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“Chiamami col tuo nome”, il film del regista italiano Luca Guadagnino, è candidato a quattro premi Oscar, ma non verrà proiettato nei cinema tunisini: la sala “Le Colisée” di Tunisi lo aveva in programma, ma il ministero degli affari culturali ha negato il permesso di proiettarlo.

Non è il primo caso di censura di opere che raccontano storie di omosessualità o bisessualità nel paese africano, e non è neppure il più assurdo: nel 2013 fu vietato il lungometraggio “La vita di Adele”, Palma d’oro a Cannes, anche se il regista, Abdellatif Kechiche, era tunisino. E che dire della messa al bando del documentario “Au-delà de l’ombre” (Al di là dell’ombra) di Nada Mezni Hfaiedh, che racconta la comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e asessuali) in Tunisia? Ha trionfato alle Journées Cinématographiques de Carthage (Giornate cinematografiche di Cartagine; JCC), il più importante festival del paese, ma nessun cinema ha poi potuto proiettarlo.

Un bilancio catastrofico…

Ma la Tunisia, dopo la rivoluzione, non era diventata un faro di libertà per tutto il mondo arabo? Per l’avvocato Mounir Baatour, presidente dell’associazione LGBTQIA Shams (Sole) “il bilancio attuale è catastrofico“: l’anno scorso ben 71 persone sono state arrestate per violazione dell’articolo 230 del codice penale, che prevede fino a tre anni di carcere per i rapporti omosessuali tra adulti consenzienti. Quest’anno sarebbero finiti dietro le sbarre anche due immigrati francesi insieme ai loro due mariti (un tunisino e un mauriziano), per colpa della denuncia di una vicina anche lei francese, se non fosse arrivata una soffiata dall’ambasciata di Parigi a Tunisi, che ha permesso ai quattro uomini di fuggire dal paese in fretta e furia, abbandonando tutto.

Intanto l’importante islamologo Youssef Seddik ha ridimensionato il fatto che il partito islamista Ennahdha (Rinascita) abbia candidato un ebreo per le municipali di Monastir: secondo lo studioso, non è sufficiente aprirsi alle minoranze religiose per diventare davvero una forza politica moderna e gli islamisti dovrebbero finalmente riconoscere l’uguaglianza tra religiosi e atei e rispettare pienamente le persone omosessuali. Una dichiarazione che denuncia la lentezza del cambiamento, ma che mostra anche una notevole evoluzione delle mentalità.

…o un cambiamento in atto?

Perché non va tutto male, anzi. Lo racconta a Open Democracy l’attivista drag queen Khoukha, che non tace sulle mille difficoltà e discriminazioni che ha dovuto affrontare sin dall’infanzia, ma riconosce anche che l’atteggiamento della società sta cambiando notevolmente, diventando sempre più aperto. Certo, il cammino da percorrere è ancora lungo, fuori e dentro la comunità LGBTQIA: “Non c’è solo l’omofobia, ma anche problemi legati alle gerarchie: gli uomini gay mascolini delle classi medio-alte sono al vertice di questa gerarchia, mentre la comunità transgender e le persone non binarie sono sul fondo e spesso ci si dimentica di loro“.

Per capire meglio cosa sta succedendo in Tunisia, che fine ha fatto la rivoluzione, quali cambiamenti ci sono per i diritti delle donne e delle minoranze sessuali, domani sabato 3 marzo alle 17.00 il Guado ospita nella sua sede a Milano (via Soperga 36), insieme a Il Grande Colibrì e alla Women’s March, Nadhem Oueslati, attivista dell’associazione LGBTQIA Damj e di alcune organizzazioni per la lotta alle malattie sessualmente trasmissibili, tra i redattori del rapporto periodico universale sulle minoranze sessuali in Tunisia, primo nel suo genere nella regione dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente.

Pier Cesare Notaro
©2018 Il Grande Colibrì

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