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17 maggio, Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia. Periferia di Tunisi. Sulla facciata di un hotel sventola la bandiera tunisina e, accanto, quella arcobaleno della comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender): il movimento per i diritti delle minoranze sessuali in Tunisia, dopo l’esperimento riuscitissimo dei due Pride di marzo [Il Grande Colibrì], non si nasconde più. All’interno si alternano gli interventi degli attivisti di Shams (Sole), associazione nata tre anni fa, e di molte personalità della società civile (donne e uomini dello spettacolo, artisti, docenti universitari, giornalisti, femministe, protagonisti della rivoluzione…). Tutti chiedono il rispetto dei diritti umani di tutti e denunciano le discriminazioni, l’odio, la distorsione del messaggio pacifico ed egualitario dell’islam. Tutti parlano dichiarando il proprio nome e cognome: la paura non è svanita, ma non è più indomabile.

Il primo obiettivo di Shams è arrivare, attraverso le pressioni sulla politica e il cambiamento sociale, all’abrogazione dell’articolo 230 del codice penale, eredità della colonizzazione francese in cui è stabilito che i rapporti omosessuali costituiscono reato. Come dichiara Yadh Krandel, presidente dell’associazione, “questa legge umilia le libertà fondamentali della persona, in particolare il diritto a vivere la propria sessualità liberamente, fintantoché non si reca danno alle libertà altrui e all’ordine pubblico. Questa legge contraddice le libertà individuali enunciate nella costituzione. Come facciamo a parlare di libertà se incarceriamo degli esseri umani a causa del loro orientamento sessuale?”.

All’incontro ha partecipato anche Ayoub Moumene, lo stilista che ad aprile aveva fatto sfilare le sue modelle con la bandiera arcobaleno e che il 17 maggio ha ricordato: “Il clima qui è gioioso, ma la realtà è amara e non dobbiamo perderla di vista” [Al Huffington Post Maghreb].

Il 17 c’era troppa speranza? Ci si stava illudendo? Forse no: qualcosa è davvero cambiato in Tunisia. E a dimostrarlo è arrivato l’annuncio, proprio il giorno dopo, che il governo ha riconosciuto formalmente Shams, dandole un’autorizzazione ufficiale a organizzare attività politiche e manifestazioni.

Molti hanno sostenuto che l’autorizzazione sarebbe arrivata tramite silenzio-assenso e che dunque si sarebbe trattato di una svista clamorosa dell’esecutivo, ma la smentita è arrivata da un comunicato del governo stesso diffuso il 25 maggio: dopo un’attenta analisi, le autorità hanno stabilito che il gruppo vuole “sensibilizzare i cittadini sui rischi legati alle malattie sessualmente trasmissibili, agire pacificamente per l’abolizione delle leggi che discriminano le minoranze e difendere i diritti umani” e che questi obiettivi sono del tutto legittimi. Certo, il governo ci tiene a rassicurare i più conservatori e per questo specifica che Shams non vuole diffondere l’omosessualità e che un’autorizzazione può essere revocata nel caso in cui si scoprano finalità occulte [Business News].

Le precisazioni del governo sono arrivate dopo una settimana di accese polemiche, soprattutto sul web, dove sono fioccate le critiche all’esecutivo per avere legittimato la lotta per i diritti di persone che, secondo molti, non farebbero altro che compiere peccati contro natura [Kapitalis]. Ma a gridare scandalo non sono stati solo gli internauti: secondo Hamda Saïed, mufti della repubblica (cioè consigliere di stato per gli affari religiosi), Shams difende valori che “rispediscono l’uomo all’età oscura e alle pratiche immorali di Sodoma e Gomorra” e “minacciano l’equilibrio delle generazioni future e i valori di moderazione della società tunisina, che sono l’ultima barriera all’estremismo e al terrorismo” [Kapitalis]. Non proprio una sconfitta dell’umanità, ma quasi.

Abdellatif Mekki, del partito islamista Ennahdha, ha dimostrato un’omofobia un po’ più fantasiosa: secondo lui, dal momento che “l’omosessualità non è uno stato normale nella società”, “gli omosessuali dovrebbero ricevere cure psicologiche, sociali, sanitarie ed educative ed essere puniti secondo le norme di legge, perché questo comportamento individuale è pericoloso per la società. E che dire se diventa un’attività organizzata in associazione, legata a una rete internazionale che a sua volta è legata a pericolose reti di droga, spionaggio, eccetera?” [Kapitalis]. E pensare che solamente il mese scorso il leader di Ennahdha, Rashid Ghannushi, si era espresso a favore della depenalizzazione dell’omosessualità [Il Grande Colibrì]!

“Siamo preoccupati – ammette con Il grande colibrì l’attivista omosessuale Badr – In questo periodo sono cresciute le minacce, qualcuno ha persino fatto appello all’uccisione dei gay. Ma non ci fermiamo e tutte le associazioni LGBT sono più unite che mai, ci sosteniamo moralmente e psicologicamente gli uni gli altri e daremo una risposta unitaria”. A questa risposta possiamo unirci anche noi: “Il lavoro che fate è molto prezioso: più si diffonde l’informazione, più siamo forti”.

Per fortuna si sono levate anche molte voci a favore di Shams. Per esempio Marouen Achouri, in un articolo su Business News dal provocatorio titolo “In Tunisia è meglio essere pedofilo che gay”, non ha per nulla gradito il fatto che il comunicato governativo abbia accennato alla possibilità che l’autorizzazione all’associazione gay-friendly potrebbe teoricamente essere revocata e si è chiesto perché c’è stato meno scandalo per dichiarazioni di politici a favore dell’instaurazione di un califfato, della possibilità di sposare ragazzine di 13 anni o di depenalizzare la poligamia.

Farhat Othman, famoso giornalista e studioso che da tempo ha fatto della lotta all’omofobia una propria priorità, rincara la dose su Al Huffington Post Maghreb: “L’affare Shams fa cadere la maschera dei falsi patrioti che cercano di difendere a oltranza i propri interessi aggrappandosi alle leggi scellerate della dittatura”. Secondo Othman la battaglia di Shams per la depenalizzazione dell’omosessualità è la più urgente per l’intera Tunisia, perché “bisogna agire su ciò che blocca le menti attraverso freni inconsci e che spinge a rigettare il diverso, mentre la sua accettazione è la condizione essenziale della convivenza democratica”.

Abdel Aziz Hali, su Nawaat, arriva a paragonare l’omofobia all’apartheid, accusa gravissima se pensiamo che nel mondo arabo è generalmente diretta alle politiche segregazioniste israeliane: “Con che diritto ci permettiamo di gettare fango sugli omosessuali e di trattarli come subumani, come appestati o come criminali? Paragonarli a zoofili o pedofili non ha senso, soprattutto in un paese in cui la nuova costituzione garantisce, all’articolo 6, il diritto alla libertà di coscienza. Eccessi verbali di questo genere devono essere puniti, altrimenti il motto della nostra seconda repubblica (Libertà, dignità, giustizia, ordine) non avrà più senso”. La Tunisia intera, secondo Hali, dovrebbe allontanarsi dalle dittature del Golfo e avvicinarsi a Castro, il celebre quartiere gay di San Francisco.

Le strade colorate della città californiana sono lontane più di 10mila chilometri, ma in Tunisia gli attivisti LGBT ed i loro alleati eterosessuali hanno deciso di abbandonare la paura e di ignorare la stanchezza per continuare a ridurre, centimetro dopo centimetro, questa immensa distanza.

 

Pier
©2015 Il Grande Colibrì

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