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L’arte come mezzo per esprimere se stessi, la propria essenza, esitenza, resistenza. L’arte come strumento per avvicinarsi agli altri, per proporre nuove visioni, per rendere la società più aperta, disponibile all’accettazione e all’ascolto. Magari più tollerante. Sono questi gli ideali su cui si fonda il lavoro di Alireza Shojaian, un giovane artista iraniano che ha dovuto lasciare il proprio paese per sfuggire al controllo e alla censura. Per poter esprimere se stesso liberamente. E per raccontare la cultura queer attraverso la sua arte, come spiega lui stesso a Il Grande Colibrì: “Sono un disegnatore che è stato costretto a lasciare la sua città natale per poter continuare a fare ciò che ama davvero: essere un artista queer e dare voce a chi non ce l’ha attraverso la sua arte“.

Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto ad avvicinarti all’arte?

La mia arte non nasce tanto per ragioni di attivismo quanto piuttosto da un bisogno intimo e profondo che, come accade a molti altri artisti, mi attraversa e mi spinge a creare. Attraverso i miei lavori ho però sempre cercato di tenere vivo un dialogo che coinvolgesse il più possibile anche il pubblico. Durante gli anni trascorsi nel mio paese di origine, l’Iran, fare arte era una delle pochissime possibilità che avevo per sfuggire alla censura imposta dal regime e per poter parlare un po’ più liberamente della cultura queer. Un argomento come questo viene ancora oggi considerato un tabù in Medio Oriente, e in particolar modo in Iran.

alireza shojaian benjamin corps

↑ Benjamin (2019) / ↗︎ Corps-à-corps (2017)

Quali sono i messaggi che vorresti trasmettere attraverso le tue opere?

Attraverso i miei lavori vorrei rendere visibili le differenti sfaccettature della cultura queer. Al contempo, il mio obiettivo sarebbe quello di rendere le persone più aperte e sensibili nei confronti di questi temi, di modo che in un futuro molto prossimo la nostra società possa diventare più tollerante.

Nella tua biografia scrivi che il tuo intento come artista e come uomo è quello di combattere i pregiudizi insiti nella società cercando al contempo di offrire spazio alle “identità maschili non etero-normative”. Partendo da questa premessa, quali sono a tuo parere gli elementi di criticità che impediscono ancora a troppe persone di esprimere se stesse e il loro modo di essere?

Vivere in una società che non ci considera, che non ci concede alcuno spazio e che nega continuamente la nostra stessa esistenza può diventare davvero un enorme problema per noi persone queer mediorientali. Alcuni di noi perdono il coraggio e la fiducia in se stessi. Altri ancora devono trascorrere la loro vita in esilio, lontani dal loro paese ma soprattutto da quei governi e da quella società che in fin dei conti li hanno sempre rifiutati.

alireza shojaian perfect wind

↑ The perfect moment (2017) / ↗︎ WIND – The things that shift, evolve, and challenge (2018)

L’artista non binary Khansa è stato spesso un@ dei tuoi modelli. Prima di conoscerl@, sapevi già che cosa fosse il non binarismo di genere? Il contatto con questa nuova realtà ha prodotto dei cambiamenti sul tuo modo di intendere e di accostarti alle tematiche legate alle questioni di genere?

A essere onesto, non ho mai cercato di incasellare Khansa in una categoria specifica. Durante il mio soggiorno a Beirut abbiamo collaborato insieme più volte e l’abbiamo fatto perché entrambi riuscivamo a vedere una forma di bellezza che desideravamo trasmettere agli altri. Sono fermamente convinto che questo tipo di bellezza e di emozioni presente all’interno della cultura queer sia spesso oscurato dal resto della società. Mostrarli attraverso la nostra arte è a mio avviso un buon sistema per aumentare un po’ il livello di tolleranza e per offrire al contempo spazio alle soggettività non etero-normative.

In un articolo su My Kali, hai parlato di “Sweet Blasphemy”, l’esposizione presentata all’ARTLAB di Beirut, come dell’incontro e del successivo funerale di un amore. Questa rivelazione mi ha davvero molto colpito…

Questa performance ha visto la collaborazione di me e Khansa. Come accennavo prima, entrambi abbiamo avuto una sorta di visione di bellezza che abbiamo cercato di trasmettere agli altri. Il mio intento era in particolare quello di mettere in scena un passaggio dell’opera “Forty rules of love” (Le quaranta porte; Rizzoli 2011, 368 p., 11 €) di Elif Shafak. In sostanza, l’esibizione era una riproposizione scenica dell’incontro tra Rumi e Shams, che dice: “Ho sperimentato un’eccezionale bellezza e ho scoperto che essa è come l’infinito incontro di due specchi che si riflettono l’uno nell’altro senza fine“.

alireza shojaian hamed sinno

Hamed Sinno et un de ses Frères (2017)

I tuoi lavori sono tutti ugualmente splendidi, ma ce n’è uno che mi ha colpito davvero più degli altri. Il suo nome è “Hamed Sinno et un de ses Frères” (Hamed Sinno e uno dei suoi fratelli) ed è dedicato a un episodio ben preciso ed estremamente importante per la storia queer: nel 2017 al Cairo la polizia ha arrestato alcune persone che avevano sventolato la bandiera rainbow durante un concerto dei Mashrou’ Leila, il gruppo di rock alternativo di cui Sinno è il cantante…

Ti posso dire che all’oggi sono particolarmente contento che Hamed abbia accettato questa collaborazione. Mi fa un immenso piacere aver potuto fare la mia parte documentando questo pezzo di storia non scritta attraverso la mia arte. Come ho avuto modo di dire anche in precedenza, sono convinto che la sofferenza possa purtroppo restare attaccata addosso in eterno alle persone che l’hanno esperita.

Proprio oggi [il 16 giugno; ndr] ho saputo che Sarah Hegazi, una delle persone che avevano preso parte al concerto dei Mashrou’ Leila al Cairo, si è purtroppo tolta la vita. La notizia mi ha profondamente scosso. Sapevo che, dopo i mesi trascorsi in carcere, era riuscita a scappare dall’Egitto e a trovare rifugio in Canada, ma a quanto pare il dolore per ciò che ha subito le ha dato la caccia fino a spingerla a farla finita. La sua storia colpisce al cuore perché lei era proprio una delle tante persone che hanno sofferto dolori enormi e che sono legate dalla stessa tragica storia che ha ispirato il mio quadro.

Nicole Zaramella
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: ©Alireza Shojaian

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