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Le violenze sessuali sono utilizzate da sempre come armi di distruzione – anzi, viste le proporzioni del fenomeno, possiamo parlare di vere e proprie armi di distruzione di massa: eserciti e milizie non esitano a ricorrere allo stupro per distruggere il nemico. Non si tratta di brutalità perpetrate da popoli barbarici, ma di uno strumento rimasto comune, praticamente banale, anche nei conflitti contemporanei, come dimostrano le vicende colombiane [Il Grande Colibrì] o lo scandalo della prigione irachena di Abu Ghraib, gestita da soldati USA.

A essere colpite non sono solo le donne, ma anche gli uomini, come ribadisce la ricerca “We Keep It in Our Heart” (Ce lo teniamo nel cuore) [Refworld] dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR) che fa il punto sugli stupri maschili nella crisi siriana, dopo aver raccolto centinaia di testimonianze tra i rifugiati in Libano, Giordania e Kurdistan iracheno.

In guerra e in prigione

In Siria nelle prigioni gestite dal regime, come nei centri di detenzione in mano ai ribelli e ai curdi, gli stupri, accompagnati da insulti e umiliazioni di ogni tipo, sono sistematici: si stima che tra il 30 e il 40% degli uomini detenuti e prigionieri, cioè decine di migliaia di persone, subiscano violenze sessuali, generalmente penetrazioni anali con manganelli, bottiglie e altri oggetti. Samar racconta: “I figli di mia cugina facevano parte della Free Syrian Army (Esercito siriano libero, anti-Assad; FSA) e sono stati arrestati. Hanno portato mia cugina al centro di detenzione per farle vedere i suoi figli stuprati dai soldati. La famiglia non si è più ripresa”.

Ma le violenze sessuali sono usate come forma di tortura per umiliare il nemico, per vendicarsi o per estorcere confessioni non solo nei centri di detenzione: soldati e miliziani stuprano donne e uomini anche durante i raid nelle case dei civili o i controlli ai checkpoint. Persino nelle pubbliche piazze alcuni uomini subiscono efferate violenze che si concentrano sui genitali e sull’ano.

Nei campi profughi

L’incubo delle violenze continua anche quando si abbandonano le zone di conflitto, perché gli stupri continuano anche nei campi profughi: dal 20 al 27% dei maschi hanno subito violenze o molestie sessuali. Secondo una ricerca del 2013, i bambini e ragazzini sono considerati persino più a rischio di bambine e ragazzine. Molti minori non frequentano le scuole per aver subito forme di bullismo spesso con connotazioni sessuali, o per paura di subirle. In un ambiente in cui la maggior parte dei profughi siriani vive sotto il livello di povertà (70% in Libano, 93% in Giordania), lo sfruttamento e il ricatto sono frequenti: a molti uomini e ragazzi vengono richiesti “favori sessuali” in cambio di un lavoro o di una casa da affittare per la famiglia.

“Vengo violentato sul lavoro, è una cosa che mi distrugge dentro – racconta Ayman, 18 anni – Faccio due lavori, nell’edilizia, uno dalle 8 alle 16, l’altro dalle 17 in poi, per sostentare la mia famiglia. Ho sempre il terrore di non avere abbastanza soldi. È il figlio del mio capo a violentarmi. È difficile parlarne perché fa troppo male. E non posso parlarne, perché ho bisogno di sostentare la mia famiglia. Non ci sono abbastanza soldi per comprare il pane e non può aiutarmi nessuno”. E se questo succede in Libano, ricordiamoci quanti ragazzi, fuggiti da conflitti, persecuzioni o povertà, per sopravvivere in Italia si piegano a rapporti sessuali non protetti per 10 euro o anche meno.

Nei campi profughi sono frequenti i ricatti basati su foto scattate di nascosto, per esempio sotto le docce o nei bagni: per evitare la loro divulgazione, i ragazzini devono accettare di servire sessualmente uomini o ragazzi più grandi. La violenza sessuale a quel punto è filmata e diventa strumento per ulteriori ricatti.

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Le minoranze sessuali

Particolarmente colpiti, come prevedibile, sono omosessuali, bisessuali e transgender, in un contesto in cui governo, milizie e gruppi terroristici fanno a gara nel perseguitare le minoranze sessuali: di fronte alla minaccia di essere consegnati a chi potrebbe imprigionarti, torturarti o ucciderti, finisci per accettare le richieste di conoscenti, poliziotti, datori di lavoro, proprietari di casa, semplici sconosciuti. Il 70% dei rifugiati LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali) in Libano è fuggito dalla Siria soprattutto a causa dell’aumento delle violenze nei confronti della comunità.

Questi ricatti colpiscono tanto chi è gay quanto chi semplicemente lo sembra agli occhi dei suoi aguzzini. “In Siria facevo il truccatore – racconta Mounir, 29 anni – Con la guerra sono state uccise 11 persone nella mia famiglia, siamo sopravvissuti solo io e mia sorella. Prima di scappare qui in Libano, la Free Syrian Army è venuta nel mio villaggio e, dal momento che sembro molto dolce e uso i trucchi, mi hanno arrestato. Nel centro di detenzione mi hanno stuprato”.

Denunce troppo rare

Anche nei campi profughi pochissimi denunciano gli abusi subiti. C’è chi non lo fa per vergogna o per paura di essere considerato gay: per lo stereotipo un “vero uomo” può opporsi allo stupro e quindi, se invece lo subisce, un po’ se l’è cercata, un po’ lo ha voluto. Lo stigma sociale che colpisce anche le vittime maschili di violenza sessuale può portare l’uomo a essere additato pubblicamente, a perdere ogni possibilità di trovare una moglie o un lavoro.

A spiegare la scarsità di denunce è anche il fatto che mancano strutture adeguate a raccoglierle: anche le istituzioni e organizzazioni internazionali molto spesso ignorano o sottovalutano il problema e non offrono neppure sostegno medico e psicologico a bambini, ragazzi e uomini violentati, che devono affrontare da soli traumi terribili, malattie a trasmissione sessuale, lacerazioni anali. E intanto regna un clima di violenza impunita che non fa altro che generare sempre nuova violenza.

Pier Cesare Notaro
©2017 Il Grande Colibrì
foto: elaborazione da Myriam’s Fotos (CC0) / Il Grande Colibrì / Il Grande Colibrì

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