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Aysu Mammadli era una giovane ragazza azerbaigiana di 28 anni. Pochi giorni fa, il suo corpo senza vita è stato ritrovato nell’appartamento di un quartiere di Baku. Stando a quanto riportato dai media locali, a dare l’allarme sarebbero stati i vicini, insospettiti dalle chiazze di sangue presenti sul pavimento. Secondo le prime analisi della polizia, prima di morire la povera Aysu sarebbe stata raggiunta da ben undici coltellate.

Il responsabile dell’omicidio sembrerebbe essere stato individuato: secondo gli investigatori, si tratterebbe di Kenan Abdurahmanov un 36enne azerbaigiano che avrebbe agito “per legittima difesa. Stando alle parole di un portavoce della polizia di Baku, Abdurahmanov avrebbe ucciso Mammadli per proteggersi dopo che lei aveva tentato di pugnalarlo. La lite, affermano i poliziotti, sarebbe scoppiata quando l’uomo – che con Aysu intendeva consumare un rapporto – si è reso conto che lei era una donna transgender.

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Legittima difesa?

In accordo con la versione fornita dalla centrale, le ragioni del diverbio sarebbero esclusivamente economiche, ma sono in pochi a credere che la giovane sia stata uccisa solo per questioni di denaro. “Dicono che Aysu abbia colpito Kenan alla schiena con un coltello e che lui gliel’abbia strappato di mano pugnalandola undici volte per legittima difesariflette Seymour Nazar, un attivista per i diritti LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex, asessuali) di Baku – Ma chi, per legittima difesa, arriverebbe mai ad accoltellare un’altra persona undici volte?”.

A rendere tutto ancora più doloroso e sconcertante, è però la notizia che la famiglia di Aysu si è non solo rifiutata di prelevare il suo corpo dall’obitorio, ma che ha addirittura deciso di non partecipare al suo funerale. Le esequie, secondo quanto riferito dallo stesso Nazar, sarebbero state celebrate alla presenza di appena sei amici, tutti facenti parte della comunità queer locale.

azerbaijan lgbtTra violenze e stigma

Qualunque sia la verità, è purtroppo chiaro che la vita delle donne transgender in Azerbaijian sia estremamente difficile e pericolosa. Lo dimostra perfettamente la storia di Mammadli, che solo due giorni prima di morire aveva raccontato al suo parrucchiere di aver ricevuto minacce di morte da parte di uno zio, che comunque a tutt’oggi non risulta indagato: proprio come il resto della famiglia, anche lui non aveva mai accettato la sessualità e le scelte di vita di Aysu, il cui comportamento veniva considerato solamente vergognoso e condannabile.

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Dal momento che nel nostro paese la prostituzione è qualcosa di illegale e che non esiste alcuna forma di protezione per le sex worker, l’esistenza delle donne trans in Azerbaijian è costantemente minacciata” afferma Nazar, che non manca di sottolineare come la pandemia di COVID-19 abbia reso tutto ancora più complicato. L’assenza di una solida rete di aiuti, unita alle problematiche connesse al diffondersi del virus, ha infatti avuto effetti estremamente negativi sulla vita delle donne come Aysu e molte di loro si sentono in grave pericolo.

Il 90% delle ragazze che la conoscevano ora sono spaventatissime – ha raccontato Leyla, una cara amica di Mammadli – Alcune di loro continuano ad andare a lavorare, altre no. Tutte però temono di poter fare la sua stessa fine. Io personalmente sono terrorizzata. Da quando Aysu è morta ho paura anche solo di lasciare la mia casa”.

Nicole Zaramella
©2020 Il Grande Colibrì
immagini: elaborazione da Pikist (CC0) / Il Grande Colibrì

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