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22 maggio 2016: Alesha, attivista per i diritti umani, riceve sei colpi di pistola; muore dissanguata all’ospedale perché i medici non sapevano se ricoverarla tra gli uomini o tra le donne.

9 agosto 2016: una donna transessuale viene uccisa da tre colpi di pistola mentre un gruppo di uomini tenta di violentarla.

23 aprile 2018: un gruppo di uomini armati fa irruzione nella casa di Sheema, attivista di “Trans Action Pakistan” (Azione trans Pakistan), la picchia e poi le spara alla testa.

4 maggio 2018: Muni è uccisa da un colpo di pistola.

Sono 57 le donne transgender uccise dal 2015 in Pakistan, nonostante il paese abbia fatto notevoli passi avanti dal punto di vista legislativo. Nel 2009 la Corte suprema del Pakistan ha approvato una legge che riconosce il “terzo genere” e i diritti delle persone trans, mentre recentemente è stato approvato il “Transgender Persons (Protection of Right) Act”, legge che amplia ulteriormente la protezione nei confronti della comunità transgender pakistana.

Una società transfoba

Nella società, purtroppo, permangono le discriminazioni e le donne trans sono spesso costrette a prostituirsi o a vivere in segreto la loro identità di genere: uomini nel mondo esterno e se stesse nella vita privata.

La discriminazione, dal punto di vista culturale, è dovuta anche al passato di colonia britannica del Pakistan: gli inglesi approvarono infatti numerose leggi contro i rapporti omosessuali e le persone che si riconoscevano nel terzo genere (le “hijra”, come vengono chiamate in India e Pakistan, esistevano già al tempo dell’impero Mughal). La visione omofobica e transfobica è poi permeata nella società pachistana anche a causa del regime autoritario del dittatore Muhammad Zia (1977-1988).

Grandi passi in avanti, però, sono stati fatti dagli attivisti pachistani per i diritti transgender, come Marvia Malik, la prima conduttrice di telegiornali trans del paese.

Elisa Zanoni
©2018 Il Grande Colibrì

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