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Mi ha sempre affascinato il fatto che in Sudafrica, un paese con 11 lingue ufficiali, non abbiamo una sola parola rispettosa per riferirsi alla comunità LGBTQ (lesbiche, gay, bisessuali, trans e queer), in particolare nelle lingue africane. Per questo sono stato entusiasta quando sono stato invitato a prendere parte all’iniziativa #FindNewWords (Trovare parole nuove), che ha cercato di trovare parole ed espressioni rispettose per la comunità LGBTQ.

L’iniziativa ha ospitato workshop in tutto il paese in cui le persone della comunità sono state invitate a dare una mano per inventare questi nuovi termini. Ho frequentato uno dei laboratori, dove eravamo divisi in gruppi e abbiamo dovuto inventare termini nelle nostre lingue africane per presentarli al resto delle persone presenti. L’iniziativa, a lungo attesa, era chiaramente indirizzata alle comunità nere, dal momento che per ora non abbiamo termini positivi per descrivere le persone LGBTQ.

Trovare parole nuove

#FindNewWords ha enfatizzato l’importanza del linguaggio e di come le parole possono influenzare il modo in cui le persone trattano gli altri, perché alcuni termini sono usati per ferire ed emarginare. L’iniziativa è stata creata nel 2017 da Khanyi Mpumlwana e Nobantu Sibeko, che si sono rese conto di quanto fosse difficile tenere un discorso inclusivo, rappresentativo e significativo quando le uniche parole esistenti stigmatizzano le comunità LGBTQ e le dipingono come “diverse”.

Le parole esistenti, come ‘istabane’ o ‘imoffie’ (omosessuale, in zulu), sono offensive, violente e si basano sull’emarginazione e su una cultura della vergogna – afferma Mpumlwana – In venda, ad esempio, le persone sono etichettate come ‘matula’ (cosa inaccettabile) o ‘matudzi’ (cattivo presagio). Per questo dobbiamo creare o pretendere parole ed espressioni benevole e non offensive per identificare le persone LGBTQQIAP+ (lesbiche, gay, bisessuali, queer, questioning, intersex, asessuali, pansessuali, eccetera) nelle lingue sudafricane“.

In quanto uomo xhosa gay cisgender di 28 anni, non sarei in grado di fare un coming out in xhosa, che è la mia lingua madre. Dovrei usare il termine “gay”, poiché è l’unica parola non offensiva che viene usata per descriverci in Sudafrica. C’è un problema, però: è un termine inglese, non della mia lingua. E lo stesso succede in tutte le altre lingue africane del Sudafrica come lo zulu, lo tswana, il sesoto e il venda, per citarne solo alcune.

Una finta pubblicità

Il 7 ottobre l’iniziativa ha mandato in onda uno spot per un finto detersivo chiamato Scoop, che utilizzava la parola “istabane”. Volevano vedere se qualcuno tra i quasi 10 milioni di persone che l’hanno guardato avrebbe avuto una reazione: le uniche reazioni sono arrivate dai membri della comunità LGBTQ sui social network. “Se avessimo usato un termine razzista, si sarebbe indignato l’intero paese – dice Mpumlwana – Magari qualcuno è sensibile alla parola ‘istabane’, ma usarla non è illegale. Noi vogliamo che questa cosa cambi“.

Per me è stato un onore e un privilegio essere invitato a prendere parte alla pubblicità di risposta [v. sotto] alla falsa pubblicità del detersivo e a continuare il dibattito incoraggiando le persone a visitare il sito web per aggiungere parole più inclusive create dalla comunità LGBTQ per la comunità LGBTQ.

Un linguaggio positivo

Questa iniziativa è la prima di questo genere in Africa. Alcuni paesi hanno ancora leggi che vietano l’omosessualità e in molti luoghi potresti essere ucciso per il solo fatto di essere LGBTQ: tutto inizia con i termini dispregiativi che le persone usano senza farsi nessun problema. “Abbiamo bisogno di parole positive nelle nostre lingue – dice Mpumlwana – Queste parole aiuteranno a cambiare la narrazione su ciò che significa essere LGBTQQIAP+ e inizieranno a rompere il ciclo di piccole aggressioni e di pregiudizio che sperimentiamo ogni singolo giorno“.

Phumlani Kango per INTO
traduzione di Pier Cesare Notaro
©2018 INTO – Il Grande Colibrì
foto: Find New Words (Facebook)

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