di denunciare i propri sfruttatori.

Punti in comune

Il dibattito così ruota su se stesso, con ogni parte che ripete le stesse argomentazioni, con qualcuno che vanta i successi di un modello di soluzione e qualcun altro che ne mette in luce i fallimenti, con interviste e testimonianze di “sex worker” e “sopravvissute alla prostituzione” usate come clave per dimostrare che la ragione sta tutta da una parte. Senza rendersi conto che i modelli di autorganizzazione possono portare grandi benefici a qualche persona, ma non possono funzionare in molti altri casi; e che il gran numero di persone sfruttate e violentate non esclude che altre persone possano davvero scegliere la professione in modo libero e consapevole.

Converrebbe riconoscere umilmente che la criminalizzazione non ha mai funzionato e che la decriminalizzazione non ha prodotto risultati accettabili: forse dal duplice riconoscimento di un fallimento e da un confronto meno ideologico potrebbero venire fuori soluzioni più efficaci, anche se magari inizialmente molto parziali. E si scoprirebbe che in questo scontro totale, in realtà, ci sono molti più punti in comune di quello che si potrebbe immaginare: c’è un consenso praticamente unanime, per esempio, sulla necessità di non criminalizzare le persone che vendono sesso, di offrirgli servizi legali e sanitari migliori, di garantirgli sostegno economico e formativo nel caso in cui vogliano trovare un altro lavoro.

A lavorare insieme su questi obiettivi minimi probabilmente si riuscirebbe a capire meglio il punto di vista altrui, a riconoscere i punti deboli delle proprie narrazioni, a scoprire situazioni che richiedono maggiore attenzione e, si spera, a elaborare nuove soluzioni più efficaci. Si perderebbero tante occasioni di litigare sui social, è vero, ma si potrebbero fare passi avanti per garantire i diritti di chi lavora nel mercato del sesso e di chi è costrett@ a farlo.

Pier Cesare Notaro
©2021 Il Grande Colibrì
immagini: Il Grande Colibrì

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