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Se il 17 maggio del 1990 è entrato nella storia per aver segnato la fine della considerazione dell’omosessualità come malattia secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ci sono voluti quasi trent’anni perché quel giorno arrivasse anche per la transessualità. Ma finalmente ci siamo.

La novità è riportata da giornali e agenzie in modo estremamente succinto e senza clamori, come per esempio sul Corriere della Sera, però la brevità si deve anche alla comunicazione ufficiale dell’OMS, che ha provveduto ieri a un riordino delle classificazioni e ha, appunto, tolto dai disturbi mentali quella che fino ad oggi veniva definita una “disforia di genere”: la comunicazione ufficiale spiega semplicemente che “l’incongruenza di genere è stata nel frattempo spostata dai disturbi mentali nell’ICD, tra le condizioni di salute sessuale“.

L’ICD (International Statistical Classification of Disesases and Related Health Problems, Classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi di salute correlati) è il fondamento delle statistiche sulla salute e raccoglie le notizie sulla condizione umana dalla nascita alla morte: ogni ferita o malattia che ci colpisce nella vita – e qualsiasi cosa di cui potremmo morire – fa parte di questa codificazione.

“Non è un disturbo mentale”

L’OMS ha ritenuto di dover comunque inserire nell’ICD la transessualità in ragione delle “significative esigenze di assistenza sanitaria che possono essere soddisfatte meglio se la condizione è codificata all’interno di questa classificazione“, ma ha chiarito – speriamo una volta per tutte – che “ci sono chiare prove ormai che l’essere transgender non costituisca un disturbo mentale“, ammettendo anche che la precedente classificazione esponeva le persone trans a un enorme stigma .

Naturalmente, malgrado la felicità che può darci questa notizia, sappiamo che il percorso per l’accettazione delle persone transgender ha fatto solo il primo passo: i pregiudizi e l’associazione di idee per cui una persona trans non possa che lavorare come sex worker non scompariranno presto e vincerli sarà una delle tante battaglie che ci aspettano in questi tempi bui. Ma il 18 giugno deve diventare, come è già la Giornata contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, una festa di tutta la comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali).

Michele Benini
©2018 Il Grande Colibrì
foto: Il Grande Colibrì

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