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Nel dicembre 2022, dieci mesi dopo l’invasione militare dell’Ucraina, la Duma ha inasprito la legge russa contro la cosiddetta “propaganda gay”. La legge intende vietare la naturalizzazione dei “rapporti sessuali non tradizionali”, e se in precedenza era destinata alla protezione dei minori, oggi è stata estesa a qualsiasi età. Già da un paio di anni, i legislatori avevano incluso in costituzione un divieto esplicito al matrimonio tra persone dello stesso sesso, mentre diverse organizzazioni LGBTQI+, tra cui il Russian LGBT Network, erano state segnalate come “agenti stranieri” – termine che in russo ha connotazioni di spionaggio – e accusate di minare l’ordine sociale.

Dalle testimonianze di giornalisti della Novaya Gazeta, l’oscurantismo russo in materia di diritti LGBTQI+ era tragicamente esploso nella primavera del 2017 con i campi di detenzione per omosessuali ad Argun, in Cecenia, a 15 chilometri da Groznyi. Centinaia di uomini sono stati arrestati, imprigionati, torturati ed uccisi solo per il loro orientamento sessuale, reale o presunto, seguendo la stessa strategia: qualcuno viene arrestato, gli viene sequestrato il telefono, si individuano altri omosessuali nei suoi contatti. Anche se le dichiarazioni ufficiali ostentano un totale negazionismo, tante tragiche notizie continuano a filtrare.

Perché oggi il parlamento russo si dà a questa nuova operazione di odio, in una congiuntura tanto drammatica di piena guerra?

Per distogliere la pubblica attenzione dalle pesanti perdite militari? No, troppo poco. In realtà le limitazioni di diritti che rendono difficile e spesso drammatica la vita di tante persone LGBTQI+ in Russia, rispondono a un programma più ambizioso: quella di consolidare il sostegno conservatore all’interno e presentare la Russia come grande difensore dei “valori tradizionali”, in opposizione ad un Occidente stolto e corrotto: la legge contro la “propaganda gay” centra così sia la politica interna, sia l’impegno estero della Russia, da vero e proprio cavallo di Troia.

Diritti LGBT Russia

© Foto di Elena Rabkina / Unsplash

Come sostiene l’antropologa statunitense Gayle Rubin,

“le controversie sul comportamento sessuale spesso diventano i veicoli per sostituire le ansie sociali e scaricare la loro intensità emotiva associata”.

Per questa ragione, le controversie sul genere e sulla sessualità stanno infervorando i tempi e attraversano i conflitti geopolitici.

Vladimir Putin e il patriarca ortodosso di Mosca Kirill I, hanno di comune accordo mobilitato la retorica dei “valori tradizionali” per legittimare anche in questo modo la guerra di invasione dell’Ucraina: in un noto discorso televisivo, lo scorso anno Putin rappresentava infatti l’Occidente come una minaccia neocoloniale ed esistenziale:

“Hanno cercato di distruggere i nostri valori tradizionali e di imporci i loro falsi valori che avrebbero eroso noi, la nostra gente dall’interno… con atteggiamenti che conducono direttamente al degrado e alla degenerazione, perché contrari alla natura umana”.

Nell’approvare l’invasione russa, Kiril I era stato, se possibile, ancora più squallidamente esplicito, sproloquiando di un “requisito” per essere ammessi nel felice mondo del consumo e dell’apparente libertà, un test molto semplice e allo stesso tempo per Kiril I terrificante: “la parata gay…” a cui attribuisce lo scopo di dimostrare che il peccato fa parte del comportamento umano. Ospitare le parate gay rappresenterebbe un patto, una sorta di “prova di lealtà” fra Paesi da parte dei governi occidentali: “Qualcosa di diverso e al di sopra anche della politica”, che metterebbe a repentaglio la salvezza umana… sempre secondo i deliri imbonitori di Kiril I.

Patriarca ortodosso di Mosca Kirill I

Patriarca ortodosso di Mosca Kirill I

A marzo, la deputata ucraina Inna Sovsun aveva presentato un disegno di legge per legalizzare le unioni civili tra persone dello stesso sesso nel suo Paese, in una logica contraria a Putin, che ha reso centrale l’omofobia nella sua agenda politica e nell’imposizione dell’ideologia nazionale.

Deputata ucraina Inna Sovsun

Deputata ucraina Inna Sovsun

I diritti delle persone LGBTQI+ sono diventati ciò che lo studioso australiano Dennis Altman ha descritto come un “indicatore di modernità”, sempre più inquadrato dentro la democrazia liberale, antagonisti ai valori tradizionali. La Russia si erige a ultimo baluardo a protezione delle “tradizioni”, costruendo alleanze con governi che la pensano allo stesso modo per estendere la sua sfera di influenza a livello globale. Altrove in Europa, lo spettro dei diritti LGBTQI+ è infatti diventato centrale nel playbook dei populisti autoritari: Viktor Orbán in Ungheria e Andrzej Duda in Polonia attaccano quotidianamente i diritti delle persone LGBTQI+. sempre in Polonia le autorità locali sono arrivate ad istituire le tristemente note “zone LGBT free”, in Ungheria Orbán si è mobilitato contro i diritti LGBT+ bollandoli come influenza “forestiera” e distruttiva, mobilitando una crociata morale e distogliendo l’attenzione dall’erosione delle norme democratiche.

Viktor Orbán e Andrzej Duda

Viktor Orbán e Andrzej Duda © Foto di VCG Photo

Al centro di tanti conflitti, a soffrirne sono l’autonomia, il diritto individuale e il rapporto degli individui con la società. Sono in gioco diverse visioni del mondo: in quella più violenta, l’individuo resta subordinato a una nozione statica di cultura e di tradizione che non ammette dissensi, e in questo scenario le questioni LGBTQI+ sono relegate all’inferno degli stigmi morali, mai elevate a diritti umani. È proprio dei regimi autoritari limitare i diritti riproduttivi, l’educazione sessuale, la legislazione contro la violenza domestica, il riconoscimento legale del genere e le innovazioni nelle strutture familiari e nei costumi sessuali. Quando i legislatori russi hanno rincarato l’attacco ai diritti delle persone LGBTQI+, il simbolismo era primario, la promozione di fantomatici “valori tradizionali” resta fondamentale per la giustificazione ideologica della Russia, anche per la sua guerra in Ucraina e per le sue attività altre. I suoi attacchi ai diritti delle persone LGBTQI+ si sono rivelati il canarino nella miniera di carbone, prospettando l’incubo di un’agenda globale rovinosa e terribile.

 

Maria Gigliola Toniollo
©2023 Il Grande Colibrì
immagine: elaborazione da foto di Jon Tyson / Unsplash

 

Fight Hate

© Foto di Jon Tyson / Unsplash

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